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La Flagellazione di Cristo è un dipinto di Piero della Francesca, realizzato nel 1450 circa e conservato nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino; si tratta di una tempera su tavola di dimensioni 58,4×81,5 cm. La scena mostra la Flagellazione di Cristo, tema abbastanza inconsueto come opera a sé stante, in quanto solitamente veniva inserito all'interno di cicli su storie della Passione di Gesù, o in generale sulla sua vita. Ancora più originale è la composizione della scena, divisa in due parti, con tre figure in primo piano a destra, e la flagellazione vera e propria che avviene a sinistra, più distante.
P  i  e  r  o    d  e  l  l  a    F  r  a  n  c  e  s  c  a
Flagellazione di Cristo
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Geometria
Scena
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Storia
Autore

La Flagellazione di Cristo è un dipinto di Piero della Francesca, realizzato nel 1450 circa e conservato nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino; si tratta di una tempera su tavola di dimensioni 58,4×81,5 cm. La scena mostra la Flagellazione di Cristo, tema abbastanza inconsueto come opera a sé stante, in quanto solitamente veniva inserito all'interno di cicli su storie della Passione di Gesù, o in generale sulla sua vita. Ancora più originale è la composizione della scena, divisa in due parti, con tre figure in primo piano a destra, e la flagellazione vera e propria che avviene a sinistra, più distante.

P i e r o d e l l a F r a n c e s c a

Flagellazione di Cristo

Dipinta tra il 1460 e il 1461, la Flagellazione di Cristo è considerata come una delle opere più controverse del Rinascimento. Il dipinto fu quasi certamente eseguito a Urbino, dove il pittore si era trasferito dalla fine degli anni Cinquanta e dove visse, a più riprese, per un lungo periodo. Committente del quadro potrebbe essere stato Federico da Montefeltro, duca di Urbino e suo grande ammiratore. Federico era un guerriero; tuttavia, aveva acquisito nel tempo la cultura degna di un sovrano europeo e aveva alimentato nella sua corte un clima di sontuoso e raffinato mecenatismo.

La Flagellazione riunisce due scene distinte eppure connesse fra di loro: a destra, in primo piano, tre uomini sembrano colloquiare insieme, in una strada affiancata da edifici antichi e rinascimentali. A sinistra, Cristo legato alla colonna è flagellato al cospetto di Pilato, che osserva la scena seduto sul trono. Questa pagina del Vangelo è ambientata sotto una loggia classica, sostenuta da colonne composite scanalate, coperta da un soffitto a cassettoni, e ispirata apertamente alla contemporanea architettura di Leon Battista Alberti, grande architetto del Rinascimento che di Piero era amico. La pavimentazione in cotto della piazza è percorsa da lunghe strisce di marmo bianco; il pavimento della loggia, invece, è riccamente decorato con grandi tarsie marmoree bianche e nere. La scena è resa con grande perizia tecnica attraverso la definizione attenta di ogni particolare.

Nella Flagellazione, i due gruppi di figure, benché apparentemente estranei fra di loro, sono idealmente unificati da una costruzione prospettica assai complessa, che è poi la vera protagonista della tavola. Tale prospettiva sembra voler indicare che il quadro non va letto da sinistra a destra, come vorrebbe la logica, ma da destra a sinistra, lasciando intuire che il titolo dell’opera è fuorviante: la flagellazione di Cristo, così relegata in secondo piano, sembra avere in sé stessa un valore simbolico e appare evocativa di qualcos’altro, forse un fatto storico contemporaneo alla vita dell’artista. Le due scene sono inscrivibili, insieme, in un rettangolo i cui lati si relazionano fra loro secondo la formula proporzionale della sezione aurea, pari al numero 1,618, amato e applicato in architettura sin dai tempi dell’antica Grecia. D’altro canto, a un esame attento dell’opera si scoprono ovunque rapporti numerici, figure geometriche, corrispondenze, parallelismi che rivelano quanto studio abbia dedicato Piero della Francesca alla sua composizione e che hanno spinto la critica a definire la Flagellazione come un “sogno matematico”.

Ponzio Pilato, che assiste impotente alla tortura, sarebbe in realtà l’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII. I flagellatori sarebbero gli infedeli, e in effetti sia gli atteggiamenti sia le fisionomie rimandano alle figure dei pirati turchi e mongoli. Il personaggio di spalle sarebbe invece il sultano Maometto II che intendeva insediarsi sul trono di Bisanzio: egli è infatti a piedi scalzi, mentre è Giovanni VIII a indossare i purpurei calzari imperiali, che solo gli imperatori bizantini potevano portare. I tre uomini in primo piano sarebbero invece, da sinistra: il cardinale Bessarione, ossia il delegato bizantino che molto si adoperò durante il Concilio di Ferrara e Firenze del 1438-39, nella speranza di ottenere l’aiuto occidentale contro gli Ottomani e di scongiurare la caduta di Costantinopoli; Tommaso Paleologo, pretendente senza speranza al trono di Bisanzio (e difatti anch’egli è scalzo); infine, Niccolò III d’Este, il quale ospitò parte del Concilio a Ferrara.

Piero della Francesca è stato un pittore e matematico italiano del XV secolo, nato intorno al 1415 a Borgo San Sepolcro, nella regione della Toscana. Poco si sa della sua infanzia e formazione, ma si ritiene che abbia studiato pittura con maestri locali. La sua carriera artistica si sviluppò principalmente nel contesto dell’Umanesimo rinascimentale, un periodo caratterizzato dalla riscoperta e dalla valorizzazione delle arti e delle scienze classiche. La sua opera più celebre è senza dubbio la serie di affreschi intitolata “La Leggenda della Vera Croce,” realizzata nel Palazzo dei Duchi di Urbino tra il 1452 e il 1466. Questo ciclo narrativo illustra la storia della Croce di Cristo e mostra l’influenza della geometria e della prospettiva nella sua pittura. Piero della Francesca fu un precursore nell’applicare principi matematici e scientifici all’arte, influenzando così il movimento artistico successivo. Oltre alla sua attività pittorica, Piero era anche interessato alla matematica e alla geometria. Scrisse un trattato intitolato “De Prospectiva Pingendi,” che approfondiva la prospettiva artistica in termini matematici. La sua conoscenza scientifica influenzò il modo in cui concepì lo spazio e la luce nelle sue opere, conferendo loro una profondità e una chiarezza uniche.

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