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Transcript

Dante Alighieri

Inferno

Gironi

La vita e le opere

Purgatorio

Paradiso

La commedia: struttura

Testi e progetto prof.ssa Sonia Russo

Prof.ssa Sonia Russo

Illustrazioni Gabriele Dell'Otto

Nel paradiso Dante indica la Terra come circondata da una sfera d’aria, una sfera di fuoco (da dove nascono i fulmini) e nove sfere celesti contenute l’una nell’altra, queste dotate di un moto circolare e concentrico che crea una musica celestiale. Oltre le nove sfere si trova l’EMPIREO, una sorta di grande involucro che comprende l’Universo. Al di fuori dell’Empireo c’è una grande candida rosa in cui si trovano i beati e, oltre alla rosa, i nove cerchi angelici al cui centro si trova Dio. Ogni cielo è governato da una particolarità, e le anime che si trovano in un determinato cielo hanno mostrato in vita la stessa caratteristica. Ad esempio, nel cielo della Luna (incostanza) si trovano coloro che non hanno peccato, ma hanno mancato ai voti fatti, anche se non volontariamente. Più un’anima è vicina a Dio più potrà contemplarlo direttamente e quindi godere della sua visione. La gioia nel paradiso è data proprio dalla visione di Dio, che appaga ogni desiderio ancor prima che venga espresso (es. ho voglia di mangiare una torta, prima ancora di sentire la voglia, sento il gusto della torta e il piacere della soddisfazione). Però Dio non può essere guardato direttamente se non dagli angeli, così, nell’VIII cielo stellato (detto anche delle stelle fisse), Maria ha il compito di riflettere attraverso il suo sguardo la luce e l’immagine di Dio; le anime infatti impazzirebbero per la troppa gioia se non ci fosse Maria a diminuirne l’intensità.

La Terra è divisa in due emisferi: uno composto da terra e acqua, in cui viviamo noi, e uno composto solo di acqua, in cui nessuno vive. Nel nostro emisfero, chiamato “della terra”, c’è Gerusalemme; non lontano dalla città santa c’è un bosco terribile in cui si trova l’entrata dell’inferno, immaginato come un’ampia voragine a forma d’imbuto, che sprofonda sotto Gerusalemme e termina al centro della terra. La voragine si formò quando Lucifero, cacciato dal cielo, fu scaraventato sulla terra. Questa, per evitare il contatto del suo corpo, si ritirò e la terra così rientrata, attraverso la natural burella riemerse nell’emisfero australe, formando la montagna del Purgatorio. In tal modo un’asse ideale collega il Paradiso terrestre, posto sulla montagna del Purgatorio, il centro della terra e Gerusalemme (o, meglio, il Monte del Golgota, sul quale fu crocifisso Gesù). Nel purgatorio si trovano coloro che hanno peccato in vita ma si sono pentiti; quindi subiscono torture e pene come le anime dell’inferno, ma hanno la speranza di arrivare in paradiso. Questa cantica è l’unica tra le tre in cui si ha la percezione dello scorrere del tempo, proprio perché le anima devono espiare e purificarsi (purgarsi = pulirsi). Ogni peccatore deve fare come il pellegrino, ovvero camminare verso la meta cancellando strada facendo tutti i peccati che ha commesso in vita: meno peccati si sono commessi, meno tempo l’anima dovrà sostare nel purgatorio.

L’Inferno si divide in Antinferno, o vestibolo, e Inferno propriamente detto, separati dal fiume Acheronte, che vuol dire “fiume del dolore”, del pianto. Le anime sono punite secondo la legge del CONTRAPPASSO, ossia devono subire un castigo uguale o contrario al peccato che hanno commesso in vita. La gravità del peccato e della pena aumenta a mano a mano che si scende verso il centro della terra; ovviamente, anche se si tratta di spiriti, i peccatori sentono il dolore come se fossero fatti di carne. Dal II al V cerchio ci sono gli incontinenti, coloro che non hanno saputo contenere e frenare con la ragione gli istinti naturali. Alla fine di questi cerchi si trova il basso inferno, separato dall’alto inferno dalle mura infuocate della città di Dite (nome latino di Plutone, il re dell’Ade). Il basso inferno ospita i violenti, tutti i peccatori che hanno usato la forza per fare il male. Nella terza parte vengono puniti i traditori, coloro i quali hanno usato l'intelligenza per fare del male.

I violenti contro Dio: I due giungono ad un’enorme spiaggia. Qui si trovano le anime dei violenti contro natura, Dio e l’arte. Tutti sono seduti, sdraiati o in perpetua corsa sulla sabbia, colpiti da una pioggia di fuoco che incendia anche la sabbia. Quelli che sono seduti sono i bestemmiatori, che hanno usato violenza contro Dio con la parola; quelli sdraiati sono gli usurai, che hanno offeso Dio perché guadagnano dai soldi e non dall'operosità e dall'arte; mentre quelli che corrono sono i sodomiti, che hanno fatto violenza contro Dio andando contro la natura (nel mondo medievale l'omosessualità era considerata contro natura). In mezzo alla spiaggia, sdraiato senza lamentarsi, in modo quasi fiero, si trova Capaneo, uno dei sette re che assediarono Tebe e che dopo la vittoria salì sulle mura della città per bestemmiare contro Zeus e gli dei. Tra i sodomiti che camminano passa Brunetto Latini che riconosce Dante e si avvicina per salutarlo. Egli è un celebre scrittore toscano che morì pochi anni prima della stesura della Commedia; il suo Tresor o Tesoretto, è una raccolta di vari saperi in lingua francese d’oc e volgare italiana. Egli conosceva Dante e lo stimava come poeta, Dante riteneva Brunetto uno dei suoi maestri I due parlano in modo molto elegante e si capisce che si stimano. Brunetto si rammarica solo di esser morto troppo presto e non aver avuto la possibilità di difendere Dante dall'esilio, ma lo consola: diventerà così famoso che tutti i fiorentini lo vorranno al loro fianco, bianchi e neri... Inferno, canto XV (vv. 67-71) 69 71 Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;gent' è avara, invidiosa e superba:dai lor costumi fa che tu ti forbi. La tua fortuna tanto onor ti serba,che l'una parte e l'altra avranno famedi te; ma lungi fia dal becco l'erba. Secondo i detti antichi i fiorentini sono dei ciechi; è gente avara, invidiosa e superba: fai in modo da allontanarti dai loro vizi. Il tuo destino è di avere così tanto successo, che sia i Bianchi che i Neri ti vorranno dalla loro parte, ma l’erbetta sarà lontana dai musi delle bestie. Dante si commuove per la profezia e chiede al suo vecchio maestro cosa può fare per lui una volta tornato sulla Terra; Brunetto risponde di tenere con cura la sua opera, come se fosse un figlio, e di diffondere il suo nome come poeta, quindi torna tra i dannati. CONTRAPPASSO: come Sodoma e Gomorra sono state distrutte da Dio con il fuoco, anche i sodomiti e i bestemmiatori subiscono la stessa punizione; in più gli usurai, che non si sono mossi e hanno fatto lavorare il denaro per loro, devono stare sdraiati senza potersi muovere per proteggersi dal fuoco.

I violenti contro sé stessi e le proprie cose: Giunto dall’altra parte del fiume infernale, Dante osserva il panorama: ci sono rovi e piante morte su cui si trovano i nidi delle arpie; il poeta sente orribili lamenti ma non vede nessuno. Virgilio spiega che qui si trovano i violenti contro se stessi e lo invita a staccare un ramo di un rovo… Inferno, canto XIII (vv. 28-39) 30 33 36 39 42 45 Però disse 'l maestro: «Se tu tronchiqualche fraschetta d'una d'este piante,li pensier c'hai si faran tutti monchi». Allor porsi la mano un poco avantee colsi un ramicel da un gran pruno;e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?» Da che fatto fu poi di sangue bruno,ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?non hai tu spirto di pietade alcuno? Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:ben dovrebb' esser la tua man più pia,se state fossimo anime di serpi». Come d'un stizzo verde ch'arso siada l'un de' capi, che da l'altro gemee cigola per vento che va via, sì de la scheggia rotta usciva insiemeparole e sangue; ond' io lasciai la cimacadere, e stetti come l'uom che teme. Così il maestro disse: “Se tu stacchi qualche rametto di una di queste piante, tutte le domande che hai si chiariranno”. Allora portai la mano un po’ avanti e strappai un ramoscello da un grosso pruno; e il suo tronco gridò: “Perché mi spezzi?” Quando poi si colorò di sangue scuro, riprese a dire: “Perché mi tormenti? Non hai alcuna pietà nel tuo animo? Fummo uomini e ora siamo arbusti secchi: la tua mano dovrebbe essere più pietosa, anche se fossimo stati anime di serpenti”. Come un tizzone giovane che sia bruciato da uno dei capi, e dall’altro fa rumore e cigola per l’umidità che esce, così dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue; così io lasciai il ramo cadere, e rimasi impaurito e meravigliato. Virgilio si scusa per aver suggerito di staccare un pezzo di ramo, ma se Dante avesse solo sentito la metamorfosi e non l’avesse vista, non ci avrebbe mai creduto. Il pruno dice di essere l’anima di Pier delle Vigne, un poeta della corte di Federico II che, accusato di tradimento per l’invidia dei compagni, fu arrestato e fatto accecare; così, disperato per l’ingiustizia subita, morì suicida in carcere. Pier spiega a Dante che Minosse scaraventa le anime dei suicidi in questo girone e loro si interrano in un punto a caso e da lì germoglia il loro corpo a forma di cespuglio; le arpie, con le loro zampe da rapaci, strappano i rami e si nutrono delle foglie, provocando dolore. Mentre parlano, Dante vede delle anime che corrono disperate tra gli alberi della foresta, e, mentre fuggono inseguiti da feroci cagne nere, spaccano rami provocando altro dolore ai suicidi. Quando le cagne riescono a raggiungere le anime in fuga e le sbranano tra atroci sofferenze, sparpagliando pezzi di corpo ovunque. Poco dopo i pezzi si ricompongono e la fuga ricomincia. Virgilio spiega che si tratta dei dilapidatori delle ricchezze, coloro che distrussero le proprie ricchezze e le usarono per fare il male: sono gli scialacquatori, la differenza con i prodighi sta proprio nella violenza con cui si liberarono dei propri averi Tra questi Dante riconosce dei toscani e soprattutto Jacopo da Sant'Andrea, che aveva incendiato le sue proprietà per farsi bello agli occhi dei suoi amici; egli viene braccato e smembrato dalle cagne vicino a Dante; dopo questo avvenimento tragico, Dante sente un lamento: è il pruno distrutto dal passaggio di Jacopo che chiede a Dante di raccogliere i rametti e le foglie e metterli vicini al tronco. Questo suicida anonimo rappresenta tutti quei fiorentini che non sono stati capaci di affrontare la crisi economica e trasmette un senso si profonda solitudine. CONTRAPPASSO: I suicidi in vita si sono strappati alla vita, ora sono bloccati in una forma inferiore a quella umana (vegetale). Sono gli unici dannati che, dopo il Giudizio, non riavranno il loro corpo, ma lo trascineranno e lo appenderanno all’albero, come eterna penitenza. Gli scialacquatori distrussero i loro beni, ora sono raggiunti da una muta di cagne nere che li smembrano.

Dopo aver conversato con altre anime dannate, Virgilio e Dante arrivano al punto in cui il Flegetonte crea una cascata e Dante chiede come farà a scendere, visto che non ci sono scale o sentieri. Virgilio risponde mostrando con il dito una creatura che si sta avvicinando, è il mostro Gerione, essere con il volto di uomo buono, il corpo di serpente e coda da scorpione... Inferno, canto XVII (vv. 1-15) 3 6 9 12 15 «Ecco la fiera con la coda aguzza,che passa i monti e rompe i muri e l'armi!Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!». Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;e accennolle che venisse a proda,vicino al fin d'i passeggiati marmi. E quella sozza imagine di frodasen venne, e arrivò la testa e 'l busto,ma 'n su la riva non trasse la coda. La faccia sua era faccia d'uom giusto,tanto benigna avea di fuor la pelle,e d'un serpente tutto l'altro fusto; due branche avea pilose insin l'ascelle;lo dosso e 'l petto e ambedue le costedipinti avea di nodi e di rotelle. “Ecco la bestia con la coda biforcuta, che sovrasta i monti e distrugge mura e armi! Ecco chi appesta con la puzza tutto il mondo!”. Così comincia a parlarmi la mia guida e gli fece segno di avvicinarsi alla riva, fino alle pietre che avevamo percorso. E quella schifosa immagine di inganno, arrivò e portò la testa e il busto sull’argine ma non la coda. La sua faccia era quella di uomo onesto tanto benevolo era il suo aspetto esteriore, ma il resto del corpo era quello di un serpente aveva sue zampe pelose fino alle ascelle; il dorso e il petto e tutte e due i fianchi disegnati con nodi e rotelle. Questo mostro accompagna in groppa i due poeti, che stanno molto attenti a non farsi colpire dalla coda da scorpione; quindi scendono nell’VIII cerchio, detto anche Malebolgie, perché diviso in dieci bolge (cerchi concentrici), con al centro un pozzo profondissimo. Qui vengono puniti coloro i quali hanno commesso il male con l’inganno. Le bolge sono unite tra di loro da ponti di pietra a dorso d'asino su cui camminano i due visitatori.

I due entrano nel cerchio degli eretici, che sono sdraiati dentro sepolcri infuocati. Tra questi si trova il capo ghibellino Farinata degli Uberti, concittadino di Dante. Nonostante sia un avversario politico, il dialogo tra i due si mantiene rispettoso, perché Farinata si è sempre mostrato coerente, fiero e dignitoso. Farinata chiede a Dante della situazione politica di Firenze e gli profetizza l’esilio. Mentre parla con Farinata, un altro dannato gli domanda come mai un vivo si trovi all’inferno; Dante lo riconosce: è Cavalcante, padre dell’amico Guido Cavalcanti; gli risponde sovrappensiero… Inferno, canto X (vv. 61-63) 63 E io a lui: «Da me stesso non vegno:colui ch'attende là, per qui mi menaforse cui Guido vostro ebbe a disdegno». E io a lui: “non vengo per mia volontà: Virgilio mi accompagna per questi luoghi grazie a colui che forse il vostro Guido disprezzò” Sentendo il verbo al passato, Cavalcante chiede se il figlio sia morto, e poiché Dante tentenna nel dare una risposta, il dannato strabuzza gli occhi e sviene. Il poeta allora si rivolge di nuovo a Farinata giurando: Guido è vivo e sano! Dante aveva titubato nel rispondere perché stava pensando ad altro, ovvero: come mai due dannati gli hanno predetto il futuro, ma non sanno cosa succede nel presente? Farinata spiega che i dannati vedono solo il passato e il futuro e gli promette che riferirà della buona salute di Guido a Cavalcante, non appena si riprenderà dallo spavento. CONTAPPASSO: in vita seguirono una luce sbagliata, ora sono bruciati nelle fiamme; in vita non videro la verità, nell'inferno vedono solo il passato e il futuro e non il presente. Dopo il giudizio universale diventeranno completamente ciechi.

I violenti contro gli altri: A questo punto Virgilio conduce Dante verso un burrone che separa il VI e il VII cerchio. Mentre scendono, Virgilio spiega che a partire da questo girone si trovano i dannati più colpevoli e più puniti, perché hanno usato l’intelletto per compiere i loro peccati. A guardia del burrone c’è il Minotauro, simbolo della violenza bestiale; infatti in questo cerchio sono torturati i violenti, divisi in tre gruppi. I primi ad apparire ai poeti sono i violenti contro il prossimo, immersi nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente e puzzolente. Ma, prima di arrivare ad osservare i dannati, un gruppo di centauri ferma i due poeti; questi esseri mitologici hanno il compito di colpire con le frecce i dannati che emergono dal fiume. A capo di tutti si trova Chirone, che interroga Virgilio sul loro viaggio: Inferno, canto XII (vv. 76-87) 78 81 84 87 Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:Chirón prese uno strale, e con la coccafece la barba in dietro a le mascelle. Quando s'ebbe scoperta la gran bocca,disse a' compagni: «Siete voi accortiche quel di retro move ciò ch'el tocca? Così non soglion far li piè d'i morti!».E 'l mio buon duca, che già li er' al petto,dove le due nature son consorti, rispuose: «Ben è vivo, e sì solettomostrar li mi convien la valle buia;necessità 'l ci 'nduce, e non diletto.” Ci avvicinammo a quelle bestie eleganti: Chirone prese una freccia, e con la cocca tirò la barba dietro alle mascelle. Quando scoprì la grande bocca, disse ai suoi compagni: “Vi siete accorti che quello dietro muove ciò che tocca? Di solito non fanno così i piedi dei morti!” E la mia buona guida, che gli era andata vicino, dove parte umana ed equina si incontrano, rispose: “Eì vivo davvero, e solo a lui devo mostrare l’inferno; il nostro è un viaggio di dovere, non di piacere.” Quando viene a conoscenza del fatto che il viaggio dei due poeti è voluto da Dio, il saggio Chirone ordina al centauro Nesso di condurre in groppa Dante e Virgilio per attraversare il fiume. Qui Dante vede i briganti, gli assassini, i vandali, i tiranni, tra tutti riconosce Alessandro Magno, Attila, Dionisio, Ezzellino da Romano, Obizzo d’Este, tutti politici che avevano agito da dittatori violenti. CONTRAPPASSO: Poiché si macchiarono di sangue e usarono violenza in vita contro gli altri, ora subiscono le stesse condizioni. I centauri, metà uomini e metà cavalli, simboleggiano la violenza bestiale, anche se nel mondo greco e romano erano simbolo di saggezza.

Tra le bolge ci sono dei dislivelli e quando Dante si avvicina alla seconda bolgia, una puzza tremenda colpisce Dante: qui si trovano gli adulatori, che si lamentano e si colpiscono con le loro stesse mani. Dante e Virgilio salgono su un ponte e da lì riescono a vedere bene: il fondo della bolgia è un lago di sterco come quello delle latrine, i vapori che salgono creano una muffa puzzolente su tutte le pareti della bolgia. In quel lago orrendo Dante riconosce Alessio Interminelli, un lucchese famoso per essere un leccapiedi. Inferno, canto XVIII (vv. 124-126) 126 Ed elli allor, battendosi la zucca «Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe ond’io non ebbi mai la lingua stucca». E lui allora, colpendosi la testa, "Mi hanno spedito in questo luogo le lusinghe di cui io non ebbi mai la lingua stanca" Dopo questo incontro Virgilio indica una donna sudicia, che si graffia con le unghie piene di sterco e urla in modo sguaiato. Si tratta della prostituta Taide che rappresenta le persone che giurano amore e devozione a tutti. A quel punto i due si allontanano e passano nella bolgia successiva. CONTRAPPASSO: gli adulatori si sono sporcati con le loro adulazioni e ora sono nello sterco.

Nella prima bolgia Dante vede centinaia diavoli inferociti che frustano le schiene delle anime dei seduttori, che corrono sotto i loro colpi. Essi si differenziano dai lussuriosi perché i lussuriosi sono stati travolti dalla passione, mentre i seduttori hanno usato l'inganno per costringere gli altri ad avere rapporti (hanno convinto donne a prostituirsi o a giacere con loro). Tra i ruffiani Dante include Venedico Caccianemico, bolognese che avrebbe venduto la sorella Ghisolabella al marchese Obizzo II d'Este. Il dannato cerca di nascondersi, ma Dante lo riconosce e Venedico aggiunge che non è il solo bolognese fra i ruffiani, ma anzi, a Bologna moltissimi sono ruffiani perché molto furbi e avidi. Tra i seduttori invece Virgilio indica Giasone, che procede con portamento regale indifferente alle percosse ricevute: l'eroe è colpevole di aver sedotto e abbandonato la giovinetta Isifile sull'isola di Lemno, e ingannato Medea. CONTRAPPASSO: si rifà alla punizione usata nel medioevo per i protettori delle prostitute, ovvero la pubblica fustigazione.

Quando giunge nella terza bolgia Dante vede una lastra enorme di pietra tutta piena di buchi; da questi spuntano delle gambe con le piante dei piedi infuocate. Virgilio spiega che questi sono i simoniaci, cioè quelli che avevano comprato e venduto le cose sacre, sia oggetti che cariche e perdoni. Sulla parte più alta del ponte, Dante guarda la bolgia e vede tanti buchi tondi sul fondo e sulle pareti che gli ricordano i fonti battesimali del battistero di San Giovanni a Firenze. I peccatori sono infilati a testa in giù nei buchi e le piante dei piedi sono infuocate da fiammelle, come se fossero state precedentemente unte. Dante chiede chi sia quel dannato che urla più degli altri e ha le fiammelle più colorate, allora Virgilio si offre di portare Dante sul fondo della bolgia per poter parlare con lui. Si tratta di papa Niccolò III, che crede che Dante sia il papa in carica, Bonifacio VIII. Chiarito l'equivoco, Niccolò fa una profezia e dice che sta attendendo Bonifacio e subito dopo di lui lo seguirà Clemente V. Infatti i nuovi arrivati si conficcano nelle buche spingendo ancora più giù i peccatori precedenti. Inferno, canto XIX (vv. 52-84) 54 57 60 63 66 69 72 75 78 81 84 Ed el gridò: «Se' tu già costì ritto,se' tu già costì ritto, Bonifazio?Di parecchi anni mi mentì lo scritto. Se' tu sì tosto di quell' aver sazioper lo qual non temesti tòrre a 'ngannola bella donna, e poi di farne strazio?». Tal mi fec' io, quai son color che stanno,per non intender ciò ch'è lor risposto,quasi scornati, e risponder non sanno. Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:``Non son colui, non son colui che credi"»;e io rispuosi come a me fu imposto. Per che lo spirto tutti storse i piedi;poi, sospirando e con voce di pianto,mi disse: «Dunque che a me richiedi? Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto,che tu abbi però la ripa corsa,sappi ch'i' fui vestito del gran manto; e veramente fui figliuol de l'orsa,cupido sì per avanzar li orsatti,che sù l'avere e qui me misi in borsa. Di sotto al capo mio son li altri trattiche precedetter me simoneggiando,per le fessure de la pietra piatti. Là giù cascherò io altresì quandoverrà colui ch'i' credea che tu fossi,allor ch'i' feci 'l sùbito dimando. Ma più è 'l tempo già che i piè mi cossie ch'i' son stato così sottosopra,ch'el non starà piantato coi piè rossi: ché dopo lui verrà di più laida opra,di ver' ponente, un pastor sanza legge,tal che convien che lui e me ricuopra.” Ed egli gridò: “Sei già qui dritto in piedi? Sei già qui dritto in piedi, Bonifacio? Di molti anni si sbagliò il libro del futuro. Ti sei saziato così presto di quegli averi per i quali non temesti di prendere con l’inganno la Chiesa e poi distruggerla?”. Io divenni come chi rimane senza parole per non aver capito cosa gli viene chiesto, quasi imbarazzato, e non sa cosa rispondere. Allora Virgilio disse: “Digli subito “Non sono quello, non sono quello che credi”; e io risposi come mi fu detto. Per questo lo spirito contorse i piedi; poi, sospirando e con voce lamentosa mi disse: “Allora cosa vuoi sapere da me” Se ti interessa così tanto sapere qualcosa da me da essere disceso in questo luogo infernale, sappi che io fui vestito del manto papale; e fui figlio della famiglia Orsini, così desideroso di rendere ricchi i miei parenti che sulla Terra intascai ricchezze e qui me stesso. Sotto la mia testa sono stati messi gli altri che mi precedettero nel peccato di simonia, schiacciati tra le fessure della terra. Io scenderò tra di loro quando verrà colui che io credevo fossi tu, quando ti feci quella domanda improvvisa. Ma il tempo in cui io mi bruciai i piedi e che sono stato così sottosopra non sarà tanto quanto ci rimarrà Bonifacio: perché dopo di lui arriverà uno ancora peggiore dall’occidente, un papa senza legge così terribile che schiaccerà giù sia me che lui.” Dante maledice violentemente tutti i papi simoniaci, colpevoli di aver portato la Chiesa nel peccato e di averla sottomessa al potere temporale. A sentire quelle parole, Niccolò scalcia e urla ancora di più, anche Dante è stremato dall'indignazione e Virgilio lo prende in braccio e lo porta sul ponte all'inizio della bolgia successiva. CONTRAPPASSO: I simoniaci sono capovolti, visto che capovolsero le parole di Dio asservendole al denaro e hanno le fiamme sui piedi, invece che sulla testa come la ebbero gli apostoli (una specie di aureola).

Mentre i due parlano, giungono alla V bolgia, dove i barattieri, che avevano mercanteggiato con le cose pubbliche, si trovano immersi in un lago di pece. Mentre Dante guarda la pece, un gigantesco diavolo nero li supera, tenendo sulle spalle un dannato; grida ad altri diavoli che sta portando un politico di Lucca, quindi lo lancia nello stagno ribollente e avvisa i suoi compari che si sta recando nuovamente a Lucca, per far incetta di quei peccatori. Il dannato fuoriesce dal liquame bollente, ma i diavoli intorno lo avvisano che deve restare immerso, se non vuole subire una sorte peggiore. Il peccatore non presta ascolto e i diavoli lo arpionano con uncini affilati, distruggendo il suo corpo e lanciandolo nella pece, dove si ricomporrà. Inferno, canto XXII (vv. 25-75; 55-60; 70-75) 27 30 33 36 39 42 E come a l'orlo de l'acqua d'un fossostanno i ranocchi pur col muso fuori,sì che celano i piedi e l'altro grosso, sì stavan d'ogne parte i peccatori;ma come s'appressava Barbariccia,così si ritraén sotto i bollori. I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia,uno aspettar così, com' elli 'ncontrach'una rana rimane e l'altra spiccia; e Graffiacan, che li era più di contra,li arruncigliò le 'mpegolate chiomee trassel sù, che mi parve una lontra. I' sapea già di tutti quanti 'l nome,sì li notai quando fuorono eletti,e poi ch'e' si chiamaro, attesi come. «O Rubicante, fa che tu li mettili unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,gridavan tutti insieme i maladetti. E come sull’orlo dell’acqua di un fosso stanno i ranocchi con il muso fuori così che nascondono le zampe e il corpo, stavano in quella pece i peccatori; ma appena si avvicinava Barbariccia, mettevano la testa sott’acqua. Io vidi, e il cuore ancora ne prova terrore, uno di loro stare in attesa, come accade che una rana stia ferma mentre le altre scappano; e Graffiacane che più degli altri gli era di fronte, gli afferrò con l’uncino i capelli appiccicosi di pece e lo sollevò, tanto che mi sembrò una lontra. Io conoscevo già il nome di tutti quanti i diavoli, poiché li memorizzai quando vennero scelti, e poi ascoltai quando si chiamavano l’un l’altro. " O Rubicante, fa in modo di mettergli addosso gli artigli, in modo da scuoiarlo!" urlavano tutti insieme i malvagi. Questi diavoli si chiamano Malebranche e sono: Malacoda (il capo della banda), Scarmiglione (arruffato o "arruffone"), Barbariccia (il "sergente" della truppa che accompagna Dante e Virgilio lungo l'argine della bolgia), Alichino (da cui poi deriverà l' Arlecchino delle commedie), Calcabrina, Cagnazzo, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto (porco), Graffiacane, Farfarello, Rubicante (rosso/rabbioso). Il loro capo, Malacoda, comunica a Virgilio che la strada principale è crollata. Virgilio va a parlamentare con lui e ottiene una scorta di dieci diavoli per raggiungere l'altra sponda, ma Dante si lamenta, ha paura, vorrebbe fare a meno di questa compagnia demoniaca. Virgilio lo tranquillizza e prosegue, quando all'improvviso uno dei demoni lo affronta e gli chiede cosa lo faccia sentire così sicuro di sé; Virgilio fa notare che il suo percorso è protetto da qualcuno di molto in alto, provocando paura e disprezzo dei diavoli e soprattutto di Malacoda, che però deve accettare il volere di Virgilio e di Dio, urlando ai compagni di non toccare i due viandanti. Improvvisamente però Dante si trova ad assistere a uno strano scambio di segnali e ad un’orribile scena… 57 60 E Cirïatto, a cui di bocca usciad'ogne parte una sanna come a porco,li fé sentir come l'una sdruscia. Tra male gatte era venuto 'l sorco;ma Barbariccia il chiuse con le bracciae disse: «State in là, mentr' io lo 'nforco». E Ciriatto, al quale dalla bocca sporgeva da ogni parte una zanna come a un cinghiale, gli fece sentire come una di esse lacerava. Il topo era capitato tra gatte cattive; ma Barbariccia lo circondò con le braccia, e disse: " State lontani, finché lo tengo stretto ". Dante interroga il dannato e scopre che è un feudatario del re di Navarra, ma le sue domande sono troppe e i diavoli iniziano a perdere la pazienza… 72 75 E Libicocco «Troppo avem sofferto»,disse; e preseli 'l braccio col runciglio,sì che, stracciando, ne portò un lacerto. Draghignazzo anco i volle dar di pigliogiuso a le gambe; onde 'l decurio lorosi volse intorno intorno con mal piglio. E Libicocco disse: “Abbiamo aspettato troppo” e gli prese il braccio con l’uncino tanto che ne strappò un pezzo. Anche Draghignazzo lo volle colpire giù nelle gambe; per cui il loro capo si volse tutto intorno con espressione adirata.

Virgilio conduce Dante giù per un sentiero e gli mostra gli indovini e i maghi che abitano la quarta bolgia. Essi hanno la testa girata verso la schiena e devono camminare all’indietro a causa di questa trasformazione, soffrendo in ogni movimento, mentre si bagnano la schiena con di pianto. Tra questi dannati Dante riconosce gli indovini Tiresia e Calcante, insieme a maghi e indovini contemporanei. Dante prova pena per questi dannati e piange nel vederli così deformi, ma Virgilio lo sgrida fortemente perché il loro peccato non è cosa da poco: hanno avuto la presunzione di vedere il futuro, capacità riservata solo a Dio. Dante spiega attraverso le parole di Virgilio che qui si trovano i maghi e gli indovini, mentre l'astrologia è condannata se usata per prevedere il futuro, non se "spiega" la realtà e gli influssi astrali. L'elenco dei peccatori è interrotto dalla spiegazione della nascita della città di Mantova, che non è stata fondata dalla maga Manto, come vuole la leggenda, ma da un gruppo di uomini che diedero questo nome in ricordo dei luoghi in cui visse e morì la maga... sembra quasi che Virgilio voglia "ripulire" la reputazione della propria città con queste parole. Inferno, canto XX (vv. 4-30) 6 9 12 15 18 21 24 27 30 Io era già disposto tutto quanto a riguardar ne lo scoperto fondo, che si bagnava d’angoscioso pianto; e vidi gente per lo vallon tondo venir, tacendo e lagrimando, al passo che fanno le letane in questo mondo Come ’l viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso; ché da le reni era tornato ’l volto, e in dietro venir li convenia, perché ’l veder dinanzi era lor tolto. Forse per forza già di parlasia si travolse così alcun del tutto; ma io nol vidi, né credo che sia. Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto di tua lezione, or pensa per te stesso com’io potea tener lo viso asciutto, quando la nostra imagine di presso vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso. Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi del duro scoglio, sì che la mia scorta mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi? Qui vive la pietà quand’è ben morta; chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta? Io ero già completamente pronto a guardare nel fondo della bolgia che si stava bagnando di pianto angoscioso; e vidi i dannati nel fossato tondo camminare, in silenzio e piangendo, con quel passo che fanno le processioni nel mondo dei vivi. Appena il mio sguardo scese su di loro, incredibilmente mi apparve che fosse capovolto ognuno di loro, tra il mento e l'inizio del petto; perchè il viso era girato dalla parte della schiena e dovevano camminare indietro dato che era loro impossibile guardare avanti. Forse a causa di una qualche paralisi qualcuno avrebbe potuto essere così sfigurato, ma io non lo vidi mai e non credo che esista. Se Dio ti permette, o lettore, di capire il senso di questa lezione, prova a immaginare da solo come potessi io non piangere quando la nostra immagine da vicino vidi così sfigurata che il pianto dai loro occhi bagnava le natiche fino alla fessura. Certo piangevo, appoggiato a uno delle sporgenze della dura roccia, finché la mia guida mi disse: "Anche tu fai parte degli sciocchi? Qui la pietà vale solo se è morta del tutto; chi è più colpevole di colui che vuole forzare il giudizio divino?" CONTRAPPASSO: gli indovini hanno voluto guardare il futuro e ora sono costretti a vedere solo il passato, il loro sguardo infatti è rivolto alle loro spalle.

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ripa scoscesa

Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: Chirón prese uno strale, e con la cocca fece la barba in dietro a le mascelle. Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, disse a' compagni: «Siete voi accorti che quel di retro move ciò ch'el tocca? Così non soglion far li piè d'i morti!». E 'l mio buon duca, che già li er' al petto, dove le due nature son consorti, rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto mostrar li mi convien la valle buia; necessità 'l ci 'nduce, e non diletto.”

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Inferno, canto XII (vv. 76-87)

Quando viene a conoscenza del fatto che il viaggio dei due poeti è voluto da Dio, il saggio Chirone ordina al centauro Nesso di condurre in groppa Dante e Virgilio per attraversare il fiume. Qui Dante vede i briganti, gli assassini, i vandali, i tiranni, tra tutti riconosce Alessandro Magno, Attila, Dionisio, Ezzellino da Romano, tutti politici che avevano agito da dittatori violenti.

Mentre conduce Dante verso il burrone che separa il VI e il VII cerchio, Virgilio spiega che, a partire da questo girone, si trovano i dannati più colpevoli, perché hanno usato l’intelletto per compiere i loro peccati. A guardia del burrone c’è il Minotauro, simbolo della violenza bestiale: in questo cerchio sono torturati i violenti, divisi in tre gruppi. I primi ad apparire ai poeti sono i violenti contro il prossimo, immersi nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente e puzzolente. Ma, prima di arrivare ad osservare i dannati, un gruppo di centauri ferma i due poeti; essi hanno il compito di colpire con le frecce i dannati che emergono dal fiume. A capo si trova Chirone, che interroga Virgilio sul loro viaggio:

CONTRAPPASSO: In vita si macchiarono di sangue e usarono violenza contro gli altri, ora subiscono le stesse condizioni. I centauri simboleggiano l'unione tra uomo e bestia, anche se nel mondo greco e romano erano simbolo di saggezza.

E io a lui: «Da me stesso non vegno: colui ch'attende là, per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno».

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Inferno, canto X (vv. 60-63)

I due entrano nel cerchio degli eretici, che sono sdraiati dentro sepolcri infuocati. Tra questi si trova il capo ghibellino FARINATA DEGLI UBERTI, concittadino di Dante. Nonostante sia un avversario politico, il dialogo tra i due si mantiene rispettoso, perché Farinata si è sempre mostrato coerente, fiero e dignitoso. Farinata chiede a Dante della situazione politica di Firenze e gli profetizza l’esilio.

Mentre parla con Farinata, un altro dannato gli domanda come mai un vivo si trovi all’inferno; Dante lo riconosce: è CAVALCANTE, padre dell’amico Guido Cavalcanti; gli risponde sovrappensiero…

Sentendo il verbo al passato, Cavalcante chiede se il figlio sia morto, e poiché Dante tentenna nel dare una risposta, il dannato strabuzza gli occhi e sviene. Il poeta allora si rivolge di nuovo a Farinata giurando: Guido è vivo e sano! Dante aveva titubato nel rispondere perché stava pensando ad altro, ovvero: come mai due dannati gli hanno predetto il futuro, ma non sanno cosa succede nel presente? Farinata spiega che i dannati vedono solo il passato e il futuro e gli promette che riferirà della buona salute di Guido a Cavalcante, non appena si riprenderà dallo spavento.

CONTRAPPASSO: In vita seguirono una luce sbagliata, ora sono bruciati nelle fiamme; in vita non videro la verità, nell'inferno vedono solo il passato e il futuro e non il presente.

E quei, che ben conobbe le meschine de la regina de l’etterno pianto, «Guarda», mi disse, «le feroci Erine. Quest’è Megera dal sinistro canto;quella che piange dal destro è Aletto; Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. Con l’unghie si fendea ciascuna il petto;battiensi a palme, e gridavan sì alto, ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto. «Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto», dicevan tutte riguardando in giuso; «mal non vengiammo in Teseo l’assalto». «Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso; ché‚ se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi, nulla sarebbe di tornar mai suso». Così disse ’l maestro; ed elli stessimi volse, e non si tenne a le mie mani, che con le sue ancor non mi chiudessi.

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Inferno, canto IX (vv. 42-60)

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Attraversata la palude, i due giungono alle mura della città infernale di Dite, difesa da migliaia di diavoli che vogliono ricacciare indietro Dante e imprigionare Virgilio. Il duca va a parlare con i diavoli lasciando solo Dante immerso nell’oscurità e nella nebbia. Quando Virgilio torna, Dante è ancora più preoccupato, perché per la prima volta vede la sua guida inquieta, in attesa di qualcosa che non arriva… Improvvisamente da una delle torri infuocate delle mura, si alzano di scatto tre furie infernali, le erinni Megera, Aletto e Tisifone si precipitano minacciose verso i due con l'intenzione di pietrificarli.

A queste parole Virgilio ordina a Dante di chiudere gli occhi e aggiunge anche le sue mani per evitare che Medusa lo trasformi in pietra. Quando ormai tutto sembra andare male, appare un angelo che, camminando sulla palude, scaccia i demoni e giunge alle porte della città, le tocca con un piccolo scettro e le fa spalancare, quindi se ne va, senza degnare di uno sguardo Dante o Virgilio.

CONTRAPPASSO: In vita erano immersi nei fumi dell'ira e impaludati nella pigrizia. Ora sono in una melma fangosa con fumi puzzolenti, furiosi gli uni contro gli altri.

Mentre noi corravam la morta gora,dinanzi mi si fece un pien di fango,e disse: "Chi se' tu che vieni anzi ora?".E io a lui: "S'i' vegno, non rimango;ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?".Rispuose: "Vedi che son un che piango".E io a lui: "Con piangere e con lutto,spirito maladetto, ti rimani;ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto".Allor distese al legno ambo le mani;per che 'l maestro accorto lo sospinse,dicendo: "Via costà con li altri cani!". [...]E io: "Maestro, molto sarei vagodi vederlo attuffare in questa brodaprima che noi uscissimo del lago".Ed elli a me: "Avante che la prodati si lasci veder, tu sarai sazio:di tal disio convien che tu goda".Dopo ciò poco vid'io quello straziofar di costui a le fangose genti,che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.Tutti gridavano: "A Filippo Argenti!";e 'l fiorentino spirito bizzarroin sé medesmo si volvea co' denti

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Inferno, canto VIII (vv. 31-63)

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I poeti scendono al V cerchio e si trovano davanti la palude Stigia; a causa di una fitta nebbia maleodorante riescono a vedere solo un puntino luminoso che si avvicina a loro: è la velocissima barca del demone FLEGIAS che li deve portare sull'altra riva. Nella palude si trovano gli accidiosi (pigri) e gli iracondi che si azzuffano tra di loro. Giunti in mezzo alla palude, Dante riconosce un dannato, ma non prova alcuna pietà per lui, anzi lo insulta e chiede a Virgilio di attendere per poterlo guardare mentre si immerge nel fango di nuovo, come un maiale. Virgilio benedice questo desiderio di vendetta, così acconsente e gli fa cenno di guardare, mentre tutte le altre anime graffiano e straziano quel dannato.

CONTRAPPASSO: In vita erano immersi nell'ira e impaludati nella pigrizia. Ora sono in una melma fangosa e puzzolente; ma il vero contrappasso se lo infliggono l'un l'altro, infatti non ci sono demoni a controllarli: la loro ira fa tutto il lavoro.

«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!», cominciò Pluto con la voce chioccia; e quel savio gentil, che tutto seppe, disse per confortarmi: «Non ti noccia la tua paura; ché, poder ch'elli abbia, non ci torrà lo scender questa roccia».

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Inferno, canto VII (vv. 3-6)

A guardia di questo girone si trova PLUTO, che pronuncia parole incomprensibili, una sorta di invocazione a Lucifero. Virgilio lo chiama "lupo maledetto", ma sembra più per insultare la sua avidità (come fosse la lupa del colle, che più mangia più ha fame), che per fare intendere che abbia realmente sembianze di lupo. L'identificazione è problematica, dal momento che potrebbe essere Pluto, dio greco delle ricchezze (figlio di Iasione e Demetra), oppure Plutone, dio classico degli Inferi e sposo di Proserpina. È più probabile la seconda ipotesi, anche perché Plutone (detto anche Dite) era spesso interpretato nel Medioevo come figura diabolica ed era accostato alle ricchezze che sono custodite sottoterra.

Scendendo ancora i due poeti si trovano nel IV cerchio, quello degli AVARI e dei PRODIGHI, cioè di chi ha dato troppo importanza al denaro accumulandone in quantità, e chi lo ha sperperato, sminuendolo. Poiché la virtù sta nel dare il giusto peso al denaro, qui i peccatori sono divisi in due schiere e condannati a spingere con il petto e le braccia dei massi enormi, insultandosi l’un l’altro quando di incontrano.

CONTRAPPASSO: In vita hanno sprecato il tempo e le forze in sforzi vani per accumulare o sprecare le ricchezze, nascondendo il loro peccato, ora continuano quello sforzo inutile e si rinfacciano l'un l'altro il peccato.

Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,e 'l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. Urlar li fa la pioggia come cani;de l'un de' lati fanno a l'altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo. E 'l duca mio distese le sue spanne,prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro a le bramose canne. Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,e si racqueta poi che 'l pasto morde, ché solo a divorarlo intende e pugna, cotai si fecer quelle facce lordede lo demonio Cerbero, che 'ntrona l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.

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Inferno, canto VI (vv. 13-32)

Quando si sveglia, Dante si trova nel III cerchio dove incontra i golosi, sdraiati in un putrido fango puzzolente, colpiti da una pioggia eterna di ghiaccio e neve. Tra i peccatori di questo girone, Dante trova il suo concittadino CIACCO, che profetizza il futuro di Firenze e l’esilio di Dante. Il mostro a guardia di questo cerchio è CERBERO caratterizzato da tre teste e da una fame insaziabile. Virgilio lo inganna buttando nelle fauci del mostro manciate di fango, e il cane è così ingordo che non si rende nemmeno conto di stare mangiando terra e continua a masticare lasciandoli passare.

CONTRAPPASSO: In vita hanno voluto soddisfare la gola, ora vengono puniti nei cinque sensi (grigio, puzza, latrati, monotonia del gusto e pioggia gelida).

«O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui. Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. Quand' io intesi quell' anime offense, china' il viso, e tanto il tenni basso, fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?»

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Inferno, canto V (vv. 88-142)

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?». E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse.Quando leggemmo il disïato risoesser basciato da cotanto amante,questi, che mai da me non fia diviso,

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la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangëa; sì che di pietade io venni men così com' io morisse. E caddi come corpo morto cade.

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CONTRAPPASSO: In vita non sono stati trasportati dalla bufera della passione, ora sono trasportati dalla bufera infernale.

I dannati di questo luogo non soffrono pene corporali ma psicologiche, perché desiderano in eterno poter vedere Dio ed essere illuminati dalla sua luce, quindi appaiono come anime tranquille che camminano e conversano malinconicamente.Qui Virgilio mostra a Dante gli uomini retti che non hanno ricevuto il battesimo e una zona elevata c’è un nobile castello che ospita filosofi, pensatori e uomini importanti nati prima di Cristo. Al termine di questo girone inizia l’inferno vero e proprio, a guardia del quale si trova Minosse, che ha l’aspetto di un mostro enorme con una coda lunghissima. Minosse è il padre del minotauro e re di Creta; fu un uomo giusto e saggio, per questo sin dalle narrazioni di Ovidio ha il compito di assegnare ogni anima al giusto girone e, per farlo, indica con tanti giri della coda quanti cerchi dovrà scendere il dannato.

IL LIMBO (da "lembo", ossia orlo dell'inferno)

CONTRAPPASSO (unico canto in cui la punizione non è fisica, ma psicologica): In vita sono stati senza la luce della fede, ora sono privi della luce di Dio.

Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. E tu che se' costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti». Ma poi che vide ch'io non mi partiva, disse: «Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti». E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude, che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote. [...]Caron dimonio, con occhi di bragia loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s'adagia.

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Inferno, canto III (vv. 82-120)

In un’altra zona della spiaggia si trovano le anime dei dannati che attendono spaventati l’arrivo della barca che li traghetterà, guidata da Caronte. E’ il primo diavolo che Dante incontra ed ha l’aspetto di un vecchio muscoloso e malvagio. Egli carica le anime picchiandole con il remo e insultandole; vorrebbe impedire a Dante di salire perché è ancora vivo, ma Virgilio gli ordina di obbedire, così fa salire Dante e inizia la spaventosa traversata…

Superata la porta dell’inferno, Dante e Virgilio cominciano la discesa e giungono sulla riva di un fiume: è l’Acheronte, oltre il quale inizia l’inferno vero e proprio. Dante osserva le anime degli ignavi che inseguono una bandiera, punzecchiati e tormentati in eterno da vespe e tafani. Dante vorrebbe sapere di più su questi peccatori, ma Virgilio non li ritiene degni neppure di attenzione:“Non ragionam di loro ma guarda e passa”.

GLI IGNAVI

CONTRAPPASSO: In vita non si sono mai mossi per scegliere e non seguivano nessun ideale, ora sono costretti a correre seguendo una bandiera, pungolati da insetti.

"Per me si va ne la città dolente, Per me si va ne l'etterno dolore, Per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: Fecemi la divina podestate, La somma sapienza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create Se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate". Queste parole di colore oscuro vid'io scritte al sommo d'una porta; per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro». Ed elli a me, come persona accorta: «Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta. Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto che tu vedrai le genti dolorose c'hanno perduto il ben de l'intelletto». E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere sanza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai.

Inferno, canto III (vv. 1-24)

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Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi 'mpediva tanto il mio cammino, ch'i' fui per ritornar più volte vòlto. Temp' era dal principio del mattino, e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle ch'eran con lui quando l'amor divino mosse di prima quelle cose belle; sì ch'a bene sperar m'era cagione di quella fiera a la gaetta pelle l'ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m'apparve d'un leone. Questi parea che contra me venisse con la test' alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l'aere ne tremesse. Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch'uscia di sua vista, ch'io perdei la speranza de l'altezza.

… arrivato alla base del colle, Dante inizia a salire, ma improvvisamente arrivano tre fiere (belve) che lo spaventano tanto da costringerlo a tornare indietro:- la lonza, una sorta di pantera maculata che rappresenta la lussuria- il leone, che rappresenta la superbia- la lupa, che rappresenta l'avarizia.Sono i peccati di cui anche Dante si è macchiato e, mentre riesce a superare i primi due, la lupa lo terrorizza a tal punto che preferisce tornare nella selva oscura, dove gli appare un fantasma, la sua guida per l'inferno: Virgilio, autore dell'Eneide, il primo poema epico scritto in latino. Il poeta latino tranquillizza Dante spiegandogli che avrà lui come guida attraverso inferno e purgatorio e Beatrice insieme a San Bernardo nel paradiso; è stata proprio lei che ha pregato Dio affinché salvasse il suo prediletto Dante dal peccato. Dante accetta di partire e ringrazia Dio, Beatrice e Virgilio, perché attraverso questo viaggio può evitare la dannazione eterna. Ricorda anche che prima di lui pochi uomini vivi sono entrati negli inferi, tra i quali proprio Enea. Con questo pensiero Dante segue Virgilio fino alla porta dell’inferno, sui cui trova una scritta nera e minacciosa.

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Inferno, canto I (vv. 31-54)

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. Allor fu la paura un poco queta che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta.

I livello di lettura:Nel I canto Dante narra che a 35 anni, mentre è immerso in un sonno profondo, si perde per una notte intera in un bosco fitto e spaventoso e non è più capace di trovare una via d’uscita. Tuttavia scorge una collina illuminata dal sole e cerca di salirci per riuscire ad orientarsi…II livello di lettura:Dante a metà della sua vita si trova perduto nel peccato (selva) e non riesce più a trovare la strada giusta verso Dio (diritta via). Ad un tratto capisce che l’unico modo di uscire è impegnarsi a vivere una vita basata sulla virtù (colle illuminato dal sole).III livello di lettura:Dante avverte gli uomini che vivere nel peccato porta alla dannazione eterna, per convincere l’umanità ad abbandonare il peccato descrive con minuzia tutti gli orrori dell’inferno e la gioia del paradiso, in modo che chiunque possa seguire la giusta via.

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Inferno, canto I (vv. 1-21)

L'amore

Morte

Politica

La vita e le opere

Infanzia

Opere

Esilio

Dante Alighieri nasce nel 1265 da una famiglia borghese di schieramento guelfo. Il padre, Alighiero di Bellincione, faceva il cambiavalute, professione onesta ma ritenuta volgare; la madre, Bella degli Abati, muore quando Dante ha cinque anni.

Dante racconta che all’età di nove anni incontra Beatrice Portinari in chiesa e se ne innamora. In realtà Beatrice è l’ideale assoluto della donna-angelo stilnovista, che lo libererà dai peccati per condurlo sulla retta via del paradiso. La ragazza e Dante non hanno mai avuto una relazione, lei infatti sposa Simone de' Bardi e muore a 24 anni per parto. A dodici anni viene deciso il suo matrimonio con Gemma Donati, che sposa all’età di vent’anni e da cui ha tre figli. La famiglia Donati è una delle famiglie guelfe più importanti a Firenze e, con questo appoggio, Dante inizia la carriera politica fiorentina. Egli fa parte dello schieramento dei guelfi, che si contrappone a quello dei ghibellini. Ma a Firenze la divisione non è tanto tra queste due fazioni ma tra guelfi neri, capeggiati dalla famiglia Donati, e guelfi bianchi, della famiglia Cerchi. Dante si schiera con i guelfi bianchi, nonostante sua moglie sia una Donati.

L'inizio della lotta armata vera e propria a Firenze si ebbe il 1° Maggio (Calendimaggio) del 1300 per causa di una zuffa tra giovani esponenti delle due casate. La violenza crebbe e le due fazioni iniziarono delle battaglie che sfociarono nella cacciata dei guelfi neri da Firenze. Per calmare le acque il papa Bonifacio VIII manda come paciere Carlo di Valois; in realtà l’intento del papa e di Carlo è quello di conquistare Firenze. Nello stesso periodo Dante, insieme ad altri uomini influenti, vengono inviati a Roma come ambasciatori. Mentre Dante si trovava a Roma, trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, Carlo di Valois con il suo esercito occupò Firenze e nominò podestà il suo uomo di fiducia Cante Gabrielli da Gubbio, esponente dei guelfi neri. Tutti i bianchi ostili al papa avrebbero dovuto essere uccisi o andarsene da Firenze in esilio a vita.

Dante, come esponente importante dei guelfi bianchi, fu esiliato e condannato, in caso di cattura, al rogo, perciò non poté più far ritorno nella sua città. Negli anni dell’esilio, Dante viaggia per l’Italia centrale e settentrionale, chiede ospitalità alle varie corti. Rimase per molto tempo a Verona, presso Cangrande della Scala, che offrì un alloggio e uno stipendio a Dante, in cambio di una citazione della famiglia scaligera nel paradiso.

Dopo il suo soggiorno a Verona, fu ospite di Guido Novello Da Polenta, a Ravenna (1318). Muore a Ravenna nel 1321, e lì viene sepolto.

Nome e tempi

Guide

Metrica

Linguaggio

Finalità

La commedia: struttura

Dante scrive la “Commedia” in quindici anni, durante tutto il periodo dell’esilio (1306-1321). Egli chiama la sua opera COMMEDIA perché questa parola veniva usata dai romani per indica-re un’opera in cui, da un inizio negativo, si giungeva ad un finale positivo. Fu Boccaccio, nel 1350, ad aggiungere l’aggettivo DIVINA, per la bellezza e l’argomento religioso. Da allora il titolo dell’opera sarà DIVINA COMMEDIA.

Nella commedia romana il linguaggio era basso e comprensibile a tutti, mentre nella tragedia (di argomento colto e drammatico) il linguaggio era più ricercato e difficile. Dante segue solo in parte questo schema, usando uno stile basso e scurrile nell’inferno, e uno stile elevato e raffinato nel paradiso. Egli però vuole sperimentare tutte le possibilità che il nuovo linguaggio volgare può dare, quindi troviamo la parte più elevata e tragica nell’inferno (Canto di Paolo e Francesca) e quello più violento e forte nel paradiso (Invettiva di San Pietro). N.B. In tutta la Commedia Dante usa metafore e simbolismi, perciò la lettura dell’opera è su più livelli: letterale (immediato), metaforico (comprensibile senza grossi problemi per un contemporaneo di Dante), allegorico-simbolico (più complesso e comprensibile solo dai più colti).

Dante scrive quest’opera con varie finalità: 1. Purificarsi dei propri peccati e ritornare sulla retta via (fine morale) 2. Mostrare agli uomini l’aldilà per portarli a pentirsi dei propri peccati (fine educativo) 3. Usare il linguaggio volgare in un’opera grandiosa e non d’amore (fine letterario) 4. Essere apprezzato dai signori delle corti in cui veniva ospitato (fine utilitario) 5. Inserire tutte le conoscenze che un uomo colto medievale possedeva (fine enciclopedico) 6. Mettere all’inferno, purgatorio e paradiso, uomini suoi contemporanei (fine personale)

Per gli uomini del medioevo i numeri avevano un grandissimo significato simbolico: essendo emanazioni della mente di Dio, era possibile attraverso essi creare un legame tra mondo terreno e ultraterreno, tra uomo e Dio. I numeri più sacri erano: 1, il numero dell’unità di Dio; 3, il numero della Trinità; 0, il numero che simboleggia il cerchio, ovvero la perfezione; tutti numeri che avevano al loro interno questi tre (10, 11, 13, 33, 100, ecc.). La perfezione spesso è indicata con 999 (se si ruotano le cifre apparirebbe il numero dell’Imperfezione assoluta, ossia Satana: 666). Tutta la Divina Commedia si basa sulla ripetizione di questi numeri sacri: 3 CANTICHE: la Commedia è divisa in tre parti che si chiamano CANTICHE: Inferno, Purgatorio e Paradiso. 33 CANTI: Ogni cantica è divisa in CANTI, che sarebbero i capitoli. Ogni cantica è formata da 33 canti, tranne l’inferno perché ha un canto introduttivo, per poter giungere alla perfezione del numero 100 (1+33+33+33 = 100) TERZINE : ogni canto è diviso in terzine (gruppi di tre versi) 11 SILLABE: Ogni verso di ogni canto è in endecasillabi, legati tra loro con rime dantesche, cioè rime alternate incatenate, ossia secondo uno schema in cui il primo verso fa rima con il terzo della prima terzina, il secondo con il primo della seconda terzina, il secondo di questa rima con il primo della terza terzina, ecc., secondo lo schema metrico ABA, BCB, CDC, DED… 9 ZONE: nove sono i cerchi infernali, nove le cornici del purgatorio e nove i cieli del paradiso

All’interno della Commedia, Dante incontra persone reali del passato o del suo presente, ma anche personaggi e mostri della letteratura, inventati e mitologici. Nel suo viaggio viene accompagnato da tre guide: il poeta latino Virgilio, autore dell’Eneide, che guida Dante attraverso l’inferno e il purgatorio; Beatrice, la giovane amata da Dante che lo conduce nella prima parte del paradiso; san Bernardo che affiancherà Beatrice e Dante durante la visita dell’ultima parte del paradiso. Queste guide sono necessarie perché Dante immagina di fare questo viaggio da vivo, quindi non può muoversi da solo nei tre luoghi destinati alle anime dei morti.

«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,cominciò a dire Pluto con la voce roca; e quel nobile saggio che sapeva ogni cosa, per confortarmi disse: «Non farti sopraffare dalla paura, poiché, anche se il demone ha potere non ci impedirà di scendere questa roccia».

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Il dannato così detestato da Dante, è il potente fiorentino Filippo de' Cavicciuli, così arrogante che aveva fatto ferrare il proprio cavallo con zoccoli d'argento (da qui il soprannome Argenti). Egli era famoso per gli scatti d’ira e per la prepotenza: aveva schiaffeggiato Dante per strada e si era opposto al suo ritorno a Firenze e il sommo poeta narra qui la sua vendetta.

Ed ecco venire verso di noi su una barcaun vecchio con i capelli bianchi per la vecchiaiagridando “Maledette voi, anime malvagie!Non sperate di vedere mai più il cielo:io vengo per trasportarvi sull’altra rivanelle tenebre eterne, nel fuoco e nel gelo.E tu, che sei ancora vivo in questo luogo vattene da questi che sono morti.”Ma quando vide che non me ne andavodisse: “Devi seguire un’altra via, per altri portidovrai arrivare a quella spiaggia, non da qui:è necessario che ti porti una barca più leggera”.E Virgilio disse: “Caronte, non ti preoccupareè stato deciso là dove si puòtutto ciò che si vuole, non domandare altro.”Da quel momento si zittirono le guance barbute del nocchiero della palude limacciosache aveva due cerchi di fuoco intorno agli occhi.[...]Il demone Caronte, con gli occhi di fuocofacendo dei cenni li raccoglie tutti;picchia con il remo chiunque rallenti

Parafrasi

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A metà della mia vita mi ritrovai in un bosco scuro perché avevo smarrito la giusta via. Ah, come è difficile descrivere questo bosco selvaggio, impenetrabile e fitto che solo a ripensarci provo ancora paura! La selva è di poco meno spaventosa della morte ma per spiegare il bene che trovai lì dentro racconterò tutto ciò che ho visto. Non so bene dire come ci sono entrato visto che ero così profondamente addormentato da perdere la via giusta. Ma quando giunsi ai piedi di un colle al termine di quel bosco che mi aveva riempito il cuore di terrore, guardai in alto e vidi i pendii del colle illuminati dai raggi del pianeta che conduce ogni uomo sulla via giusta. Allora si calmò un pochino la paura che era rimasta nel mio cuore durante la notte che trascorsi con tanto affanno

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“O creatura cortese e benevola che stai guardando attraverso l’aria oscura noi, che macchiammo di peccato il mondo, se Dio ci fosse amico pregheremmo per la tua pace, visto che hai pietà del nostro peccato atroce. Di ciò che volete sentire e parlare noi ascolteremo e parleremo con voi finché il vento ci dà un po’ di tregua. La terra dove sono nata si trova sul litorale dove sfocia il Po e si getta in mare con i suoi affluenti. L’amore, che colpisce rapido il cuore gentile, colpì Paolo grazie alla bellezza dell’aspetto che mi venne tolto; e il modo mi turba ancora L’Amore, che impone a chi è amato di riamare, mi prese per la bellezza di Paolo così fortemente che, come vedi, ancora non mi lascia. L’Amore ci condusse alla morte. La Caina attende chi ci ha tolto la vita”. Queste parole ci furono dette da loro. Quando io sentii quelle anime disperate chinai il viso e lo tenni basso fino a che Virgilio mi chiese. “Che pensi?”

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Cerbero, belva crudele e strana, con tre gole latra come fanno i canisopra la gente che qui è immersa. Ha gli occhi rossi, la barba unta e nera il ventre gonfio e le zampe con grosse unghie; graffia gli spiriti e li scuoia e li squarta. La pioggia li fa urlare come cani; con uno dei fianchi proteggono l’altro perciò si girano di continuo i miseri dannati. Quando Cerbero, l’orribile mostro, ci vide aprì le bocche e ci mostrò i denti aguzzi un fremito di rabbia lo agitava tutto. Così Virgilio aprì le mani prese la terra e, con i pugni pieni, la gettò dentro a quelle gole affamate. Come il cane che abbaiando chiede il cibo e si quieta quando riesce a mangiare, perché ormai è impegnato a divorare, così divennero quei musi sporchi del diavolo Cerbero, che stordisce così tanto le anime, che vorrebbero essere sorde.

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Ecco che, quasi all’inizio della salitaappare una lonza agile e molto veloceche era coperta di pelo maculato;e non si allontanava dal mio sguardoanzi ostacolava il mio cammino così tantoche io mi girai più volte per tornare indietroEra il primo momento del mattinoe il sole saliva nel cielo insieme a quelle stelleche erano con lui quando Diodiede per la prima volta il movimento agli astricosì che avevo ragione di sperare in benedi averla vinta su quella bestia maculatagrazie all’alba e alla primavera che si mostrava;ma non tanto che non mi incutesse paural’immagine che mi apparve di un leone.Sembrava che questo venisse contro di mecon la testa alta e una fame rabbiosatanto che l’aria sembrava tremare.E infine una lupa che di tutte le golositàsembrava piena nella sua magrezzae che aveva costretto tanta gente all’infelicità,questa mi causò così tanta angosciaa causa del terrore che mi suscitava il suo aspettoche persi la speranza di giungere in cima al colle.

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mi baciò la bocca emozionato e commosso.Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: da quel giorno non leggemmo più oltre.” Mentre Francesca diceva queste parole, l’altro piangeva, tanto che di pietà svenni, come se morissi. E caddi come cade un corpo morto.

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“Attraverso me si entra nella città del doloreattraverso me si entra nel dolore eternoattraverso me di va tra la gente senza speranza.La Giustizia ha mosso il mio superemo creatore:sono stata creata dalla divina sapienzadall’alta sapienza e dal sommo amore.Prima di me non ci furono cose createche non fossero eterne e io ci sarò in eterno.Abbandonate ogni speranza, voi che entrate.”Queste parole di colore nerovidi scritte sulla parte alta di una porta:e allora io dissi:” Maestro, non capisco”.Ed egli mi rispose, come una persona saggia:“Qui conviene lasciare ogni esitazionedevi abbandonare ogni paura.Siamo giunti nel luogo di cui ti ho parlato,e qui vedrai le persone dannateche hanno perso la luce della ragione”.E dopo che pose la sua mano sulla miacon un sorriso, che mi confortò,mi introdusse a quella realtà misteriosa.Qui i sospiri, i pianti e urlarisuonavano in quest’aria senza stellee io, ascoltandole per la prima volta, piansi.

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Lancillotto Il cavaliere è innamorato di Ginevra, la moglie di re Artù e, sebbene abbia giurato di servire fedelmente il suo re, spinto da Galeotto (che fa da intermediario), bacia Ginevra e le dichiara il suo amore. Ginevra e Lancillotto iniziano una relazione, ma Artù li scopre mettendo in fuga il giovane e condannando al rogo la moglie. Lancillotto libera Ginevra e la porta con sé, dando così inizio ad una guerra nel regno.

Dante entra nel girone dei lussuriosi in cui le anime vagano solitarie e travolte da un vortice di vento impetuoso e senza fine. Tra queste anime Dante ne vede due abbracciate che non urlano, così chiede il permesso a Virgilio di parlare con loro, ma è solo una delle due a parlare e lo fa alla maniera del dolce stilnovo e dell'amor cortese, senza mai rimpiangere né pentirsi del suo peccato, come a sottolineare che lo avrebbe rifatto. Appena si presenta Dante sa subito di chi si tratta, la storia di Paolo Malatesta e Francesca da Polenta e il loro omicidio da parte del fratello di Paolo, Gianciotto, era molto famosa all'epoca di Dante.Paolo piange, quasi di vergogna perché si sente responsabile di aver condotto Francesca all'inferno, perché non è stato più forte. Egli rappresenta anche Dante, che si sente in colpa per aver condotto al peccato molti amanti con i suoi scritti stilnovistici.

Mentre percorrevamo quella palude stagnante, mi si avvicinò un dannato pieno di fango che disse: «Tu chi sei, che giungi all'Inferno da vivo?» Io risposi: «Se vengo, non rimango certo; tu invece chi sei, che sei reso irriconoscibile?» Rispose: «Vedi bene che sono un'anima afflitta». E io a lui: «Ed è bene che afflitto e in lutto, spirito maledetto, tu resti infatti ti riconosco, anche se sei sporco di fango». Allora lui si appese con le mani alla barca; perciò il maestro, che se ne era accorto, lo spinse via dicendo: «Va' via di qui, torna con gli altri cani!»E io: «Maestro, avrei gran desiderio di vederlo sprofondare in questa melma, prima di lasciare la palude». E lui a me: «Prima che la rivaavvisteremo, sarai soddisfatto: è opportuno che tale desiderio sia appagato». Poco dopo vidi lo strazioche fecero di lui i dannatinel fango, cosa di cui ancora lodo e ringrazio Dio.Tutti gridavano: «Addosso a Filippo Argenti!»; e quel bizzarro spirito fiorentino si mordeva da sé coi denti.

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Quando risposi, inziai: “Ahime quanti dolci pensieri, quanto grande amore condusse questi due al grave peccato.” Poi mi rivolsi a loro e parlai io, e iniziai: “Francesca, le tue sofferenze mi fanno essere triste e pietoso fino alle lacrime. Ma dimmi: al tempo del vostro innamoramento quando e in che modo l’amore vi ha concesso di conoscere i timorosi desideri?” E lei mi risspoose: “Non c’è maggior dolore che ricordarsi dei momenti felici quando si è infelici; e questo lo sa Virgilio. Ma se di conoscere l’inizio del nostro amore hai così tanto desiderio te lo dirò come una persona che piange e parla. Noi leggevamo un giorno, per divertimento, di come l’amore assalì Lancillotto ; eravamo soli e senza nessun presentimento. Per molte volte ci guardammo negli occhi a causa di quella lettura, e impallidimmo; ma fu solo un punto quello che ci fece peccare. Quando leggemmo che la bocca desiderata fu baciata da un uomo così innamorato, Paolo, che non sarà mai diviso da me,

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Secondo la mitologia, il compito delle Erinni era quello di vendicare i delitti, soprattutto quelli compiuti contro la propria famiglia, torturando l'assassino fino a farlo impazzire. Le furie rappresentano il rimorso, la vendetta e la colpa; vogliono bloccare i due viandanti al primo passaggio, farli rimanere nello sconforto del peccato, ecco perché si agitano sulle mura di Dite, bloccando Dante sulla spiaggia della palude infernale.

E Virgilio, che riconobbe subito le seguaci orride della regina dell'Inferno (Proserpina), «Guarda - mi disse - le feroci Erinni (Furie). Questa a sinistra è Megera; quella che piange a destra è Aletto; Tesifone è al centro»; a quel punto tacque. Ciascuna si squarciava il petto con le unghie; si battevano con le palme, e gridavano così forte che io, per paura, mi strinsi a Virgilio. «Venga Medusa, così lo faremo di pietra!», dicevano tutte guardando in basso; «avremmo dovuto vendicare l'assalto di Teseo! » «Voltati indietro e tieni gli occhi chiusi: infatti, se la Gorgone si mostrasse e tu la vedessi, non avresti alcuna speranza di tornare sulla Terra». Così disse il maestro; ed egli stesso mi volto, e non si accontentò delle mie mani ma aggiunse le sue per chiudermi gli occhi.

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Gli Epicurei erano un gruppo di Eretici nati in Grecia al cui capo stava Epicuro. Essi parlavano dell'anima come se fosse qualcosa di corporeo e che sparisse assieme al corpo alla morte della persona. La parola Epicureo, per Dante, indica genericamente l'eretico.

E io a lui: “non vengo per mia volontà: Virgilio mi accompagna per questi luoghi grazie a colui che forse il vostro Guido disprezzò”

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Ci avvicinammo a quelle bestie eleganti: Chirone prese una freccia, e con la coccatirò la barba dietro alle mascelle. Quando scoprì la grande bocca, disse ai suoi compagni: “Vi siete accorti che quello dietro muove ciò che tocca? Di solito non fanno così i piedi dei morti!” E la mia buona guida, che gli era andata vicino, dove parte umana ed equina si incontrano, rispose: “Eì vivo davvero, e solo a lui devo mostrare l’inferno; il nostro è un viaggio di dovere, non di piacere.”

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Ezzelino III da Romano, tiranno della Marca Trevigiana, era dipinto dalla propaganda guelfa come despota spietato e addirittura generato dal demonio. Tra gli assassini viene indicato Guido (Guy) di Montfort, fratello di Simone, che nel 1271 in una chiesa di Viterbo uccise Enrico, nipote del re d'Inghilterra.