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a  cura di Gemma Falcini 2B
Le riforme di Pietro Leopoldo:
 il Granducato verso i diritti civili
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a cura di Gemma Falcini 2B

Le riforme di Pietro Leopoldo: il Granducato verso i diritti civili

La seconda metà del XVIII secolo è stata l’era del cosiddetto “dispotismo illuminato”. In Europa, molti Paesi furono interessati da riforme imponenti, volte alla modernizzazione dello Stato e al benessere collettivo.

In tale contesto, si distinsero sovrani memorabili come Maria Teresa d’Austria, Federico II di Prussia e la zarina Caterina II e altri forse meno celebri ma non per questo meno importanti, tra cui Pietro Leopoldo, rampollo della Casa d’Austria, che con il titolo di Granduca governò la Toscana per venticinque anni, dal 1765 al 1790.

Pietro Leopoldo nacque a Vienna il 5 maggio 1747 da Maria Teresa d’Asburgo e dall’imperatore del Sacro Romano Impero Francesco I. Egli giunse in Toscana nel 1765, appena diciottenne, assumendo la carica di Granduca (che terrà dal 1765 al 1790) in sostituzione del padre Francesco e, pur senza esperienza, s’impegnò subito per risollevarne le sorti.

La Toscana era piuttosto malmessa: le campagne si erano svuotate, con relativo crollo della produzione, mancavano efficienti infrastrutture e la pubblica amministrazione, così come la giustizia, era impantanata in una burocrazia macchinosa e lenta. Per porre rimedio a tali problemi, Leopoldo, senza perdersi d’animo, avviò un imponente programma di riforme che ammodernarono in poco tempo tutti gli antichi apparati fiscali e amministrativi.

Le riforme, da lui promosse e attuate, furono innumerevoli e investirono per l’appunto ogni aspetto dello Stato, dall’economia alla giustizia passando per la scuola e il settore ecclesiastico. Per quanto riguarda le riforme di carattere economico, introdusse la libertà nel commercio dei grani abolendo i vincoli annonari che bloccavano le colture cerealicole. Furono cancellate le antiche corporazioni medievali, che erano l’ostacolo principale per un'evoluzione economica e sociale dell'attività industriale.

Particolarmente significativi furono gli interventi messi in atto nella Maremma settentrionale, nel Valdarno Inferiore e in Valdichiana. Con l’impiego delle tecnologie più sofisticate e con grandi risorse umane ed economiche si riuscì gradualmente a dare una svolta decisiva nella sistemazione idraulica di questi difficili territori.

Nel 1775 fondò a Firenze il Museo di Fisica e Storia Naturale, il primo museo dell'Occidente concepito per essere aperto al pubblico, e ne affidò la direzione a Felice Fontana, un fisico, anatomista e biologo molto importante all’epoca. Il museo ospitava strumenti scientifici, collezioni naturalistiche e una ricca raccolta di cere anatomiche provenienti da collezioni preesistenti o realizzate appositamente per l'esposizione.

Il Granduca fece acquistare e costruire macchine di fisica per compiere esperienze di meccanica, pneumatica ed elettrostatica, e promosse l'edificazione dell'osservatorio astronomico (la Specola) annesso al Museo. Fece allestire nello stesso Museo un laboratorio chimico, del quale resta uno straordinario banco utilizzato dallo stesso Granduca.

Pietro Leopoldo introdusse notevoli novità anche nella legislazione ecclesiastica, dove si ispirò ai principi del giurisdizionalismo; fece sopprimere i conventi e abolì i vincoli di manomorta. Inoltre la Toscana si volse religiosamente verso il Giansenismo:il granduca fece organizzare al vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci un sinodo, una riunione dei sacerdoti e dei vescovi della diocesi, a Pistoia nel 1786 per riformare l'organizzazione ecclesiastica toscana secondo i principi giansenisti. Tuttavia le forti opposizioni del clero e del popolo lo convinsero a rinunciare a questa riforma.

La riforma più importante introdotta da Pietro Leopoldo fu l'abolizione degli ultimi lasciti giuridici medievali: in un colpo solo abolì il reato di lesa maestà (crimine commesso contro la maestà del sovrano), la confisca dei beni, la tortura, e, cosa più importante, la pena di morte grazie al varo del nuovo codice penale il 30 novembre del 1786 (che prenderà il nome di Riforma criminale toscana o Leopoldina).

Il Granducato di Toscana aveva recepito le istanze elaborate da Cesare Beccaria nel suo ‘Dei delitti e delle pene’ del 1766, in cui, per la prima volta si mettevano in discussione che la crudeltà della pena e la durezza delle condizioni detentive potessero rappresentare un elemento dissuasivo, sostenendo piuttosto che la clemenza e la dignità del trattamento fossero mezzi di redenzione per il condannato.

Beccaria aveva affermato:“Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità”. L’abrogazione della pena capitale introdotta da Leopoldo, seppur epocale, durò purtroppo solo quattro anni. Nel 1790 fu infatti parzialmente reintrodotta per far fronte a una serie di tumulti popolari aizzati dalla Chiesa. Dal 2000 la Toscana ricorda la ricorrenza con la festa della Toscana, che si festeggia il 30 novembre, giorno di promulgazione del codice.

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