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I moti del 48

Indice

L'arretratezza dell'italia

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Il dibattito risorgimentale

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L'esplosione del 48

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Il 48 in italiA

L'arretratezza dell'Italia

I moti del 48

Nel corso del XIX secolo, l'Italia era caratterizzata da un notevole ritardo rispetto ad altre nazioni europee dal punto di vista agricolo, industriale e delle condizioni di vita della popolazione. Dal punto di vista agricolo, l'Italia era prevalentemente un paese agricolo, con la maggior parte della popolazione impiegata nel settore primario. Tuttavia, l'agricoltura italiana era arretrata e inefficiente. Le tecniche agricole erano spesso antiquate, con poca meccanizzazione e scarsa adozione di nuove pratiche agricole. Questo risultava in rese relativamente basse e una produzione agricola limitata. Per quanto riguarda il settore industriale, l'Italia era ancora in gran parte rurale e l'industrializzazione era solo agli inizi. Le fabbriche erano poche e spesso utilizzavano tecnologie obsolete. La mancanza di investimenti in infrastrutture e innovazione limitava la crescita economica del paese e la sua capacità di competere a livello internazionale. Le condizioni di vita della popolazione erano estremamente difficili per la maggior parte delle persone. I salari erano bassi, le condizioni abitative erano spesso precarie e la povertà era diffusa. L'accesso all'istruzione e ai servizi sanitari era limitato, contribuendo a un circolo vizioso di arretratezza economica e sociale. In generale, l'Italia del XIX secolo si trovava in una fase di transizione e cambiamento, con la necessità di modernizzare l'agricoltura, sviluppare l'industria e migliorare le condizioni di vita della popolazione per colmare il divario con le altre nazioni europee.

I moti del 48

Perché l'Italia era arretrata? Rispetto a paesi sviluppati come l'Inghilterra e la Francia, l'Italia era in “ritardo”. Questo ritardo dipendeva da varie cause: il paese disponeva di poche materie prime la rete viaria era poco sviluppata e maltenuta; gli Stati italiani investivano poco o nulla nello sviluppo economico; le tasse erano basse, ma servivano per mantenere l'esercito, la burocrazia, la corte; le banche, pur in crescita come numero, non sostenevano lo sviluppo agricolo e industriale, mancava un ceto imprenditoriale disposto a rischiare in nuove attività produttive; la borghesia preferiva dedicarsi agli investimenti tradizionali in campo commerciale e agricolo; la nobiltà, ancora potente al Centro e al Sud del paese, non si occupava della gestione dei propri beni, limitandosi a riscuoterne le rendite; il reddito era basso e prevaleva l'autoconsumo; mancava quindi un mercato interno capace di assorbire beni e prodotti. Questa sconsolante situazione era aggravata dalla divisione politica dell'Italia in vari Stati, più o meno grandi, ognuno dei quali aveva la sua moneta, i suoi dazi e le sue leggi. Cio era di ostacolo alla libera circolazione delle persone, delle merci e al decollo della rivoluzione industriale.

Il dibattito risorgimentale

I moti del 48

L'origine dell'idea d'Italia

Il processo che portò alla formazione di un unico Stato italiano viene definito con il termine “Risorgimento”. Come già sappiamo l’Italia prima dell’Ottocento non fu mai unita, ma nel corso del tempo si è sviluppata un’identità culturale italiana (linguistica e religiosa) e la consapevolezza di un comune interesse economico. Dante rilevava ad esempio come caratteristica unitaria l’uso del volgare del sì (ossia il volgare italiano). Egli era visto dagli intellettuali dell’epoca come il primo poeta nazionale e profeta dell’unità d’Italia: secondo lui la causa della corruzione andava ricercata nella rivalità tra il papa e l’imperatore (quindi non nella liberazione dal dominio straniero). Dante però non fu l’unico. Il sentimento di unità era condiviso anche da altri intellettuali come Petrarca, Niccolò Machiavelli e Ugo Foscolo. Quindi, la diffusione delle idee illuministiche e romantiche in Italia aveva reso più forte il desiderio di unità.

I moti del 48

Il movimento risorgimentale

L’interesse per l’idea d’Italia era diffuso anche grazie al dibattito risorgimentale. Due furono i principali schieramenti che si contrapposero: quello moderato (destra risorgimentale) e quello democratico (sinistra risorgimentale). Per i moderati, solo il coinvolgimento dei sovrani poteva essere garanzia di successo. Secondo i democratici, invece, il fallimento dei moti degli anni Venti e Trenta dimostrano l’inaffidabilità dei sovrani. Per questo bisognava puntare sul coinvolgimento del popolo e il nuovo Stato italiano avrebbe dovuto essere una repubblica.

La repubblica democratica di Mazzini

Così, in questo clima di “Risorgimento”, entra in gioco la figura di Giuseppe Mazzini, nato a Genova da una famiglia agiata. Fin dalla giovinezza si avvicinò alle idee patriottiche e democratiche. Si iscrisse alla Carboneria, società segreta rivoluzionaria italiana nata nel Regno di Napoli, ma venne esiliato per aver tradito un informatore. Si recò successivamente a Marsiglia entrando in contatto con l’ambiente degli esuli. Il fallimento dei moti degli anni Venti e Trenta aveva fatto ricredere Mazzini sui metodi e sulle ideologie della Carboneria. Egli in particolare non approvava la loro segretezza perché rendeva impossibile il coinvolgimento popolare. Nel 1831 fondò una nuova organizzazione politica, la Giovine Italia, che si poneva l’obiettivo di unire il paese liberandolo dal governo dispotico dei sovrani. In sintesi, l’Italia doveva diventare “una, libera, indipendente e repubblicana”. La sua diffusione fu piuttosto ampia: la maggior parte degli aderenti erano concentrati nelle classi medie e popolari urbane. Anche Giuseppe Garibaldi aderì alla Giovine Italia.

I moti del 48

"Dio e popolo"

"Pensiero e azione"

La concezione della religione di Mazzini era romantica. Dio si identificava con la stessa umanità. In questo panorama era quindi molto importante la fede religiosa. Gli individui e i popoli erano chiamati da Dio a contribuire al bene dell’umanità: gli individui dovevano attuare i propri doveri personali, i popoli dovevano attuare la loro missione storica (da qui il binomio “Dio e popolo”). Gli italiani dovevano illuminare il mondo con l’avvento della terza Roma, quella del popolo. La missione storica era quindi abbattere i due principali pilastri su cui poggiava il sistema politico e religioso: l’Impero asburgico e lo Stato Pontificio (stato e chiesa). Mazzini sosteneva il principio dell’associazionismo: l’individuo per raggiungere la libertà doveva unirsi nella famiglia, che a sua volta faceva parte della nazione, che unendosi con altre nazioni formava l’umanità.

La concezione di Mazzini era in totale disaccordo con il principio marxiano, il quale appoggiava la lotta di classe che rompeva l’unità spirituale del popolo. Secondo il principio di Mazzini, occorreva pensare, ma anche agire (da qui il binomio “pensiero e azione”). Tuttavia, è proprio l’azione ciò che non riusciva a funzionare. Tutte le insurrezioni che vennero tentate in quegli anni fallirono: prima nel 1833 nel Regno di Sardegna; poi l’anno successivo nella Savoia e a Genova; nel 1844 in Calabria; infine, nel 1843 e nel 1845 nello Stato Pontificio e in Romagna. Il fallimento delle insurrezioni alimentò la polemica intorno a Mazzini: egli viene infatti accusato di influenzare con il suo credo rivoluzionario la popolazione italiana spingendola a un inutile sacrificio.

La repubblica federale di Cattaneo

I moti del 48

Carlo Cattaneo, vicino a Mazzini nell'auspicare una repubblica per l'Italia, proponeva una repubblica federale anziché centralizzata. Si ispirava agli Stati Uniti e alla Svizzera, credendo che solo una federazione potesse garantire la vera libertà dei popoli italiani. Vedeva lo Stato centralizzato come obsoleto e autoritario, preferendo un approccio illuminista e riformista. Proponeva riforme politiche ed economiche per raggiungere la federazione, avversando sia il dominio austriaco che il Regno di Sardegna. Prevedeva anche che l'Italia federale si unisse agli Stati Uniti d'Europa.

I moti del 48

Il neoguelfismo di Gioberti

Il moderatismo filosabaudo

Vincenzo Gioberti, sacerdote torinese, sostenne una visione confederale all'interno del campo moderato, proponendo una confederazione italiana presieduta dal papa e sostenuta militarmente dal Regno di Sardegna. Questa idea, espressa nella sua opera più famosa "Del primato morale e civile degli Italiani" del 1843, fu denominata neoguelfismo, richiamando l'orientamento filopapale dei guelfi medievali. Il neoguelfismo non fu un'organizzazione politica ma un movimento d'opinione che coinvolse anche settori tradizionalmente distanti o avversi al dibattito sull'unità d'Italia.

Il moderatismo filosabaudo, rappresentato da Cesare Balbo, proponendo una soluzione pragmatica al problema austriaco in Italia, suggeriva un'azione diplomatica del Piemonte per spostare gli interessi austriaci verso i Balcani, lasciando libere le terre italiane. Proponeva la formazione di uno Stato dell'Alta Italia sotto i Savoia, fondando una confederazione italiana sulla forza militare del Regno di Sardegna, l'unico in grado di contrastare l'Austria. Balbo si pronunciava contro l'idea di affidare al papa la presidenza della confederazione, ma proponeva il coinvolgimento del pontefice come uno dei sovrani italiani. Massimo d'Azeglio, altro esponente filosabaudo, criticava il malgoverno pontificio ma condannava anche le iniziative insurrezionali, ritenendole dannose per la causa nazionale. Sosteneva che l'unica soluzione fosse affidarsi alla diplomazia e alle armi del Regno di Sardegna. Camillo Benso, conte di Cavour, è citato come il principale esponente filosabaudo, essendo stato capace di individuare una via concreta per raggiungere l'unità d'Italia.

I moti del 48

Il ruolo delle donne nel Risorgimento

Le donne hanno giocato un ruolo significativo nel Risorgimento italiano, spesso oscurato dalla storia ufficiale. Di diverse origini sociali, contribuirono alla diffusione dell'idea di unità nazionale, accogliendo gli esuli, praticando l'infermieristica e promuovendo l'educazione patriottica delle nuove generazioni. Alcune donne hanno preso parte attiva alla lotta per l'unità nazionale, come Ana Maria Ribeiro, nota come Anita, moglie di Garibaldi, che partecipò attivamente alle lotte fino alla sua morte prematura a soli 28 anni. Cristina Trivulzio di Belgioioso, principessa milanese, si distinse durante la difesa di Roma organizzando un "pronto soccorso" per i feriti, diventando la prima donna nella storia a farlo. Teresa Casati Confalonieri, nobile milanese, si impegnò instancabilmente per ottenere la grazia per il marito condannato a morte nel 1821, ottenendo infine la commutazione della pena in detenzione. Bianca Milesi, altra figura patriottica, fu costretta all'esilio in Francia a causa del suo impegno per i patrioti italiani.

L'esplosione del 48

I moti del 48

Durante il XIX secolo, l'Irlanda fu devastata da una grave carestia, principalmente a causa della dipendenza dalla coltivazione della patata e dei sistemi agricoli arretrati. La situazione politica fragile e l'oppressione da parte dell'Inghilterra contribuirono ulteriormente alla crisi. Nel 1848, un'ondata rivoluzionaria scosse l'Europa, con la Francia come epicentro. L'opposizione al regime borghese di Luigi Filippo D'Orléans culminò nella Rivoluzione di Febbraio, che portò alla proclamazione della repubblica. Il governo provvisorio introdusse riforme democratiche e sociali, ma la rivoluzione fu soppressa nel giugno dello stesso anno, con una violenta repressione. In Francia, ciò portò all'ascesa di Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone, che trasformò il governo repubblicano in una dittatura personale e infine in un impero nel 1852.

I moti del 48

In Europa, la rivolta di Parigi scatenò una serie di rivolte in tutto il continente, inclusa la rivoluzione nell'Impero asburgico e negli stati tedeschi. In Austria, le proteste portarono a concessioni come la libertà di stampa e l'elezione di un'Assemblea Costituente a suffragio universale. Nell'Impero austriaco, le rivolte furono guidate da richieste di maggiore autonomia e diritti nazionali per i vari gruppi etnici. Nel frattempo, la rivoluzione tedesca del 1848 portò alla richiesta di costituzioni liberali, maggiori diritti politici e sociali, e all'unificazione della Germania.

Nonostante alcuni successi temporanei nel promuovere riforme liberali e costituzionali, la rivoluzione non riuscì a portare a un'unificazione nazionale duratura. Le forze conservatrici e monarchiche alla fine ristabilirono il controllo, mettendo fine alla maggior parte delle rivolte entro il 1849.

Il 48 in Italia

I moti del 48

Il biennio delle riforme

Dall'insurrezione alla guerra federale

Il "biennio delle riforme" si riferisce al periodo dal 1846 al 1848, caratterizzato da un'onda riformista in Italia. Iniziò con l'elezione di Papa Pio IX, considerato moderato ma con gesti iniziali di apertura, come l'amnistia per i detenuti politici e l'allentamento della censura sulla stampa. Questo suscitò entusiasmo e ispirò iniziative riformatrici in tutta la penisola, con particolare attenzione al Regno di Sardegna e al Granducato di Toscana. Anche se il Regno delle Due Sicilie resisteva alle riforme, la protesta scoppiò, portando alla concessione della Costituzione da parte di Ferdinando II, seguita da una serie di adozioni costituzionali da parte di altri stati italiani.

Il 1848 vide l'esplosione della Prima Guerra d'Indipendenza italiana, con rivolte a Vienna, Venezia, e Milano, quest'ultima notevole per le celebri "cinque giornate". L'insurrezione si diffuse anche a Parma e Modena. Pressioni patriottiche furono esercitate su Carlo Alberto per intervenire in Lombardia, nonostante l'opposizione di Cattaneo e dei federalisti. Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria il 23 marzo, seguito da altri eserciti italiani. Tuttavia, la guerra assunse un carattere federale contro l'Austria. Nonostante alcune vittorie italiane, Radetzky mantenne una forte posizione difensiva. L'Austria minacciò Pio IX di uno scisma, portandolo a dichiararsi neutrale. Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II di Napoli ritirarono il loro sostegno all'indipendenza, lasciando Carlo Alberto come unico leader della guerra.

I moti del 48

I piemontesi da soli:la guerra regia

Dopo le prime vittorie piemontesi, la guerra contro l'Austria vide una sconfitta decisiva a Custoza, portando alla firma di un armistizio a Vigevano nel 1848. Tuttavia, le speranze patriottiche continuarono con rivolte in tutta Italia. Pio IX fuggì dallo Stato Pontificio, mentre in Toscana e Piemonte si formarono repubbliche. Carlo Alberto, desideroso di restaurare il prestigio dei Savoia, riprese la guerra nel 1849, ma subì una pesante sconfitta a Novara e abdicò in favore di Vittorio Emanuele II. Le repubbliche italiane crollarono, con Brescia, Roma, e Palermo tra le prime a cadere. Venezia si arrese agli Austriaci nel 1849, segnando la fine della prima fase del Risorgimento.

Grazie per l'attenzione

i moti del 48

  • Balbi Anna
  • Bielecki Matteo
  • Spina Roberta
  • Neri Gennaro
  • Sannino Marta Miriam Assunta