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Creato da:

  • Rita Catania
  • Mattia Collaro
  • Rosalba Di Casola
  • Ilaria Anna Cisale

un magistrato italiano

18/05/1939

Giovanni Falcone

“Prima ti delegittimano, poi ti isolano e poi ti ammazzano.”

Gli studi

Frequentava l'Azione Cattolica e trascorreva gran parte dei suoi pomeriggi in parrocchia facendo la spola. All'età di tredici anni cominciò a giocare a calcio all'Oratorio dove, durante una delle tante partite, conobbe Paolo Borsellino, con cui si sarebbe ritrovato prima sui banchi dell'università e poi nella magistratura. In parrocchia si appassionò anche al ping-pong e in una partita si trovò a giocare con un suo coetaneo, Tommaso Spadaro, che sarebbe diventato personaggio di spicco della mafia locale implicato nel contrabbando di sigarette e nel traffico di stupefacenti. Terminò il liceo all'età di 18 anni, nel 1957, diplomandosi con il massimo dei voti.

La vita

Giovanni Falcone naque a Palermo il 18 maggio 1939 da una famiglia benestante. Egli fu una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale.I Falcone dovettero abbandonare la Kalsa nel 1940 a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale e sfollarono a Sferracavallo, una borgata marinara di Palermo. A causa della guerra dovettero cambiare casa più volte, finchè non si stabilirono a casa delle zie Stefania e Carmela.

La Biografia

“Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di esserepreti. Né mafiosi.”

Il metodo Falcone

L'ingresso in magistratura

Falcone comprese che per indagare sulle associazioni mafiose bisognava basarsi sulle indagini patrimoniali e bancarie, ricostruire il percorso del denaro e avere un quadro complessivo del fenomeno. Notò che gli stupefacenti venivano venduti negli Stati Uniti, così chiese ai direttori delle banche di Palermo di mandargli le distinte di cambio valuta estera dal 1975 in poi.

Falcone vinse il concorso ed entrò nella magistratura Italiana nel 1964 e in quello stesso anno nella stessa Basilica della Santissima Trinità del Cancelliere sposò Rita Bonnici. Nel 1965, a soli 26 anni, divenne pretore a Lentini. A partire dal 1966 fu al tribunale di Trapani, nei primi anni come sostituto procuratore e giudice istruttore. A poco a poco, nacque in lui la passione per il diritto penale.

Prima dell'istituzione del Pool antimafia, non vi era alcun coordinamento sulle indagini di mafia: ogni giudice dell'Ufficio Istruzione lavorava in solitaria sui processi che gli venivano affidati, senza condividere le informazioni eventualmente utili ad altre indagini con i colleghi.Dopo l'omicidio del Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, avvenuto il 4 maggio 1980, e quello del procuratore Gaetano Costa, avvenuto il 6 agosto successivo, Rocco Chinnici, a capo dell'Ufficio Istruzione, decise di centralizzare le indagini sul fenomeno mafioso, al fine di favorire la circolazione e la condivisione delle informazioni emerse e, quindi, di avere un quadro globale sul fenomeno e le sue dinamiche criminali. In questo pool informale vennero chiamati a farne parte Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello.Il Pool e il capo della Squadra Mobile, il vicequestore Ninni Cassarà, avviarono un'azione di contrasto a Cosa Nostra mai vista prima di allora. In particolare quest'ultimo stilò di persona il c.d. "Rapporto dei 162", considerato l'embrione dell'ipotesi investigativa alla base del Maxiprocesso. Tra i primi processi istruiti dal nuovo pool ci fu quello seguito da Falcone contro Rosario Spatola, che inaugurò sul campo il c.d. "Metodo Falcone", basato sull'analisi dei movimenti bancari. Come ebbe modo di dichiarare Chinnici, "Un mio orgoglio particolare è una dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre Magistrature d'Italia. I Magistrati dell'Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero".

L'esperienza del pool antimafia e le dichiarazioni di Buscetta

Tommaso Buscetta arriva all'areoporto Fiumicino di Roma il 15 luglio 1984.Una vera e propria svolta epocale alle indagini sarebbe stata impressa con l'arresto di Tommaso Buscetta, il quale diventò uno dei primi mafiosi a decidere di collaborare con la giustizia italiana: infatti i Corleonesi, capeggiati da Salvatore Riina, avevano deciso di eliminare Buscetta perché legato allo schieramento avversario guidato da Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e Gaetano Badalamenti, uccidendogli per vendetta due figli, un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti. Nel giugno 1984, in compagnia del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro del nucleo operativo della Criminalpol, Falcone si recò in Brasile per interrogare Buscetta e lì ebbe l'impressione che potesse essere disposto a collaborare. Lo Stato italiano ne chiese allora l'estradizione alle autorità brasiliane. Quando questa venne concessa, Buscetta, per evitarla, tentò il suicidio ingerendo della stricnina ma venne salvato. Il 15 luglio dello stesso anno arrivò in Italia accompagnato dagli uomini di De Gennaro e decise definitivamente di collaborare. Prima di procedere al primo interrogatorio, Buscetta avvertì Falcone delle portata dirompente delle dichiarazioni che stava per rendere:«L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. È sempre del parere di interrogarmi?»Falcone però gli comunicò che poteva continuare a parlare ed infatti iniziò l'interrogatorio, il primo di una lunga serie. Nei mesi successivi, il giudice riempì circa quattrocento pagine di verbali scritte a mano, nelle quali Buscetta rivelava per la prima volta la struttura di Cosa Nostra e i nomi degli affiliati alle varie "famiglie", nonché circa trent'anni di delitti, traffici illeciti e misfatti avvenuti nel palermitano; di portata rivoluzionaria si rivelò anche la sua rivelazione circa l'esistenza di un organo direttivo dell'intera organizzazione, la cosiddetta "Commissione" o "Cupola", e che tutti gli omicidi di un certo rilievo erano imputabili ad essa e ai suoi componenti. Talmente importante fu perciò la testimonianza di Buscetta, che Falcone ebbe a dire, anni dopo:«Prima di lui, non avevo - non avevamo - che un'idea superficiale del fenomeno mafioso. Con lui abbiamo cominciato a guardarvi dentro. Ci ha fornito numerosissime conferme sulla struttura, sulle tecniche di reclutamento, sulle funzioni di Cosa Nostra. Ma soprattutto ci ha dato una visione globale, ampia, a largo raggio del fenomeno. Ci ha dato una chiave di lettura essenziale, un linguaggio, un codice. È stato per noi come un professore di lingue che ti permette di andare dai turchi senza parlare coi gesti.»Tuttavia Buscetta rifiutò di parlare dei legami politici di Cosa Nostra perché, a suo parere, lo Stato non era pronto per dichiarazioni di quella portata, e si dimostrò abbastanza generico su quell'argomento, nonostante le insistenze e le contestazioni di Falcone, limitandosi soltanto ad accusare l'ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino e i potenti esattori Nino e Ignazio Salvo, che verranno colpiti da mandati di cattura firmati dal pool nel novembre successivo.

Tommaso Buscetta

Il 21 giugno 1989, Falcone divenne vittima di un attentato presso la villa al mare affitata per le vacanze, detto "Attentato dell'Addaura": alcuni mafiosi piazzarono un borsone con 58 candelotti di tritolo in mezzo agli scogli a pochi metri dalla villa affitata dal giudice, per ospitare i colleghi Carla del Ponte e Claudio Lehmann. Il piano era di assasinare il giudice allorchè fosse sceso dalla villa sulla spiaggia per fare il bagno, ma l'attentato fallì. Inizialmente venne ritenuto che i killer non fossero riusciti a fare esplodere l'ordiglio a causa di un detonatore difettoso, dandosi quindi in fuga, abbando il borsone. Falcone in occasione di una famosa intervista resa al giornalista Saverio Lodato, dichiarò che a volere la sua morte era probabilmente qualcuno che intendeva bloccarne l'inchiesta sul riciclaggio in corso, parlando inoltre di "menti raffinatissime".

Il fallito attentato dell'Addaura e la vicenda del "corvo"

Il primo grado del maxiprocesso di Parlermo iniziò il 10 febbraio 1986 presso un'aula bunker costruita nel giro di pochi mesi per contenere 476 imputati e centinaia di avvocati. Il dibattimento terminò il 16 dicembre del 1987. La sentenza inflisse 360 condanne per 2665 anni di carcere e 11 milliardi e mezzo di lire di multe da pagare. Tuttavia, il processo dovette ancora affrontare altri due gradi di giudizio, appunto Falcone, durante un'intervista frenò gli entusiasmi:«Non bisogna cullarsi nel trionfalismo. Guai a credere che processare quasi 500 persone rappresenti un colpo definitivo alla mafia.»

Il periodo all'Ansinara e il maxiprocesso di Palermo

Alle ore 17:58, 3-4 secondi dopo aver chiuso la telefonata con la Barbera e Gioè, Brusca azzionò il telecomando che provocò l'esplosione di 1000 kg di tritolo sistemati all'interno di fustini in un cunicolo di drenaggio sotto l'autostrada: la prima auto, la Croma marrone venne investita in pieno dall'esplosione e sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi a più di 10 metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo; La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, avendo rallentato, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente inalzatosi per via dello scoppio, proiettando Falcone e la moglie, che non indossano le cinture di sicurezza, rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzura, che infine resiste, e si salvano con le proprio autovetture sul luogo dell'eccidio. La detonazione provoca un' esplosione immane e una voragine enorme sulla strada.

Sceso dall'aereo, Falcone si sistemò alla guida della Fiat Croma bianca con accanto la moglie Francesca Morvillo, mentre l'autista giudiziario Giuseppe Costanza andò a occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone si era posto alla guida Vito Schifani, con accanto l'agente scelto AntonioMontinaro e sul retro Rocco Dicillo, mentre nella Croma azzurra c'erano Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corpo. Le tre auto si misero in fila e imboccarono l'autostrada A29 in direzione Palermo. In quei momenti, Gioacchino La Barbera seguì con a sua auto il corteo blindato dall'aereoporto fino allo svincolo di Caoaci, mantenendosi in contatto telefonico con Giovanni Brusca e Antonino Gioè, che si trovavano in osservazioni sulle colline sopra Capaci.

Falcone venne assassinato in quella che comunemente e detta strage di Capaci, il 23 Maggio 1992, 5 giorni dopo il suo 53° compleanno. Il giuduce, come era solito fare nei fine settimana, stava tornando in Sicilia da Roma.Il jet partito dall'aereoporto arrivò intorno alle 16:45 il boss Raffale Ganci seguiva tutti i movimenti del poliziotto Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone, che guidò il corteo delle tre Fiat Croma blindate alla caserma "Lungaro" fino a Punta Raisi, dove dovevano prelevare Falcone; Ganci telefonò a Giovan Battista Ferrante per segnalare l'uscita dalla caserma di Montinaro e altri agenti di scorta.

la strage di Capaci e la morte

«Gli uomini passano le idee restano. Restano le loro tensioni morali che continueranno a camminare sulle ambe di altri uomin ognuno di noi deve continuare a fare la sua parte piccola o grande che sia.»

Circa 20 minuti dopo, Giovanni Falcone venne trasportato sotto stretta scorta di un corteo di vetture e di un elicottero dell'Arma dei Carabinieri presso l'ospedale civico di Palermo. Gli altri agenti e i civili coinvolti vennero ach'essi trasportati in ospedale mentre la polizia scientifica eseguì i primi rilievi e il corpo nazionale dei igili del Fuoco provvide a estrarre dalle lamiere i cadaveri, resi irriconoscibili, degli agenti della Polizia di Stato schifani, Montinaro e Dicillo. Intanto la stampa e la televisione iniziarono a diffondere la notizia di un attentato a Palermo e il nome del giudice Falcone trovò via via conferma. L'Italia intera, sgomenta, trattenne il fiato per la sorte delle vittime, con tensione sempre più viva, fino al decesso di Falcone, che si ebbe alle 19:05, dopo un'ora e sette minuto dall'attentato e alcuni tentativi di rianimazione, a causa della gravià del trauma cranico e delle lesioni interne. Senza riprendere più conoscenza, morì poi fra le braccia di Borsellino. Francesca Morvillo morirà invece sotto i ferri intorno alle 22:00.

La tomba di Falcone nella chiesa di San Domenico a Palermo