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AFGHANISTAN L'Afghanistan è uno dei paesi più insicuri al mondo, se non il più insicuro. Ecco perché milioni dei suoi abitanti decidono di intraprendere un pericoloso viaggio verso l'Europa, gli Stati Uniti o altri paesi. I problemi che affliggono l'Afghanistan sono numerosi: la crisi economica, il terrorismo, l'analfabetismo, la persecuzione delle minoranze. APPROCCIO STORICO

  • L'Afghanistan nel XX secolo
La vita in Afghanistan negli anni '70 era totalmente diversa da come la conosciamo oggi: nel XX secolo, durante il regno del re Amanullah, il paese ha vissuto un periodo di miglioramento della condizione delle donne, in cui la libertà delle donne, l'istruzione femminile, il matrimonio forzato e infantile erano stati aboliti ed erano state imposte restrizioni alla poligamia. La vita era quasi "normale": le strade erano abbastanza sicure, le donne andavano all'università e c’era più libertà di scelta nell’abbigliamento di oggi. Tuttavia, la società afgana non era pronta a questi cambiamenti e c'era una divisione molto profonda tra i seguaci dell'Islam e i filocomunisti. Varie proteste portarono alla fine della monarchia. La modernizzazione, infatti, era stata effettuata dall'alto, dai più alti strati della società del paese, senza tener conto dell'Afghanistan conservatore e rurale. Di conseguenza, nel 1973, la monarchia fu rovesciata da Mohammed Daud Khan. Nel 1978 ebbe luogo la Rivoluzione Saur, una rivolta comunista guidata dal Partito Democratico del Popolo, che istituì la Repubblica Democratica dell'Afghanistan. Fu allora che intervenne l'Unione Sovietica con l'invasione del paese nel 1979 per sostenere il governo comunista e iniziò la guerra afghana dei mujaheddin1 che durò 10 anni e fu vinta dalla parte sovietica. I guerriglieri locali resistettero per anni a questa invasione grazie all'appoggio degli Stati Uniti, che sosteneva la jihad2 per sconfiggere il loro più grande nemico, l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). Il contesto del dopoguerra, segnato dalle lotte tra le varie fazioni dei mujaheddin, ha fatto emergere l'islamismo radicale e il terrorismo islamista. I sovietici, infatti, completarono il loro ritiro nel 1989 e, tre anni dopo, i mujaheddin riuscirono a insediarsi al governo: nel 1992 fu creato lo Stato islamico dell'Afghanistan.
  • Regno del terrore (1996 – 2001)
Nel 1996 sono saliti al potere i talebani3, aiutati da Arabia Saudita, Pakistan e da Al- Qaeda, il gruppo terroristico fondato da Osama Bin Laden. Il periodo compreso tra 1996 e 2001 è conosciuto come il “regno del terrore, poiché in quegli anni è stata imposta la legge della Sharia5. I diritti umani dei cittadini afghani, ma soprattutto quelli delle donne e delle ragazze, erano quotidianamente violati. L'Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane (RAWA) ha elencato alcuni dei divieti attuati dai talebani:
  • Divieto di lavorare fuori casa, ad eccezione di alcune dottoresse e infermiere.
  • Divieto di uscire di casa da sole, se non accompagnate da un parente maschio (padre, fratello o marito).
  • Le donne non potevano essere assistite da medici maschi negli ospedali; quindi, l'assistenza rivolta loro era più precaria.
  • Accesso limitato all'istruzione.
  • Obbligo di coprire tutto il corpo in pubblico con il burqa6.
  • Divieto di ridere in pubblico.
  • Lo sport era loro proibito.
  • Le donne non potevano essere viste da nessuno, quindi non potevano affacciarsi al balcone, le finestre di casa dovevano essere oscurate e, inoltre, non potevano lavare i panni nei fiumi o nelle pubbliche piazze.
  • Segregazione nel trasporto pubblico: uomini e donne in veicoli separati.
[...]
  • Invasione americana
11 settembre 2001 Al-Qaeda, sostenuta dai talebani, ha attaccato New York e Washington con una serie di attentati terroristici. Per questo, l'allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, decise di invadere e attaccare l'Afghanistan, dando così inizio a una guerra per smantellare Al-Qaeda e i talebani. È così che si è formato un nuovo governo ma i talebani non sono scomparsi: si sono, infatti, spostati in altre parti del Paese e hanno continuato a controllare alcune zone. Durante l’invasione americana, le donne hanno riguadagnato alcuni diritti.
  • Ritiro delle truppe statunitensi
L'11 settembre 2021, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato il ritiro delle forze armate statunitensi dall'Afghanistan, rendendo più facile per i talebani riprendere il controllo del paese e imporre severe restrizioni ai diritti delle donne e delle ragazze e limitare tutti i tipi delle libertà. Da allora i talebani hanno rinnegato le molteplici promesse di rispettare i diritti umani fatte all’inizio del loro insediamento, peggiorando la situazione nel Paese. Con questo ritiro, in cui gli afgani sono stati abbandonati a loro stessi, sono diventati chiari i reali interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti e dei loro alleati; l'Afghanistan gioca un ruolo importante nella regione asiatica perché è la porta d'accesso alle principali riserve mondiali di gas; a causa della coltivazione dell'oppio e della produzione di eroina; e per la quantità di armi che circolano nel territorio. SITUAZIONE ATTUALE Talebani e terrorismo I talebani hanno ripreso il controllo di Kabul nel 2021, dopo il ritiro americano, e da allora hanno imposto numerose restrizioni ai diritti delle ragazze e delle donne, eliminato i media, torturato gli oppositori del regime.... Durante l'occupazione statunitense, non è stato possibile indebolire il terrorismo transnazionale né stabilire uno stato liberale e democratico che potesse portare la pace nel paese. Dopo la presa del potere da parte dei talebani, la situazione dei diritti delle donne e delle ragazze sta nuovamente peggiorando, e alimenta il timore di un ritorno al “regno del terrore”. Crisi economica L'economia è crollata perché il paese ha cessato di ricevere la maggior parte degli aiuti esteri su cui contava. Inoltre, c'è una significativa mancanza di valuta estera, a cui si aggiungono le sanzioni. Tutto ciò rende molto difficile inviare denaro in Afghanistan. La mancanza di risorse costringe le famiglie afghane a mandare i propri figli a lavorare. Il tasso dei matrimoni precoci è aumentato negli ultimi anni. Malnutrizione Più di un milione di bambini sotto i 5 anni soffre di malnutrizione acuta e nove afghani su 10 soffrono di carenza di cibo. Più della metà della popolazione afgana (22,8 milioni di persone) soffre la fame a causa della disoccupazione e dell'elevato costo del cibo (UNICEF). Minoranze etniche L'Afghanistan è un paese di minoranze, le più numerose sono pashtun, tagiki e hazara. Questi ultimi, che rappresentano il 15% della popolazione, sono i più discriminati e costituiscono gli obiettivi contro cui i talebani e lo Stato islamico (IS)7 compiono attacchi più frequenti, poiché li considerano apostati in quanto sciiti. Scuole, moschee e quartieri dove vivono gli Hazara sono, quindi, luoghi ad alto rischio. Mancanza di posti di lavoro Milioni di afgani sono disoccupati e il lavoro minorile è aumentato. Nel 2019, la partecipazione delle donne alla forza lavoro era del 21,76% (The Global Economy), al di sopra di paesi come India, Egitto, Iran o Yemen. Con l'arrivo dei talebani, questi livelli sono scesi e le donne sono tornate a essere confinate nella sfera privata, rimanendo sostanzialmente a casa. Accesso all'istruzione Più della metà della popolazione adulta dell'Afghanistan non sa né leggere né scrivere. Le ragazze rappresentano il 60% dei 3,7 milioni di bambini che non vanno a scuola. L'accesso all'istruzione è difficile per diversi motivi: la distanza tra i centri abitati è molto ampia; recarsi a scuola può essere pericoloso sia per gli studenti che per gli insegnanti; e i genitori hanno paura di mandare i figli a scuola. Con i talebani al potere, l'accesso all'istruzione è diventato ulteriormente più difficile. Le ragazze sono state bandite dalla scuola secondaria. PERSONE SFOLLATE NEI PAESI VICINI Il Pakistan ospita la maggior parte dei rifugiati afgani, che vi abitano già da molti anni. Da quando gli Stati Uniti hanno lasciato il Paese, molti afgani hanno cercato di fuggire in Pakistan, ma sembra che il Paese vicino abbia imposto restrizioni più severe e consenta il passaggio solo ai commercianti. L'Iran ospita circa 780.000 rifugiati e sembra che ai datori di lavoro sia stato ordinato di respingere tutti gli afghani in arrivo. Da parte sua, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha promesso di costruire un muro di confine con l'Iran, con l'aiuto dell'Unione Europea, per impedire l'ingresso di afgani dall'Iran. RICHIEDENTI ASILO Con la presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan, le domande di asilo sono aumentate, così come anche le risposte positive. Da ottobre 2021 a marzo 2022 è stato accolto oltre l'80% delle domande. Ecco un grafico che mostra il numero di domande presentate in giallo e quelle accolte in verde. EUROPA E STATI UNITI Nel 2021, i paesi con maggiori risorse economiche nell'UE hanno accolto il maggior numero di richiedenti asilo: Germania e Francia. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, bisogna ricordare che si sono occupati dell'evacuazione di molti afghani che hanno lavorato con loro durante i vent’anni di permanenza statunitense. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Libri:
  • Il cacciatore di aquiloni, K. Hosseini, Edizioni Piemme (2004).
  • Mille splendidi soli, K. Hosseini, Edizioni Piemme (2007).
  • Kabul Disco. Come non sono stato sequestrato in Afghanistan, N. Wild, 001 Edizioni, (2014).
  • The Lightless Sky: A Twelve-Year-Old Refugee's Extraordinary Journey Across Half the World, G. Passarlay, HarperOne (2017).
  • Buskashi: viaggio in una guerra, G. Strada, Feltrinelli (2002).
  • Storie da Kabul, A. Cairo, Einaudi (2002).
  • Mosaico afghano. Vent’anni a Kabul, A. Cairo, Einaudi (2010).
  • Kabul, crocevia del mondo, N. Piro, People (2022).
  • Corrispondenze afghane, N. Piro, Poets & Sailors (2020).
  • Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, F. Geda, Dalai Editore (2010).
  • Storia di un figlio. Andata e ritorno, F. Geda ed E. Akbari, Baldini & Castoldi (2020).
  • Stanotte guardiamo le stelle, A. Ehsani, Feltrinelli Editore (2016).
Pagine web:
  • https://www.amnesty.org/en/location/asia-and-the-pacific/south-asia/afghanistan/report-afghanistan/
Film:
  • Flee, J. Poher Rasmussen (2021).
  • The Breadwinner, N. Twomey (2017).
Documentari:
  • Three Songs for Benazir, G. Mirzaei & E. Mirzaei (2021).
  • The Dancing Boys of Afghanistan, Najibullah Quraishi (2010).
Podcast:
  • https://podcasts.apple.com/gb/podcast/32-whats-happening-in-afghanistan-everything-you-need/id1468264562?i=1000532969101
  • https://desvelandooriente.com/2021/11/02/programas-y-podcasts-sobre-afganistan-2021/ (disponibile solo in spagnolo)
Articolo:
  • Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani.
GLOSSARIO
  1. MUJAHIDDIN: Questa parola significa “lotta” in arabo e, nel contesto dell'invasione sovietica dell'Afghanistan, erano quei guerrieri che hanno difeso il paese, intraprendendo così una guerra che durò un decennio.
  2. JIHAD: Sforzo che un musulmano deve compiere affinché la legge divina regni sulla Terra, e che in molti casi implica una lotta violenta.
  3. TALEBANI: Un movimento islamista nazionalista sunnita filo-pashtun fondato nei primi anni '90 che ha governato la maggior parte dell'Afghanistan dal 1996 all'ottobre 2001. Inizialmente, il movimento era composto da contadini e giovani che studiavano l'Islam nelle madrase, scuole religiose, afghane e pakistane. I talebani hanno stabilito e consolidato le loro forze nell'Afghanistan meridionale. La loro prima azione fu quella di istituire un'interpretazione rigorosa delle istruzioni del Corano. In pratica, questo si è tradotto in politiche spesso spietate contro le donne, gli oppositori politici e le minoranze religiose.
  4. AL-QAEDA: È un'organizzazione islamista creata da Osama bin Laden nel 1988 con l'obiettivo di creare un califfato islamico in tutto il mondo musulmano. Questo gruppo ha commesso attentati terroristici in molte parti del mondo: il più noto è stato quello dell'11 settembre negli Stati Uniti. Le radici di questa rete militante islamica risalgono agli anni '70, con l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica.
  5. SHARIA: A Sharia è il sistema legale dell'Islam. Si basa sul Corano, il libro sacro dell'Islam. La Sharia è un codice di condotta etica inteso ad aiutare i musulmani nelle loro decisioni quotidiane, che dovrebbero essere guidate da Dio. Si occupa anche del culto e della carità. Ma la sharia si occupa anche del crimine. Ad esempio, la Sharia presenta il furto come un reato grave che, secondo le interpretazioni più restrittive, può essere punito con l'amputazione della mano del colpevole.
  6. BURQA: Indumento che copre tutto il corpo di una donna, lasciando solo una piccola apertura all'altezza degli occhi.
  7. IS: L'acronimo sta per Stato islamico ed è un gruppo terroristico jihadista fondamentalista che segue una dottrina radicale dell'Islam sunnita. È emerso in Iraq come risposta all'invasione di questo paese e le persone appartenenti a questo gruppo hanno un'interpretazione estremista dell'Islam; inoltre, credono di essere i veri credenti. Per applicare la sharia -legge islamica basata sulle norme fondamentali del Corano- e realizzare il loro obiettivo: stabilire un califfato globale -governo in cui il capo è un califfo, successore del profeta Maometto- violano i diritti umani, esecuzione di persone, esecuzione di pulizie etniche e divieto di abbigliamento, tra gli altri.

PAKISTAN Secondo i dati dell'UNHCR, nel 2021 24.824 persone sono fuggite dal Pakistan e hanno presentato domanda di asilo in altri Paesi. Molte sfide incombono sul Pakistan e creano un clima di insicurezza, instabilità e violazioni dei diritti umani. Il conflitto con il gigante indiano, l'ascesa dei talebani, la radicalizzazione religiosa e l'aumento della violenza intercomunitaria causano numerose e frequenti violazioni dei diritti umani. A ciò si aggiungono la crisi ambientale e una situazione economica che non permette di avere un lavoro che consenta una vita dignitosa. Di conseguenza, molti migranti stanno cercando di raggiungere altri paesi, non solo per migliorare il proprio tenore di vita ma per sopravvivere. CONFLITTO CON L'INDIA Il conflitto è iniziato nel 1947, quando le due potenze si sono disputate la regione del Kashmir. Nel 1949 la regione è stata divisa in due: il 37% del territorio è andato al Pakistan, il 63% all'India. Tuttavia, da allora le rivendicazioni non sono cessate. Il Kashmir è diventato uno strumento della rivalità India – Pakistan. Quest'area rimane tesa. Così, il Pakistan come paese si è costruito intorno a questa rivalità che influenza molto la sua politica e le sue scelte. Questo conflitto è quindi in gran parte responsabile della posizione del Pakistan sui talebani. In un’ottica geopolitica, per il Pakistan sarebbe estremamente dannoso essere circondato da due paesi nemici; pertanto, il governo pakistano si impegna per garantire che l'Afghanistan non sia governato da un gruppo politico favorevole all'India. In questo modo, auspica a mantenere il paese vicino sotto la sua influenza. La soluzione trovata è quella di mantenere una situazione instabile sostenendo il gruppo islamista dei talebani, dando loro accesso all'addestramento militare, fornendo loro armi, aiutandoli direttamente durante le operazioni … In questo modo, il Pakistan sostiene nell'ombra i jihadisti attivi in Afghanistan e quelli attivi nel Kashmir indiano per aumentare il proprio potere, il proprio controllo su queste aree. Chi sono i talebani? I talebani formano un movimento islamista sunnita nazionalista filo-pashtun fondato nei primi anni '90 e hanno governato la maggior parte dell'Afghanistan dal 1996 all'ottobre 2001. Il movimento era composto, all'inizio, da agricoltori e giovani che studiavano l'Islam nelle madrase – le scuole religiose –afghane e pakistane. I talebani hanno stabilito e consolidato il loro potere soprattutto nel sud dell'Afghanistan. La loro prima azione è stata quella di imporre un'interpretazione rigorosa delle istruzioni del Corano. In pratica, ciò ha portato a politiche spesso spietate contro le donne, gli oppositori politici e le minoranze religiose. PAKISTAN E TALIBANI Il ritorno al potere dei talebani nel 2021 ha rappresentato quindi inizialmente una buona notizia per il Pakistan. Ciò gli permette di stabilire la sua influenza e di diventare l'intermediario indispensabile nelle relazioni internazionali dell'Afghanistan. Tuttavia, la situazione si è rivoltata gradualmente contro il Pakistan che si ritrova ad essere il principale promotore della minaccia dei talebani contro se stesso. In effetti, si è registrata una radicalizzazione religiosa in Pakistan: essere stato il sostegno e il rifugio per i talebani afghani per tutti questi anni ha contribuito a una desensibilizzazione e banalizzazione del terrorismo interno e alla radicalizzazione religiosa. Le autorità, impegnate a proteggere i talebani afgani, hanno permesso lo sviluppo di questi gruppi militanti sunniti. Molti pakistani si stanno unendo al ramo pakistano dei talebani: il Tehrik-e Taliban Pakistan (TTP). Questo movimento conta oggi diverse migliaia di membri. Il TTP è un'alleanza di gruppi militanti formatasi nel 2007 che si oppone all'esercito pakistano. Una delle rivendicazioni del TTP è il ripristino dello status semi-autonomo delle ex aree tribali ad amministrazione federale (FATA) al confine con l'Afghanistan. Nel 2018 il governo di Islamabad ha infatti fuso la regione FATA con la provincia nordoccidentale di Khyber Pakhtunkhwa per facilitare la sua amministrazione. Il TTP, che ha sede in Afghanistan ed è sostenuto dai talebani afghani, mira ad annullare la fusione delle FATA con la provincia di Khyber Pakhtunkhwa, ad imporre la legge della Sharia1 nella regione e a costringere le forze militari pakistane di ritirarsi da questa regione di confine. A tal fine, il TTP effettua attacchi terroristici dall'Afghanistan con crescente frequenza da quando i talebani sono saliti al potere. Questo movimento è sostenuto dai talebani afgani, quindi i legami con Kabul potrebbero diventare tesi in futuro. Inoltre, storicamente il TTP aveva stretti legami con i vertici di al-Qaeda. Il successo dei talebani afghani può dare nuova speranza e rivitalizzare l’azione dei talebani pakistani nella loro lotta per rovesciare il governo pakistano. Questo porta a una forte instabilità in Pakistan, oltre che a una sorta di schizofrenia: il governo, infatti, sostiene i talebani afghani ma combatte contro il loro ramo pakistano. VIOLENZE CONTRO LE MINORANZE Il Pakistan esiste dal 1947, in seguito alla scomparsa dell'impero coloniale britannico. In origine, l'intenzione era di rendere il paese un rifugio per le comunità musulmane del subcontinente indiano. Il 75% della popolazione è sunnita*, il 18% sciita2 e il restante 7% è composto da altre religioni (cristiane, induiste…). Tuttavia, per alcuni la creazione di un Pakistan indipendente è stata anche l'occasione per istituire una teocrazia3, vale a dire per applicare la legge della sharia. Questa seconda posizione si è sviluppata lentamente, prima di prevalere. All'inizio degli anni '70, la religione cominciò a essere strumentalizzata nella sfera politica e, contemporaneamente, aumentarono le manifestazioni pubbliche di ostilità verso le minoranze religiose. Questa ostilità è arrivata al punto di diventare una vera e propria politica statale, poiché è penetrata nella legislazione, nella tassazione e nell'istruzione. Le autorità, in generale, non proteggono le minoranze. Questo avviene per ragioni geostrategiche e politiche: per ottenere la maggioranza dei voti alle elezioni l'importante è convincere la maggioranza, e giocare la carta della religione è un modo efficace per farlo. La politica è quindi largamente favorevole alla maggioranza etnica e non alle minoranze. Da qui si sviluppa il terrorismo. L'idea di islamizzare il paese e di imporre la sharia, anche con la violenza, raccoglie sempre più consensi in un clima di impunità generalizzata. Il TTP è responsabile dell'incitamento e della conduzione di alcune delle peggiori violenze settarie. Gli attentati del 4 marzo 2022 contro la moschea sciita di Peshawar, per esempio, hanno ucciso oltre 60 persone. La mobilitazione dei sostenitori del TTP avviene come reazione a sospetti insulti rivolti al profeta Maometto: la blasfemia in Pakistan è punibile con la morte. Per esempio, il 3 dicembre 2021 il direttore di una fabbrica dello Sri Lanka è stato linciato, dopo essere stato accusato ingiustamente di blasfemia. È questo un contesto di violazioni dei diritti umani, come denunciato da diverse ONG (Human Right Watch, Amnesty International). Il Pakistan presenta un clima di violenza istituzionale e sociale permanente: violenze, discriminazioni, violazioni dei diritti umani, detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, persecuzione delle minoranze in un clima di impunità... Le minoranze religiose non sono protette dalle autorità e la legge contro la blasfemia4 è puntualmente usata contro di loro. Alla fine del 2017 centinaia di persone erano in attesa di giudizio e la maggior parte apparteneva a minoranze religiose. A ciò si aggiunge la minaccia del terrorismo, che secondo Amnesty International ha causato più di 50.000 vittime pakistane dal 2001. PAKISTAN E DIRITTI DEI BAMBINI In Pakistan non esiste un efficace sistema pubblico di protezione dei bambini. Di conseguenza, i bambini subiscono numerose violazioni dei loro diritti particolari ai sensi del diritto internazionale. Abuso di minori Secondo il rapporto SAHIL5, nel 2021 sono stati riportati sui giornali 3.852 casi di abusi su minori. Questi abusi includono casi segnalati di abusi sessuali, rapimenti, bambini scomparsi e matrimoni precoci. Pertanto, secondo il rapporto SAHIL, nel 2021 sono stati segnalati in totale 2.275 casi di abusi sessuali, con un aumento del 25% rispetto al 2020, e il 62% delle vittime era nella fascia di età 6-15. Secondo l'UNICEF, nel 2021 circa un quinto delle donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni risulta essersi spostato in tenera età, mentre erano ancora bambine. Questi matrimoni forzati possono portare a una vita di svantaggi e privazioni per il sano sviluppo del corpo e della mente di un bambino. Le principali vittime dei matrimoni forzati sono le donne: infatti, degli 80 casi di matrimoni precoci denunciati nel 2021, secondo il rapporto SAHIL, 70 erano di ragazze. Ciò dimostra anche che le ragazze sono sposate con uomini più anziani. È anche allarmante che la maggior parte dei casi di matrimoni precoci continui a essere segnalata nella fascia di età 6-15 anni. Il rapporto SAHIL riporta anche un numero preoccupante di sottrazioni di minori nel 2021 in Pakistan, pari a 1.303 casi, di cui 233 (18%) sono stati seguiti da abusi sessuali. Infine, anche i bambini pakistani corrono il rischio dello sfruttamento economico, che li priva dell'infanzia, della salute e dell'istruzione e li condannandoli a una vita di povertà. Ad esempio, secondo l'UNICEF, nel 2020 il 13,4% dei bambini dai 5 ai 17 anni nella regione del Punjab lavorava già e il 14,4% nella regione del Khyber Pakhtunkhwa. La lotta contro i matrimoni precoci e il lavoro minorile è particolarmente difficile in Pakistan perché la stragrande maggioranza dei bambini non è registrata alla nascita, quindi non esiste un censimento accurato della loro età, il che potrebbe aiutare a prevenire il lavoro minorile e i matrimoni precoci. Le conseguenze del Covid Nel 2021 sono stati abusati più di 10 bambini al giorno, secondo i dati SAHIL, con un aumento del 30% rispetto al 2020. Il Covid non ha migliorato la situazione. Al contrario, le restrizioni alla circolazione e la perdita di reddito hanno aumentato le probabilità che i bambini siano vittime di violenze e abusi. Inoltre, poiché i redditi sono diminuiti, è più probabile che i bambini lavorino o si sposino prima di raggiungere l'età adulta. PAKISTAN & AMBIENTE L'ambiente, in particolare il riscaldamento globale, è la nuova sfida per il Pakistan. Secondo l'ultimo rapporto della Germanwatch sul clima, il Pakistan sarà tra i 10 paesi più colpiti dall'aumento delle temperature nei prossimi decenni. Ciò porterà a un'elevata insicurezza alimentare, eventi meteorologici estremi, aumento delle ondate di calore e degli incendi. Queste ondate di calore porteranno allo scioglimento dei ghiacciai del Karakorum, Hindu Kush e Himalaya, e quindi a forti inondazioni e alla mancanza di acqua potabile, poiché i ghiacciai forniscono acqua fresca a più di 220 milioni di persone. L'esempio dell'anno 2022 illustra perfettamente il rischio affrontato dal Pakistan: Estreme ondate di calore L'esempio di Jacobabad è stato ripreso da molti media, molti studi (In Jacobabad, One of the Hottest Cities on the Planet, a Heat Wave Is Pushing the Limits of Human Livability - Inside Climate News, in https://insideclimatenews.org/news/20062022/jacobabad-pakistan-heat-health/): è una delle città più calde al mondo e uno degli uniche due ad aver raggiunto un livello di calore e umidità che il corpo umano non può sopportare. Per proteggersi da questo caldo soffocante, gli abitanti hanno provato soluzioni che non si sono rivelate soddisfacenti e durature:

  • Sdraiarsi con vestiti bagnati per riuscire a riposare.
  • I lavoratori fanno delle pause pomeridiane, ma questo porta a una diminuzione degli stipendi, quando anche il più piccolo centesimo è indispensabile per vivere.
  • Sdraiarsi sullo spartitraffico che separa le strade ad alta velocità per sfruttare il flusso d'aria prodotto dai veicoli.
  • Tuffarsi nell'acqua sporca per rinfrescarsi, anche se questo comporta problemi alla pelle.
Di conseguenza, la perdita dei sensi dovuta al caldo era molto comune, così come anche i infezioni cutanee... E le donne sono le persone che soffrono maggiormente il calore: non possono spogliarsi in pubblico, né tuffarsi nelle fognature per rinfrescarsi, né dormire all'aperto a causa del rischio di sesso violenza. Violenti monsoni Un nuovo disastro è seguito all’ondata di calore: il ⅓ del Pakistan è finito sott'acqua dopo un pesante monsone. Più di 1.600 persone sono morte a causa di questo monsone. Molte case, negozi, strade e ponti sono stati distrutti. 7,5 milioni di persone sono state sfollate, molte delle quali vivono ancora in campi di fortuna, dove non ci sono protezioni contro le zanzare che possono portare diversi virus e malattie gravi (dengue, scabbia) e dove mancano acqua potabile e servizi igienici. SUI RIFUGIATI Secondo i dati dell'UNHCR, nel 2021 24.824 persone sono fuggite dal Pakistan e hanno presentato domanda di asilo in altri Paesi. I paesi di destinazione più comuni sono stati l'Italia, la Grecia e la Francia. Complessivamente, nel mondo durante il 2021 l'83% delle domande di asilo presentate da pakistani sono state respinte ULTIME NOTIZIE PER L'EUROPA Secondo l'Agenzia europea per l'asilo, tra giugno e agosto 2022 quasi 11.600 pakistani hanno presentato domanda di asilo nei paesi dell'UE, quasi il doppio rispetto allo scorso anno alla stessa periodo (più precisamente.1,7 volta) Ad agosto, sono state prese circa 2.100 decisioni per i richiedenti pachistani in Europa, ma meno di 150 di queste decisioni hanno concesso protezione. Ciò dà un tasso di riconoscimento dell’asilo ai rifugiati pakistani del 7%, in linea con gli ultimi mesi. Nel complesso, le domande pendenti in primo grado hanno continuato a crescere, superando le 19.800 a fine agosto. Poco meno della metà delle cause pendenti sono in sospeso da più di sei mesi. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Documentari:
  • Pakistan hidden shame: the forgotten street children (2014): uno sguardo sugli abusi sessuali subiti dai bambini che vivono nella città di Peshawar, nel nord-ovest del Pakistan. https://www.youtube.com/watch?v=6l7i0SSo6B
  • Girl Unbound: The War to Be Her (2016): In Waziristan, "uno dei luoghi più pericolosi della terra", Maria Toorpakai sfida i talebani travestendosi da ragazzo per poter praticare sport apertamente. Ma quando diventa una stella nascente, la sua vera identità viene rivelata, portando a continue minacce di morte contro di lei e la sua famiglia. Questo costringe Maria a lasciare la sua casa e il suo paese. Imperterrita, Maria decide di tornare a casa e affrontare il pericolo per praticare lo sport che ama.
  • The Accused, Damned or Devoted?, diretto da Mohammed Naqvi. In Pakistan, chiunque sia accusato di blasfemia rischia la pena di morte. Mentre gli attivisti per i diritti civili chiedono da anni una revisione della legge del 1986, Khadim Hussain Rizvi, fondatore del partito fondamentalista islamista Tehreek-e-Labbaik, ha orchestrato una violenta campagna per mostrare il suo sostegno alla legge. Il documentario segue le vicende di quattro persone accusate di blasfemia.
Film:
  • Dukhtar (2014): Nelle montagne del Pakistan, gli abitanti del villaggio scacciano una madre, un figlio e una figlia di 10 anni dopo che quest'ultima è scappata il giorno prima del suo matrimonio, rifiutandosi di sposare il capo tribù.
  • Iqbal, a Tale of a Fearless Child (2015): il film è parte di una campagna di sensibilizzazione contro il lavoro minorile. Questo film d'animazione è ispirato alla storia vera di Iqbal Masih, un bambino pachistano ridotto in schiavitù dall'età di quattro anni per saldare il debito della sua famiglia. All'età di nove anni fugge dalla fabbrica di tappeti dove lavorava in turni di dodici ore al giorno. Grazie all’avvocato che lo ha aiutato, Iqbal, all'età di dieci anni, è diventato una delle figure di spicco a livello mondiale nella lotta contro la schiavitù moderna ed è intervenuto in conferenze internazionali per l'UNICEF e alle Nazioni Unite a New York.
Libri:
  • Io sono Malala, M. Yousafzai con C. Lamb (2013): “come una ragazza si è opposta all'istruzione e ha cambiato il mondo". È la commovente storia di una famiglia esiliata a causa del terrorismo; di un padre che, contro ogni previsione, ha fondato scuole; di genitori coraggiosi che, in una società dove i ragazzi sono preferiti e rispettati, hanno mostrato un amore immenso per la loro figlia e l'hanno incoraggiata a studiare, a scrivere, a denunciare l'insopportabile e a rivendicare l'accesso all’istruzione per tutti.
  • A Hard Country, A. Lieven (2011): Il libro di Anatol Lieven è un'indagine su questo paese altamente complesso e spesso frainteso: le sue regioni, le etnie, le tradizioni religiose in competizione tra loro, i vari contesti sociali, le profonde tensioni politiche e i modelli storici di violenza; ma anche la sua sorprendenti stabilità, radicata nella parentela, nel mecenatismo e nel potere delle élite locali consolidate.
  • La sposa pakistana, B. Sidhwa (2002): A seguito di uno dei massacri interetnici che hanno accompagnato la spartizione dell'India e del Pakistan, una ragazzina orfana del Punjab viene adottata da Qasim, un montanaro del Kohistan. Avendo perso moglie e figli, egli decide di andare a Lahore dove cresce la ragazza. Anni dopo i fatti, provando profonda nostalgia per le sue montagne, Qasim dà in sposa la giovane a un uomo della sua tribù: padre e figlia adottiva fanno, quindi, ritorno nell'alta valle dell'Indo. Ma niente accomuna la nuova coppia e il matrimonio si trasforma presto in tragedia... Dalle scene violente all'inizio del romanzo, alla vita popolare nei quartieri di Lahore, ai paesaggi grandiosi dell'Himalaya, Bapsi Sidhwa è capace di evocare un’ambientazione intima e autentica dove, lontano da ogni esotismo, prendono vita personaggi che si lasciano amare dal lettore, una vita lacerata da un sogno di impossibile riconciliazione culturale.
Pagine web:
  • Crisis Group: https://www.crisisgroup.org/327/asia/south-asia/pakistan/new-era-sectarian-violence-pakistan
  • Amnesty International: https://www.amnesty.org/fr/location/asia-and-the-pacific/south-asia/pakistan/
GLOSSARIO
  1. LEGGE DELLA SHARIA: La Sharia è il sistema legale dell'Islam. Si basa sul Corano, il libro sacro dell'Islam. La Sharia fornisce un codice di condotta etica che ha lo scopo di aiutare i musulmani nelle loro scelte quotidiane, che devono essere guidate da Dio. Affronta anche il tema del culto e della carità. Ma la Sharia tratta anche il crimine. Ad esempio, la Sharia presenta il furto come un reato grave, che, secondo le interpretazioni più severe, può essere punito con l'amputazione della mano del delinquente.
  2. SCIITI E SUNNITI: Il sunnismo e lo sciismo sono i due rami principali della religione musulmana. L'origine di questa divisione può essere fatta risalire alla morte di Maometto e al problema della sua successione. I sunniti riconoscono i primi tre successori, mentre gli sciiti riconoscono come legittimo solo il quarto, un cugino del profeta Maometto che sposò sua figlia, e i suoi successori. Oggi i sunniti rappresentano il 90% dei musulmani. Sono la maggioranza in molti paesi del cosiddetto mondo musulmano. Gli sciiti sono la maggioranza solo in Iraq e Iran dove è la religione ufficiale. Una minoranza sciita è presente anche in diversi paesi a maggioranza sunnita come la Siria e il Libano. Le differenze teologiche tra sunnismo e sciismo sono manipolate come strumento in molti conflitti che, spesso, nascondono altri motivi di scontro.
  3. TEOCRAZIA: Società in cui il governo è esercitato dall'autorità religiosa.
  4. BLASFEMIA: Discorso che offende la divinità, la religione o ciò che è considerato sacro.
  5. SAHIL: Sahil è un'organizzazione che si impegna dal 1996 per protezione dei bambini, in particolare contro gli abusi sessuali sui minori.

SIRIA Sapevi che oltre il 90% dei siriani vive in povertà? E che più di 11 milioni di loro dipendono dagli aiuti umanitari? La Siria sta affrontando le conseguenze di una guerra che ormai dura da più di undici anni: povertà, mancanza di istruzione, crisi economica, siccità, violenza, mancanza di infrastrutture e milioni di sfollati. APPROCCIO STORICO

  • Primavera araba
Nel 2011, in tutto il mondo arabo, la gente ha deciso di protestare e chiedere riforme ai governi oppressivi. Il movimento di protesta è iniziato in Tunisia e si è diffuso in Egitto, Yemen, Bahrain, Libia e Siria, sebbene abbia colpito, in misura minore, anche altri paesi. Ecco una mappa, estratta da The economist: press reports, dell'intera area interessata da queste rivolte. In Siria, il contesto precedente alla primavera araba era il seguente: disoccupazione, mancanza di libertà politica e repressione da parte del presidente Bashar al-Assad. Tuttavia, il Paese contava più di due milioni di abitanti che convivevano pacificamente nonostante le diverse religioni ed etnie: curdi, arabi, armeni, cristiani, musulmani... Il livello di scolarizzazione era quasi del 100% dei bambini in età scolare e i dati sulla mortalità infantile erano simili a quelli di altri paesi a reddito medio. I matrimoni precoci esistevano, ma in numero molto inferiore a quello odierno. Prima della guerra, la Siria era un paese prospero, con una situazione stabile e una ricca cultura millenaria.
  • Guerra civile
Nel marzo 2011 a Dara’a, una città agricola al confine con la Giordania, un gruppo di adolescenti ha scritto alcuni slogan rivoluzionari sul muro di una scuola. Per questo motivo sono stati poi arrestati e torturati dalle forze di sicurezza. L'indignazione per la reclusione e i maltrattamenti da loro subiti ha scatenato una serie di manifestazioni a favore della democrazia da parte della popolazione di tutto il paese. La reazione del governo è stata durissima: omicidi e repressione violenta. Per far fronte a questa repressione, sono nati gruppi armati che si opponevano al governo. Lo scontro fra questi due schieramenti è presto sfociato nella guerra civile. L’ampio ed eterogeneo gruppo noto come opposizione (coloro che volevano la rimozione del presidente Assad), era composto da gruppi ribelli che includevano combattenti moderati e laici, e gruppi islamisti1 e jihadisti2. Per il governo, quindi, è stato estremamente facile accusare l'opposizione di essere un ricettacolo per terroristi e membri dello Stato islamico (IS)3. Approfittando dell'instabilità in Siria, l'IS ha preso il controllo di vaste aree di territorio e ha creato una guerra nella guerra, frammentando le posizioni all’interno sia dell’opposizione sia del governo. Arabia Saudita, Turchia e Stati Uniti sono stati coinvolti in questa guerra, sostenendo i gruppi di opposizione, mentre Russia e Iran hanno fornito aiuti ad Assad. Nel 2014 la presenza dell’IS in Iraq e in Siria era prevalente ed è allora che sono intervenuti gli Stati Uniti, sostenendo le forze curde4. In teoria i due erano contro IS ma si sono accusati a vicenda di aver ucciso civili durante le loro operazioni militari. Nel 2016 la Turchia è entrata nella guerra civile per combattere le forze curde (con le quali ha un conflitto di lunga data). Diversi gruppi si sono scontrati in questa guerra: il regime siriano, le forze curde, l'opposizione al regime (alcuni jihadisti) e IS. Una delle catastrofi più note di questa guerra è avvenuta nel 2017, quando il governo siriano ha usato il sarin nella città di Khan Shijun, un'arma chimica che ha ucciso migliaia di bambini. Questa guerra è durata così a lungo perché sono intervenute potenze regionali e mondiali. Le conseguenze sono state letali: quasi mezzo milione di persone sono morte, 12.000 delle quali bambini (UNICEF). SITUAZIONE ATTUALE Povertà Nella situazione attuale il 90% della popolazione vive in condizioni di estrema povertà e un totale di 13,4 milioni di persone ha bisogno di aiuti umanitari (ONU)5. Molti bambini soffrono di malnutrizione e ciò influisce sulla loro crescita (UNICEF)6. Mancanza di istruzione Il numero di bambini e adolescenti che non frequentano la scuola è molto alto: 2,45 milioni di bambini e adolescenti. Prima della guerra, il tasso di alfabetizzazione in Siria era alto: il 79,6% della popolazione era infatti alfabetizzata (UNICEF). Crisi economica I prezzi sono aumentati notevolmente e c'è molta corruzione nel paese. La produzione di petrolio e il turismo sono crollati. Le persone hanno dovuto escogitare altri modi per sopravvivere, come il mercato nero e il contrabbando. Inoltre, negli ultimi anni il PIL (prodotto interno lordo)7 del paese è andato diminuendo. Cambiamento climatico Secondo le Nazioni Unite, il nord-ovest della Siria sta soffrendo la peggiore siccità degli ultimi 70 anni: si registra, infatti, una significativa carenza di acqua potabile. Questa crisi ha due cause principali: da un lato, il Medio Oriente è una delle aree più colpite al mondo dal cambiamento climatico; d'altra parte, dall'Eufrate non arriva acqua a sufficienza dalla Turchia e si sospetta che questo paese stia trattenendo l'acqua come strumento politico nel suo scontro con il partito curdo siriano (PYD). Violenza Nessuna parte della Siria è sicura in cui tornare dopo la guerra: torture, sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie sono all'ordine del giorno nel Paese, così come la violazione di ogni tipo di diritto umano da parte del governo nei confronti delle persone che sono tornate a casa . Mancanza di infrastrutture Molte sono le infrastrutture danneggiate, comprese le reti idriche. Più della metà degli ospedali pubblici sono fuori uso a causa della loro distruzione e una scuola su tre è stata resa inagibile. Sfollati Ci sono stati molte persone sfollate: 6,7 milioni all’interno del paese e 5,6 milioni verso altri paesi. I paesi vicini (Libano, Giordania e Turchia) hanno accolto il maggior numero di rifugiati (93%). Circa il 10% dei siriani ha chiesto asilo in Europa. PERSONE SFOLLATE SFOLLATI INTERNI L'Onu afferma che “la Siria è il Paese con il maggior numero di sfollati interni” (6,9 milioni). Gli sfollati vivono in campi le cui condizioni sono disastrose: c'è una notevole carenza di cibo e non c'è sufficiente assistenza medica. Inoltre, in inverno le temperature si abbassano notevolmente e, in alcune località, piove spesso; questo significa che le famiglie hanno bisogno di riscaldarsi, ma purtroppo non possono permettersi il carburante. Alle misere condizioni di vita, c'è insicurezza in tutto il paese. PAESI VICINI ED EUROPA
  • Più della metà dei rifugiati siriani è rimasta in Medio Oriente, principalmente in Turchia, dove ci sono quasi 4 milioni di persone. Il governo turco ha ridotto il numero di rifugiati nei centri urbani e ne ha trasferiti molti in altre province, poiché la maggior parte di loro si concentrava a Istanbul.
  • Il Libano, da parte sua, ospita la seconda più grande popolazione di rifugiati siriani ed è il paese con la più alta densità di rifugiati al mondo.
  • Anche Giordania, Iraq ed Egitto ospitano molte persone in fuga dalla guerra, circa un milione circa.
L'altra parte dei rifugiati si trova in Europa, soprattutto in Germania, Grecia, Svezia e Austria. DOMANDE DI ASILO Nel 2020 le domande di asilo sono diminuite del 32% rispetto all'anno precedente, non perché ci fossero meno persone bisognose di protezione internazionale, ma perché, a causa della pandemia, è diventato più difficile raggiungere l'Europa. Anche se sono pervenute meno domande, 6 su 10 sono state respinte. Nel 2021 l'87% dei siriani che hanno presentato domanda di asilo in Europa ha ricevuto una risposta positiva. Nel 2021, secondo l'UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati)8, in totale 109.790 persone sono fuggite dalla Siria e hanno presentato domanda di asilo in altri paesi. Ciò corrisponde a circa lo 0,601% di tutti gli abitanti. I paesi ospitanti più frequenti sono stati Germania, Austria e Paesi Bassi. Nel complesso, circa il 7% delle domande di asilo sono state respinte. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Libri:
  • L'apicultore di Aleppo, C. Lefteri, Piemme, (2019).
  • Il paese del sale e delle stelle, J. Zeynab Joukhadar, Garzanti (2018).
  • Cicatrice du tela, A. Dachan, Castelvecchi Editore, (2022).
  • Non c’è il mare ad Aleppo, A. Dachan, L’Erudita, (2021).
  • Butterfly. Da profuga a medaglia olimpica. Una storia di salvezza, speranza e trionfo, Y. Mardini, Giunti editore (2019).
. Pagine web :
  • https://www.amnesty.org/en/location/middle-east-and-north-africa/syria/report-syria/
Film:
  • L'altro volto della speranza, A. Kaurismäki (2017).
Documentari:
  • Alla mia piccola Sama, W. al-Kateab ed E. Watts. (2019)
  • Born in Syria. H. Zin (2016)
  • The cave, F. Fayyad (2019)
Podcast:
  • https://www.wvi.org/syria-crisis-response/Syria10/podcast-syrias-lost-generation
  • https://player.fm/series/what-happened-to-syria
GLOSSARIO
  1. ISLAMISTA: persona che professa il fondamentalismo islamico o ne fa parte. Il fondamentalismo islamico è un movimento politico che cerca di imporre un’interpretazione rigida dell'Islam in tutti i paesi, usando la forza e la violenza se necessario.
  2. GRUPPI JIHADISTI: gruppo di fondamentalisti islamici che sostengono la lotta armata per scopi religiosi e intendono la jihad come una guerra santa.
  3. IS: Acronimo per Stato Islamico. È un gruppo terroristico di natura fondamentalista e jihadista che segue LA dottrina radicale dell'Islam sunnita. È emerso in Iraq come risposta all'invasione americana. I suoi affiliati abbracciano un'interpretazione estremista dell'Islam e affermano di essere i veri credenti. Per attuare la Sharia (legge islamica basata sulle regole fondamentali del Corano) violano i diritti umani, giustiziando persone, effettuando pulizie etniche e vietando l'abbigliamento.
  4. KURDISTAN: è una vasta regione appartenente a diversi paesi mediorientali – principalmente Turchia, Iran, Iraq e Siria, e anche, ma con minore rappresentanza, Armenia – priva, però, di uno stato autonomo. Si parla curdo, anche se con varianti diverse a seconda del paese di origine. In alcuni paesi, come in Turchia, i curdi hanno subito dure repressioni in diversi momenti della loro storia. I curdi rivendicano da tempo una regione autonoma e indipendente dai paesi in cui risiedono.
  5. ONU: le Nazioni Unite sono la più grande organizzazione internazionale esistente il cui scopo è mantenere la pace e la sicurezza e unire gli sforzi attraverso l'integrazione dei governi di tutto il mondo per raggiungere gli obiettivi in materia di diritti umani.
  6. UNICEF: L’Agenzia delle Nazioni Unite per l'infanzia è un fondo delle Nazioni Unite che si adopera per i bambini e gli adolescenti più svantaggiati del mondo, fornendo loro, tra le altre cose, vaccini, cibo, acqua pulita e istruzione.
  7. PIL: Il prodotto interno lordo è il totale dei beni – cibo, prodotti, macchinari, tra gli altri – e servizi – sanità e istruzione, per esempio – prodotti in un paese in un periodo di tempo, generalmente un anno.
  8. UNHCR: l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati è l’agenzia dell'ONU il cui scopo è garantire il rispetto e la protezione internazionale dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

SOMALIA Secondo i dati UNHCR1, 31.227 persone sono fuggite dalla Somalia nel 2021 e hanno presentato domanda di asilo in altri Paesi. La Somalia sta affrontando una situazione particolarmente complessa: le condizioni di sicurezza si sta deteriorando a causa di conflitti armati, delle continue violazioni dei diritti umani e degli attacchi contro i civili. Inoltre, la popolazione soffre a causa di una gravissima siccità, che comporta un elevato rischio di carestia diffusa. Quest'anno, il persistente conflitto armato e le croniche crisi umanitarie sono state ulteriormente aggravate dalla pandemia di COVID-19. CONTESTO POLITICO STORICAMENTE INSTABILE La Somalia è stata a lungo divisa in due: il sud era sotto il dominio italiano, il nord sotto quello britannico. Nel 1960 i due paesi ottennero l'indipendenza e sono furono riuniti, ma rimasero due amministrazioni presidenziali divise. Nel 1969, il maggiore generale Mohamed Siad Barre guidò un colpo di stato, prese il potere e stabilì un regime politico comunista. Tuttavia, l'opposizione al regime di Siad Barre crebbe progressivamente erodendo il consenso al regime, data la perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, in particolare quelle per la risoluzione dei conflitti, e dato l'aumento della corruzione e della violenza nel paese. Inoltre, aumentarono le tensioni tra i clan. Infatti, tuttora in Somalia esistono sei principali clan: i Darod, gli Hawiye, gli Issack, i Dir, i Rahanwein e i Digil. Nel 1991 il regime di Siad Barre fu rovesciato dai ribelli della Somalia meridionale. I vari movimenti di opposizione armata ebbero la meglio sulle forze governative e Mogadiscio cadde nelle mani del generale Mohammed Farah Aidid, che apparteneva al clan hawiye. Il paese stava per precipitare in una situazione catastrofica. Fu, infatti, l'inizio di una rottura fratricida del clan hawiye: ad essere nominato presidente non fu il generale Mohamed Farah Aidid, ma Ali Mahdi Mohamed, anche lui hawiye. Questa nomina portò a una guerra estremamente distruttiva tra gli Hawiye e i loro sostenitori, soprattutto nella capitale. Il panorama politico della Somalia era diviso tra: i grandi clan, una quindicina di movimenti armati più o meno potenti, diversi signori della guerra e il movimento islamista radicale. Alle rivalità interne degli Hawiwe e a quella tra signori della guerra, tra alleanze strette e infrante, si aggiunsero, in misura minore, le rivendicazioni secessioniste del Somaliland. In assenza di una soluzione politica, i signori della guerra imperavano sovrani. All'inizio degli anni '90, le Nazioni Unite tentarono di trovare una risoluzione ai conflitti interni alla Somalia. Tuttavia, questa missione si rivelò un fallimento. Non solo le Nazioni Unite non riuscirono a risolvere la crisi, a causa della scarsa conoscenza delle dinamiche della società somala, ma esacerbarono anche le rivalità di fondo e crearono nuove tensioni. Gradualmente prese piede l'idea di ricostruire la Somalia in un quadro federale. Il 20 agosto 2012 è stato formato il governo federale della Somalia, con Hassan Sheik Mohamud come presidente. Tuttavia, il paese rimane fragile. L'insicurezza e l'instabilità sviluppatesi durante la guerra civile incidono sulla capacità del governo di esercitare il potere sul territorio. In assenza di un'autorità politica in grado di garantire la sicurezza collettiva, i cittadini cercano di proteggersi con i propri mezzi. Ciò ha portato all'armamento della società e a un forte sviluppo delle milizie, oggi difficili da smantellare. Inoltre, persistono le rivalità tra il governo federale e gli stati federati per il controllo del territorio e delle forze armate, la condivisione delle risorse e la delega del potere. Nel frattempo, aumentano le tensioni per il controllo della regione di Sool tra Puntland e Somaliland: a fine dicembre 2022 sono scoppiati scontri mortali tra le forze di sicurezza del Somaliland e manifestanti in un'area rivendicata dal Puntland, in cui sono rimaste uccise 20 persone. SITUAZIONE DI SICUREZZA Al shabaab La situazione della sicurezza in Somalia rimane preoccupante, costellata da frequenti attacchi mortali che prendono di mira i civili. Questi attacchi sono orchestrati soprattutto dagli Shabab e altri gruppi armati, nonostante la presenza delle forze di sicurezza somale e internazionali. Dal 1° febbraio al 6 maggio 2022, nel Paese sono stati registrati 236 incidenti, la maggior parte dei quali attribuibili allo Shabab. Al Shabaab è un gruppo militante islamista somalo formatosi nel 2006. Il suo obiettivo è l'imposizione di uno stato islamico sunnita e della legge della Sharia in Somalia attraverso il jihad. Il gruppo è in conflitto con la Somalia da più di dieci anni. Secondo Annette Weber, Alto Rappresentante dell'Unione Europea per la Somalia, lo Shabab è diventato "il franchise globale più ricco e potente di al-Qaeda". Il contesto somalo è particolarmente favorevole alla crescita di questo movimento: la Somalia è un paese dove il governo stenta a stabilirsi al di fuori delle grandi città. Così, sebbene il governo sia riuscito a riprendere il controllo della capitale nel 2010, non ha fatto progressi reali nella sua lotta contro Al Shabaab, che, in assenza di una vera opposizione statale, può svilupparsi più facilmente. Questo movimento è una delle principali cause di insicurezza in Somalia ed è l’artefice di numerosi conflitti armati e attacchi ai civili. Blocca inoltre le vie di ingresso e uscita di alcuni villaggi, impedendo l'accesso agli aiuti umanitari. Gli Shabab opprimono finanziariamente le famiglie con le tasse e reclutano con la forza adulti e bambini per unirsi ai suoi ranghi. Sostengono un'interpretazione molto severa della legge islamica, che impongono nelle aree che controllano: esecuzioni pubbliche, lapidazioni, amputazioni, matrimoni forzati, codici di condotta restrittivi per uomini e donne (divieto di musica, film, certi vestiti, ecc.). NOTIZIE RECENTI Augusto Attacco di Al Shabaab nella capitale Mogadiscio, 20 morti. Settembre Alleanza tra le milizie del clan e del governo per condurre un attacco congiunto ad Al Shabaab. Rischio di esacerbare le violenze contro la popolazione Ottobre: Continua l'offensiva militare contro Al-Shabaab. In risposta, il gruppo ha lanciato diversi attacchi:

  • A Mogadiscio: l'attentato più grave degli ultimi cinque anni, con almeno 120 morti.
  • Nella regione di Hiran, nelle città di Beledweyne, Buulobarde e Jalalaqsi. In totale hanno provocato più di 40 morti.
  • A Kismayo. Al-Shabaab ha asseditato un hotel, uccidendo 9 civili.
Nel frattempo, vicino al confine etiope, gli scontri tra i militanti di Al-Shabaab e le forze di polizia etiopi di Liyu avrebbero provocato oltre 100 vittime da entrambe le parti. Dicembre: Le forze governative somale, aiutate dagli attacchi aerei statunitensi e dalle truppe dell'Unione africana, conducono importanti offensive contro al-Shabab, riprendendo il controllo di vaste aree nel sud. ➪ In questo modo, centinaia di civili sono rimasti uccisi in attacchi indiscriminati condotti dalle parti in conflitto.
  • Secondo le Nazioni Unite, il conflitto ha provocato 536 vittime civili (241 morti) tra febbraio e luglio 2022, il 68% da parte di Al Shabaab, il resto da parte del governo, delle milizie dei clan e delle forze internazionali e regionali.
  • In particolare, gli attacchi di al Shabaab hanno provocato numerose vittime civili. La maggior parte degli attentati ha preso di mira l’AMISOM (Missione dell'Unione Africana in Somalia) e forze di sicurezza somale, personalità politiche, media e civili.
Pirateria Inizialmente, la pirateria si è sviluppata come atto di difesa contro la pesca illegale: i pescatori erano rimasti senza mezzi di sussistenza in seguito all'aumento del contrabbando internazionale e della pesca illegale da parte di pescherecci stranieri nelle acque territoriali somale. I pirati somali si presentavano, quindi, come una guardia costiera non ufficiale della nazione, una guardia costiera che combatteva contro la pesca illegale e lo scarico di rifiuti da parte di società straniere. Tuttavia, la motivazione alla base di questo fenomeno e della sua proliferazione si è evoluto nel tempo. In effetti, la pirateria rappresenta un'attività estremamente redditizia: grazie al sequestro di ostaggi e alla richiesta di riscatto, i pirati possono richiedere centinaia di migliaia di dollari per il loro rilascio. La pirateria si è quindi trasformata da attività di difesa della popolazione locale a vero e proprio business redditizio ed è diventato un problema di portata mondiale. Bisogna, però, tenere in conto che la pirateria ha potuto svilupparsi perché l'ambiente politico glielo ha permesso. L'instabilità politica del Paese da un lato, e la guerra civile dall’altro non hanno consentito l'istituzione di un'amministrazione statale centralizzata, e ciò ha reso difficile, se non impossibile, la lotta alla pirateria. Negli ultimi anni, tuttavia, la pirateria è notevolmente diminuita. Ciò è dovuto alla presenza di molte forze navali straniere nelle acque somale, navi che pattugliano e combattono la pirateria. L'Onu ha autorizzato le navi da guerra ad entrare nelle acque somale e ad utilizzare ogni mezzo per difendersi dalla pirateria. Oggi gli attacchi dei pirati sono praticamente cessati. SITUAZIONE UMANITARIA La situazione umanitaria in Somalia rimane complessa e drammatica, a causa degli effetti devastanti del conflitto interno, dell'insicurezza, delle inondazioni, della siccità, dell'invasione di locuste e della pandemia. Dopo quattro stagioni consecutive di scarse piogge, circa 7,8 milioni di persone, vale a dire quasi la metà della popolazione, sono gravemente colpite dall'insicurezza alimentare. L'agenzia delle Nazioni Unite per l'infanzia ha riferito a metà settembre che più di 500.000 bambini somali sotto i cinque anni rischiano di morire di fame a causa della siccità. Gli aiuti internazionali sono l'unico modo per evitarlo ma, a causa di Al Shabaab, è impossibile raggiungere alcune città che ne avrebbero bisogno. Secondo uno studio di Oxfam e Save the Children, i cambiamenti climatici stanno aggravando la fame e la malnutrizione tra le popolazioni vulnerabili. Le due Ong stimano che in Somalia, Kenya ed Etiopia ogni 48 secondi una persona muoia di fame. SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI Breve riassunto della situazione attuale La Somalia presenta un contesto di numerose violazioni dei diritti umani: attacchi agli operatori umanitari; uso eccessivo della forza da parte della polizia con conseguente morte di civili; violazioni del diritto alla libertà di espressione e di opinione; violenza sessuale e di genere; e sgomberi forzati durante la pandemia. Libertà di espressione, associazione e riunione Anche se diverse leggi tutelano queste libertà, in pratica, le autorità somale, come gli anziani dei clan e le figure politiche, non proteggono questi diritti. Secondo la Somali Journalists Union e la Somali Media Association, tra gennaio e aprile 2022, in tutto il Paese e nel Somaliland sono stati arrestati e detenuti 37 giornalisti. Nel suo rapporto annuale per il 2021, l'Unione nazionale dei giornalisti somali ha riportato gli omicidi di due giornalisti e 63 casi di aggressione fisica, molestie, arresto illegale, detenzione, tortura, cyberstalking e minacce contro giornalisti e quattro agenzie mediatiche. Informazioni sul sistema giudiziario In Somalia è diffuso un alto livello di impunità. L'ordinamento giuridico non consente una rigida applicazione della legge e un'effettiva tutela dei cittadini. Il sistema legale somalo è duplice:
  • Il sistema statale incontra molte difficoltà: mancanza di personale, infrastrutture, attrezzature e fondi... ed è del tutto assente nelle regioni controllate dallo Shabab. In queste aree, lo Shabab applica in modo rigoroso la legge della Sharia che prevede la pena di morte per alcuni reati, la lapidazione delle donne sposate accusate di adulterio e l'amputazione delle mani per i ladri.
  • La giustizia stragiudiziale si è sviluppata proprio per superare le debolezze del sistema formale. Si basa su un insieme di norme di legge non scritte, inclusa la legge della Sharia. Il problema è che in questi tribunali extragiudiziali non vengono rispettati gli standard internazionali sui diritti umani. Inoltre, la giustizia è dispensata in un contesto sociale all’interno del quale i clan esercitano una forte influenza. Questo significa che la giustizia non è dispensata a favore dei gruppi emarginati, ma piuttosto a vantaggio delle maggioranze.
IN SINTESI La concomitanza di siccità, inondazioni, conflitti armati e perdita di mezzi di sussistenza ha esacerbato la crisi umanitaria: secondo le Nazioni Unite, ai 2,6 milioni già sfollati negli anni precedenti, tra gennaio e agosto 2022 si possono aggiungere 573.000 nuovi sfollati. Le persone a rischio di sfollamento comprendono civili, leader di clan, delegati elettorali, funzionari e rappresentanti del governo, agenti di polizia, soldati fuori servizio e operatori umanitari. Di conseguenza, la Somalia si confronta con un deterioramento della situazione di sicurezza interna, nonché con la siccità e il rischio diffuso di una carestia. L'UNHCR sta fornendo a diversi Stati una guida legale per la protezione dei rifugiati somali. Le persone in fuga da violenze, violazioni dei diritti umani e persecuzioni devono essere considerate adatte a ricevere lo status di rifugiato, poiché soddisfano i criteri per l’asilo. SUI RIFUGIATI Secondo i dati UNHCR nel 2021 sono fuggite dalla Somalia 31.227 persone che hanno chiesto asilo in altri paesi. I paesi di destinazione più comuni sono stati Uganda, Germania e Francia. Le persone che si sono rifugiate in Uganda e in Kenya hanno avuto più possibilità di vedere accettata la loro richiesta di asilo. Il 75,3% delle domande di asilo da parte di somali è stato accolto nel mondo nel 2021. Inoltre, secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, «l'80% dei rifugiati somali vive in paesi limitrofi: alla fine del 2021, nel mondo c'erano più di 800.000 rifugiati e richiedenti asilo somali, la stragrande maggioranza dei quali vive in paesi vicini come Kenya (279.200), Etiopia (250.719), Yemen (69.940) e Uganda (61.853)». ULTIME NOTIZIE PER L'EUROPA Secondo l'Agenzia europea per l'asilo, più di 1.500 somali hanno presentato domanda di asilo nei paesi dell'UE nell'agosto 2022, circa la stessa cifra dell’anno scorso considerando lo stesso periodo. Ad agosto, sono state prese circa 1.300 decisioni per i richiedenti somali e poco più di 800 sono risultate positive, concedendo lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria. Queste cifre forniscono un tasso di riconoscimento dello status di rifugiato del 61% per l’Europa, un aumento significativo rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, quando il tasso era del 54%. Il numero di ricorsi pendenti in primo grado ha continuato a crescere, superando i 13.300 alla fine di agosto. Poco meno della metà delle cause sono pendenti da più di sei mesi. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Libri: .
  • G. Catozella, Non dirmi che hai paura, Feltrinelli (2015). Basato su una straordinaria storia vera: Samia Yusuf Omar è una ragazza somala con il sogno della corsa. Non dirmi che hai paura" bisbigliavano lei e la sorella da piccole, come fosse un talismano portafortuna. E la paura è anche una motivazione in più per credere nel suo sogno: arrivare a correre alle Olimpiadi di Londra del 2012. Per questo intraprende il pericoloso viaggio che, dalla Somalia, la porta a rischiare la vita per raggiungere l’Europa e il suo sogno.
  • N. Mohamed, The Orchard of Lost Souls, Simon & Schuster (2013).
  • F. Nuruddin, Rifugiati. Voci della diaspora somala, Booklet Milano (2003).
Pagine web:
  • https://www.crisisgroup.org/africa/horn-africa/somalia
  • https://www.amnesty.org/en/location/africa/east-africa-the-horn-and-great-lakes/somalia/report-somalia/
  • https://www.ohchr.org/fr/countries/somalia
Film:
  • C. Hodierne, Fishing Eithout Nets (2014)
  • Assad - Filin Gaaban: https://www.youtube.com/watch?v=O2TOczOBr7g

Palestina Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA1), dal 2008 al 21 novembre 2022, 6.157 palestinesi sono stati uccisi e 143.165 feriti nel contesto dell'occupazione e del conflitto. Considerando che le cifre relative al 2022 sono ancora parziali e che saranno aggiornate a breve dall'OCHA, ecco due grafici dell’ufficio ONU che mostrano rispettivamente il numero di morti e quello dei feriti palestinesi per anno a partire dal 2008. I palestinesi vivono un conflitto che non risparmia i civili. Affrontano quotidiane violazioni del loro diritto alla libertà di espressione e all'integrità fisica, in un clima di violenza diffusa e nel timore della distruzione delle loro case. RIASSUNTO STORICO 1917 – 1947: Mandato britannico. Dopo la Prima guerra mondiale e la sconfitta dell’Impero ottomano, la Palestina è posta dalla Società delle Nazioni sotto l’autorità della Gran Bretagna. 1917: Dichiarazione Balfour: “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. Perciò, tra 1922 e 1947 Ebrei di origine europea emigrarono in massa in Palestina, tramite l’immigrazione legale prima, illegale poi, in seguito a restrizioni. 1937: La popolazione araba della Palestina si ribella, rivendicando la propria indipendenza e opponendosi all’immigrazione ebraica. È questo l’inizio di un ciclo di terrorismo e violenza, fomentato da entrambe le parti. 1947: Il Regno Unito affida la risoluzione di questo conflitto all'ONU, che propone la fine del mandato britannico e un piano per dividere la Palestina in due stati indipendenti. Questo piano è rifiutato dalla Palestina. 1948: La Palestina e i paesi arabi vicini conducono un'offensiva contro lo Stato ebraico previsto dalla risoluzione. Quest’ultimo vince il conflitto armato e, allo stesso tempo, dichiara la propria indipendenza sotto il nome di Israele, assumendo il controllo del 77% del territorio della Palestina, più di quanto previsto dalla risoluzione ONU. Più della metà della popolazione araba palestinese fugge o viene espulsa. Giordania ed Egitto condividono il controllo del restante territorio assegnato dalla risoluzione allo stato arabo. 1967: Israele vince una nuova guerra e, di conseguenza, occupa i territori abitati dai palestinesi (la Striscia di Gaza e la Cisgiordania), compresa Gerusalemme Est, che in seguito annette. 1987: Inizio di un’insurrezione di massa (l’Intifada) contro l’occupazione israeliana nei Territori palestinesi occupati. 1988: Il Concilio Nazionale Palestinese proclama la creazione dello Stato di Palestina. 2007: Hamas prende Gaza con la forza. In risposta, Israele impone un blocco nell'area. Ecco una sintesi dell'evoluzione del territorio palestinese nel corso degli anni: FOCUS SULLA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI GAZA Blocchi2: Nel 2007 Israele ha imposto un blocco aereo e marittimo a Gaza, che quindi dura ormai da quindici anni, opprimendo la popolazione e l'economia locale. Le importazioni e le esportazioni sono infatti drasticamente ridotte, soprattutto quelle di prima necessità (acqua potabile, elettricità, medicinali), e anche il movimento delle popolazioni è limitato: ogni richiesta di uscita - anche medica - è soggetta all'approvazione da parte di Israele, che può respingerla senza dare spiegazioni. Ciò si traduce in un accesso limitato all'assistenza sanitaria, all'istruzione e ai mezzi di sussistenza, compresi terreni agricoli e zone di pesca. Anche l'accesso al lavoro è molto difficile: secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani3 (PCHR), nel 30 settembre 2022 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 44%. Inoltre, secondo il PCHR, “più della metà della popolazione vive in povertà, più del 68,5% soffre di insicurezza alimentare, l'80% dipende dagli aiuti internazionali”. Forze israeliane: Il territorio di Gaza è soggetto a regolari e devastanti offensive militari israeliane. Negli ultimi anni si possono citare le operazioni "Summer Rains" (2006), "Cast Lead" (2008 - 2009), "Pillar of Defense" (2012), "Protective Edge" (2014). Quella del 2014 è stata l’offensiva più letale: quasi 2.200 morti da parte palestinese, il 70% dei quali civili, e più di 10.000 feriti. La stato israeliano impiega la violenza anche nella repressione delle manifestazioni di protesta. Ad esempio, secondo le Nazioni Unite, durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno nel 2019 più di 207 palestinesi sono stati uccisi e 33.800 feriti. Violazioni dei diritti umani da parte di Hamas4 a Gaza: A Gaza le violazioni dei diritti dei palestinesi non sono perpetrate solamente da parte degli israeliani, ma anche di Hamas, che reprime le manifestazioni di dissenso con la violenza. Ad esempio, nel marzo 2019, durante le proteste palestinesi per contestare le deplorevoli condizioni di vita a Gaza, Hamas ha arrestato centinaia di manifestanti palestinesi. Questi manifestanti sono stati trattati brutalmente e maltrattati, arrestati arbitrariamente e torturati,. Ciò costituisce una flagrante violazione dei diritti dei palestinesi alla libertà di espressione e di associazione e una negazione del loro diritto a essere liberi dalla detenzione arbitraria e del loro diritto all'integrità fisica. Sistema sanitario: Tutte queste difficoltà sono aggravate da un sistema sanitario sull'orlo del collasso. È estremamente difficile per il settore sanitario di Gaza far fronte all'enorme numero di feriti. Il sistema sanitario di Gaza deve gestire regolarmente improvvisi e massicci afflussi di feriti da curare, ma, nel farlo, deve tenere conto delle restrizioni alla circolazione di persone e materiali e alla carenza di elettricità e di alcuni beni e attrezzature. CISGIORDANIA E GERUSALEMME EST In Cisgiordania e Gerusalemme Est, la colonizzazione5 continua a ritmo serrato: il numero di coloni è ormai arrivato a quasi 650.000. I palestinesi che vivono in questi territori sono soggetti a controlli permanenti da parte dell'esercito israeliano, in un clima di violenza generalizzata e di vessazioni giornaliere. Pertanto, la vita quotidiana dei palestinesi si svolge in un contesto in cui continua ad aumentare il tasso delle demolizioni di case e del sequestro di strutture appartenenti a palestinesi (ad esempio, nel luglio 2019 362 strutture sono state distrutte dalle autorità israeliane). Si registra anche l’intensificarsi delle irruzioni delle forze israeliane nelle organizzazioni e nelle residenze palestinesi con l'obiettivo di effettuare arresti arbitrari. Il fine è mettere a tacere le organizzazioni della società civile e i difensori dei diritti umani. Di conseguenza, molti palestinesi sono costretti a lasciare queste zone colpite dalla violenza, mentre continua l'espansione degli insediamenti israeliani, che finiscono per accerchiare di fatto la popolazione palestinese e ridurre lo spazio a sua disposizione per vivere. Inoltre, il governo israeliano sta cercando di stabilire la sua autorità sulla parte orientale di Gerusalemme. Ha aumentato il numero di ordini di espulsione per palestinesi, arresti e demolizioni. Il governo israeliano persegue una politica programmatica di rifiuto a concedere ai palestinesi permessi edilizi al fine di recuperare Gerusalemme. Questo, da un lato, spinge i palestinesi a costruire illegalmente le loro case, dall’altro fornisce al governo israeliano il diritto di distruggerle. Molti palestinesi convivono con la paura di vedere la propria casa demolita e di dover ricominciare da capo. È ormai diventato comune per i palestinesi ricostruire la propria casa tre, quattro o più volte. DIRITTI UMANI DEI BAMBINI Il conflitto ha un impatto negativo sulla salute fisica e morale dei bambini: Accesso all'assistenza sanitaria a Gaza: Il sistema sanitario di Gaza non consente ai bambini di accedere a cure adeguate. Inoltre, se è difficile per i bambini ricevere cure a Gaza, lo è ancora di più andando in Israele. In effetti, molte domande di ingresso in Israele per cure mediche vengono respinte o non sono esaminate abbastanza rapidamente. Il tasso di approvazione di tali richieste è più basso per i bambini palestinesi feriti nelle proteste a Gaza che per quelli feriti in altre circostanze. Accesso all'istruzione: Il conflitto colpisce anche il sistema educativo. Le forze israeliane sparano con proiettili veri, rilasciano gas lacrimogeni o lanciano granate assordanti all’interno e intorno alle scuole palestinesi. Ansia: I bambini sono soggetti a una forte ansia causata della costante esposizione alla violenza e alla minaccia incombente di veder demolita la propria casa. La demolizione di case palestinesi da parte delle forze israeliane si traduce nello sfollamento di intere famiglie. Lo spostamento forzato è un evento traumatico, in particolare quando colpisce i soggetti più vulnerabili, come i bambini. Il trauma delle ripetute violenze a Gaza ha un impatto sulla salute mentale dei bambini. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, nel 2021 l'82% degli adolescenti a Gaza ha stimato di avere un benessere mentale basso o molto basso. PUNTO 2021 Secondo Al-Haq6, nel suo Rapporto sulle violazioni dei diritti umani del 2021:

  • A maggio:
A Gerusalemme, nel quartiere di Sheikh Jarrahs, si sono svolte manifestazioni palestinesi contro l'attività degli insediamenti israeliani. Queste manifestazioni si sono poi estese in tutti i territori occupati dai palestinesi, generando un clima di tensione. Nello stesso mese le autorità israeliane hanno condotto un'offensiva contro Gaza. Ciò ha provocato undici giorni di intensi bombardamenti contro infrastrutture civili e militari, che hanno causato notevoli danni e perdite di vite umane. Secondo Al-Haq, più di 240 persone sono state uccise, tra cui 60 bambini. Oltre 630 bambini sono rimasti feriti. Alcuni hanno subito lesioni con conseguente disabilità a lungo termine, come la perdita di un arto. L'offensiva ha anche provocato lo sfollamento di oltre 38.000 residenti, le cui case sono state danneggiate. Testimonianza: Testimonianza di Ahmed*, 41 anni, raccolta da MSF. (*nome cambiato per rimanere anonimo) "Sono rimasto ferito il primo giorno di bombardamento. Ero a casa quando questa è stata colpita. Non sapevamo se fosse una bomba o se fosse qualcosa in casa esploso. Avevamo solo sentito un rumore fortissimo e la casa tremare. È stato allora che ho vistoi la mia mano quasi del tutto strappata, pendere dal mio braccio. In quel momento era riunita tutta la famiglia, era Ramadan. Una parte della casa è stata distrutta, due miei cugini sono morti e un altro parente è rimasto disabile. L'esplosione è stata così forte che anche i vicini sono rimasti feriti. Il figlio del vicino stava camminando per strada e ha perso entrambi gli occhi. Aveva solo nove anni e non ora potrà più vedere. Stava solo giocando fuori. La gente stava cercando di mettere le vittime in macchina. Le ambulanze non potevano raggiungerci perché le bombe cadevano da tutte le parti. Ero in macchina con altre quattro vittime. Una di loro era la figlia di un vicino. È morta sulle ginocchia di suo padre, proprio accanto a me, sulla strada per l'ospedale. Non sapevamo se saremmo arrivati vivi all'ospedale: tutto intorno a noi era bombardato. Alla fine, ho raggiunto l'ospedale Al-Shifa e una settimana dopo sono stato trasferito all'ospedale Al-Awda di MSF. In entrambi gli ospedali il personale aveva paura che le bombe ci colpissero. Ho subito otto diversi interventi chirurgici e la mia mano è stata amputata. Mentre ero in ospedale, avevo paura per la mia famiglia. La loro salute mentale è stata profondamente compromessa e i rumori forti fanno ancora piangere i miei due figli più piccoli. Mia madre ha sofferto di più. Ha avuto un esaurimento nervoso ed è ora sotto la cura di professionisti. Non riesce ancora a parlarne senza avere un attacco di panico. Quello che fa più male è che non posso mantenere la mia famiglia. Ero un autista e ora non posso guidare senza la mia mano. Ero responsabile non solo di mia moglie e dei miei figli, ma anche dei miei genitori anziani. Avrei dovuto avere una mano protesica, ma a causa del blocco, non ho idea di quando accadrà. A volte mi chiedo perché sono sopravvissuto. Vorrei essere morto con gli altri, per poter finalmente lasciare Gaza. La morte è l'unica via d'uscita. "
  • Giugno:
Numerose manifestazioni hanno avuto luogo in Cisgiordania in seguito all'assassinio di Nizar Banat, un attivista politico, da parte delle forze di sicurezza palestinesi durante il suo tentativo di arresto. In risposta alle proteste, Hamas e le autorità palestinesi hanno attuato una politica di forte repressione: violenze fisiche contro i manifestanti, arresti arbitrari, sequestro di telefoni, intimidazioni, torture... Così, la libertà di espressione, il diritto all'integrità fisica sono stati nuovamente negati.
  • Conclusione 2021:
Il 2021 è stato un altro anno in cui molti diritti del popolo palestinese sono stati negati: il diritto alla libertà di espressione, alla sicurezza, alla libertà di movimento, all'istruzione, alla salute, al lavoro, all'integrità fisica... Tra i diritti negati figura anche il più essenziale : il diritto alla vita. Secondo le Nazioni Unite, nel 2021324 palestinesi sono morti per mano delle autorità israeliane, 240 dei quali durante l'offensiva di Gaza. Il 2021 ha portato anche, secondo Al-Haq, alla demolizione da parte delle autorità israeliane di oltre 230 case in Cisgiordania. Più di 1.300 altre unità abitative sono state completamente distrutte a Gaza, in seguito ai bombardamenti di maggio, mentre altre 6.000 unità abitative hanno subito danni parziali. PUNTO 2022
  • Maggio:
Israele ha condotto una nuova offensiva contro Gaza. Gli attacchi israeliani hanno ucciso dozzine di civili e distrutto edifici occupati da abitazioni e attività commerciali, mentre nessun obiettivo militare evidente era nelle vicinanze. Israele prende deliberatamente di mira le strutture civili, contravvenendo alle leggi di guerra che vietano gli attacchi che non hanno un chiaro obiettivo militare.
  • Agosto:
Il 5 agosto 2022, le autorità israeliane hanno effettuato un attacco contro la Striscia di Gaza, prendendo di mira la casa di Tayseer al-Jabari, leader della Jihad islamica, sostenendo la probabilità di una minaccia imminente. Il ministero della Salute palestinese a Gaza ha riportato che a causa di questi attacchi israeliani ci sono stati 49 morti, tra cui 17 bambini. SUI RIFUGIATI Rifugiati palestinesi = secondo l'UNRWA7, sono le persone che risiedevano in Palestina tra il 1° giugno 1946 e il 15 maggio 1948 e che hanno perso la casa e i mezzi di sussistenza a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1948, e i loro discendenti. Oggi, secondo l'UNRWA, circa 5 milioni di persone rientrano questa definizione. La maggior parte dei profughi palestinesi continua a risiedere nei territori palestinesi occupati o nei paesi vicini. Secondo l'UNRWA, più del 40% (circa due milioni) vive in Giordania, più di un milione (23%) vive a Gaza, quasi 760.000 (16%) vive in Cisgiordania, 462.000 vivono in Siria e circa 420.000 vivono in Libano. La maggior parte dei rifugiati palestinesi che non risiedono nei territori palestinesi occupati si trova in Giordania, Arabia Saudita, Egitto, Stati del Golfo, Cile e Stati Uniti. Secondo l'agenzia dell'Unione europea per l'asilo, in Europa, nel 2021, sono state registrate 3.885 domande di asilo da palestinesi e il tasso di riconoscimento è stato del 64%, che è un tasso di riconoscimento notevolmente elevato. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Film e documentari
  • Omar, H. Aby-Assad (2013).
  • Farah, H. Freiha e K. Oxley (2022).
  • Une bouteille à la mer, T. Binisti (2012).
  • Little Palestine (Diary of a Siege), A. Al-Khatib (2021).
  • Jenin, Jenin, M. Bakri (2002).
  • Budrus: It take a Village to Unite the Most Divided People on Earth, J. Bacha (2009).
  • Paradise Now, H. Abu-Assad (2008).
  • Io sto con la sposa, A. Augugliaro, G. Del Grande & K. Soliman Al Nassiry (2014).
Libri Qui il link a una pagina che suggerisce romanzi e saggi sull’argomento : https://fivebooks.com/category/world/asia/middle-east/palestine/ Siti Ulteriori testimonianze, raccolte da Medici Senza Frontiere (in francese):
  • https://www.msf.fr/actualites/gaza-un-an-apres-retour-sur-les-effets-devastateurs-des-bombardements-israeliens
Sulla storia
  • https://www.un.org/unispal/history/ (in inglese)
  • https://www.bbc.com/news/newsbeat-44124396 (in inglese)
Ultime notizie
  • Crisis group : https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/east-mediterranean-mena/israelpalestine
  • Amnesty international : https://www.amnesty.org/en/news/?qlocation=2045
  • OCHR : https://www.ohchr.org/en/search?query=palestine&f%5B0%5D=country_taxonomy_term_name%3APalestine

YEMEN Lo Yemen è uno dei paesi più poveri del mondo e, secondo le Nazioni Unite1, è il peggior disastro umanitario causato dall'uomo e costituisce lo scenario per un chiaro confronto tra Arabia Saudita e Iran. APPROCCIO STORICO Il conflitto è iniziato con la primavera araba del 20112, la rivolta di alcune parti della società che ha costretto il presidente autoritario Ali Abdullah Saleh a cedere formalmente il potere, lasciando la carica di capo dello stato al suo ex vice, Abdrabbuh Mansour. Durante il mandato di Saleh si sono verificate diverse situazioni di conflitto con gli Houthi3, e sono state sporte numerose accuse di corruzione al presidente. Sotto il mandato del nuovo presidente, è stata organizzata una Conferenza di dialogo nazionale per risolvere i conflitti latenti: per questo è stato deciso di dividere il Paese in diverse regioni. Ciò ha portato malcontento nella popolazione, scontento che gli Houthi hanno sfruttato per controllare alcune zone del Paese, compresa la capitale Sana’a. Per questo motivo Hadi ha lasciato il Paese ma non i suoi interessi personali, poiché una coalizione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti è intervenuta in Yemen su sua esplicita richiesta. Il 2015 è stato l’anno in cui il conflitto ha raggiunto il momento peggiore, quando l'Arabia Saudita insieme ad altri paesi arabi e alcuni paesi occidentali – quali Stati Uniti, Regno Unito e Francia – hanno attaccato gli Houthi, difendendo così il governo. D'altra parte, l'Arabia Saudita ha accusato l'Iran di sostenere gli Houthi con le armi, ma quest'ultimo lo nega. Infatti, sia l'Iran che gli Houthi professano lo sciismo4, il ramo minoritario dell'Islam. Anche Al-Qaeda5 e lo Stato islamico (IS)6 hanno approfittato del caos per compiere attacchi letali e per impadronirsi di alcune aree nel sud del Paese. La posizione dello Yemen è strategica perché si trova sullo stretto di Bab al Mandab, che collega il Mar Rosso al Golfo di Aden, attraverso il quale passano la maggior parte delle petroliere del mondo. Per questo motivo numerosi paesi hanno interessi economici in questa regione. La guerra in Yemen è un conflitto civile, ma anche uno scontro tra Arabia Saudita e Iran e dal 2015, secondo ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), ha provocato la morte di 150.000 persone. La guerra in Yemen è solitamente inserita nella lista dei conflitti dimenticati, poiché ha ricevuto pochissima copertura mediatica e attenzione dal resto del mondo. SITUAZIONE ATTUALE Detenzioni arbitrarie e sparizioni forzate Tutte le parti in conflitto hanno represso la libertà di espressione e di associazione attraverso detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, vessazioni, torture e altri maltrattamenti durante i periodi di detenzione e processi iniqui. Il governo yemenita, insieme agli Emirati Arabi Uniti e all'Arabia Saudita, ha arrestato arbitrariamente attivisti e ha effettuato sparizioni forzate. Da parte loro, le forze Houthi hanno anche arrestato illegalmente oppositori, giornalisti e attivisti, perpetrando violazioni dei diritti umani (torture e maltrattamenti). Le condizioni carcerarie sono terribili: celle sovraffollate, accesso limitato alle cure mediche, mancanza di cibo e acqua pulita. Questa situazione ha fatto sì che il COVID-19 si diffondesse più velocemente. Povertà Oggi 24,1 milioni di yemeniti hanno bisogno di aiuti umanitari per sopravvivere (Amnesty International)7. I tassi di povertà sono più alti tra la popolazione rurale e tra le donne. I tassi di disoccupazione sono alti e, secondo l'UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia)8, almeno 500.000 persone che lavorano nel settore pubblico non sono pagate da tempo. Molti yemeniti non possono permettersi di acquistare cibo a causa dei prezzi elevati e dei tassi di disoccupazione. Vincoli Tutte le parti in conflitto hanno contribuito alla crisi umanitaria nello Yemen.

  • Il governo insieme a Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita ha imposto restrizioni all'ingresso di aiuti per medicine, cibo e carburante;
  • Gli Houthi hanno reso difficili gli aiuti umanitari all'interno dello Yemen.
Tutto ciò ha colpito direttamente la popolazione civile che si vede negato l’accesso ai servizi di base. Malnutrizione 85.000 bambini sotto i 5 anni sono morti in tre anni per malnutrizione acuta (Save the Children). Secondo Amnesty International, dal 2021, 16,2 milioni di yemeniti soffrono di insicurezza alimentare e il paese sta affrontando una carestia su larga scala. Malattie Nel 2017, il paese è stato colpito da un'epidemia di colera. Circa un milione di persone ha contratto la malattia e circa 3.000 sono morte. Infatti, secondo l'UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati)9 il 60% delle vittime del conflitto in Yemen non sono state uccise dai bombardamenti, ma dalla fame e dalle malattie. I bambini non hanno accesso ai vaccini perché gli ospedali non funzionano normalmente e, se l'ospedale ha l'elettricità per mantenere freddi i vaccini, i genitori temono per la propria vita e quella dei propri figli e non li portano al centro sanitario. Ciò rende i bambini vulnerabili e li espone a malattie come il morbillo e la polmonite. Sfollati interni Secondo le Nazioni Unite, ci sono 4 milioni di sfollati interni (IDP) che vivono nei campi per sfollati senza cibo e con scarse condizioni igieniche, nonché con un accesso limitato ai servizi sanitari e idrici. Il 76% di questi sfollati è costituito da donne e bambini (UNHCR, 2021). La maggior parte dei bambini che vivono nei campi non frequenta la scuola. I bambini rappresentano uno dei gruppi che affrontano i maggiori rischi di protezione. Il COVID-19 ha aggravato la situazione degli sfollati interni, costringendoli a spostarsi nuovamente. Collasso economico Anni di conflitto hanno devastato l'economia del Paese tanto che il valore del riyal yemenita è minimo. Ciò ha fatto salire i prezzi dei generi alimentari e ha portato la popolazione a vivere in condizioni di estrema povertà. Il 47% della popolazione yemenita sopravvive con meno di due dollari al giorno (The world bank, 2022). Cambiamento climatico Negli ultimi anni, le temperature in Yemen sono aumentate, questo innalzamento ha portato a siccità, inondazioni e precipitazioni imprevedibili. Questa variazione climatica ha distrutto ampi settori di terreno coltivabile, costringendo molte persone a spostarsi per sostenersi, e ha anche distrutto parte delle infrastrutture: senza canali per immagazzinare l'acqua i livelli idrici stanno scendendo rapidamente e la popolazione non ha abbastanza acqua potabile per sopravvivere. PERSONE SFOLLATE Nel 2021, secondo l'UNHCR, 3.856 yemeniti sono fuggiti e hanno chiesto asilo in altri Paesi. I paesi che hanno ricevuto il maggior numero di domande sono stati: Paesi Bassi, Germania e Regno Unito. Solo il 2% degli sfollati migra verso altri paesi: il 98% (UNHCR) del numero totale di persone è sfollato interno. Lo Yemen non è solo un paese di partenza, ma anche un paese di arrivo per molte persone provenienti dalla Somalia e dall'Etiopia: è il secondo paese al mondo che ospita rifugiati somali, secondo l'UNHCR. RICHIEDENTI ASILO Ecco un grafico estratto da World Data sullo sviluppo delle domande di asilo tra il 2000 e il 2021.
  • Numero totale di richiedenti asilo
  • Numero di persone riconosciute come profughe
  • Domande respinte
Si può notare che il numero dei richiedenti asilo è iniziato ad aumentare nel 2015, quando il conflitto si è inasprito. Da quel momento il numero è andato variando, raggiungendo nel 2018 i picchi più alti del grafico. Non tutti i richiedenti asilo sono stati riconosciuti come rifugiati e una piccola percentuale di domande è stata respinta in questi anni. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Libri:
  • Vendute!, Z. Muhsen, Mondadori (1994).
  • Yemen: Dancing on the Heads of Snakes, V. Clark, Yale University Press (2010).
  • Il monaco di Mokha, D. Eggers, Mondadori (2018).
Pagine web:
  • https://www.amnesty.org/es/latest/news/2015/09/yemen-the-forgotten-war/
Film:
  • La Sposa Bambina – Mi chiamo Nojoom ho 10 anni e voglio il divorzio, K. Al-Salami (2014).
  • 10 Days Before the Wedding, A. Gamal (2018).
Documentari:
  • Hunger Ward, S. Fitzgerald (2020).
  • Yemen: A History of Conflict, K. Haddad-Fonda (2020).
  • Yemen: Kinds and War, K. Al-Salami (2018)
Podcast:
  • https://podcasts.apple.com/gb/podcast/23-napier-barracks-life-inside-britains-first-refugee-camp/id1468264562?i=1000508831648
  • https://podcasts.apple.com/ie/podcast/yemen/id1443491069?i=1000432451819
GLOSSARIO
  1. ONU: Le Nazioni Unite sono la più grande organizzazione internazionale esistente il cui scopo è mantenere la pace e la sicurezza e unire gli sforzi delle Nazioni attraverso l'integrazione dei governi di tutto il mondo per raggiungere gli obiettivi in materia di diritti umani.
  2. PRIMAVERA ARABA: Con questo termine si indica una serie di proteste e richieste di riforme in Medio Oriente e Nord Africa durante le quali sono stati rovesciati leader autoritari di lunga data. Ecco una mappa, estratta da The economist: press reports, dell'intera area che ha vissuto queste rivolte.
  3. HOUTHI: è un gruppo militare rivoluzionario, in maggioranza sciita, nato in risposta all'influenza religiosa dell'Arabia Saudita nello Yemen. Il loro motto è "Dio è grande, morte per l'America, morte per Israele, maledizione sugli ebrei e vittoria dell'Islam".
  4. SCIITI E SUNNITI: Sono i due rami principali della religione musulmana. L'origine della divisione risale alla morte di Maometto e al problema della sua successione. I sunniti riconoscono i primi tre successori, mentre gli sciiti riconoscono come legittimo solo il quarto successore, un cugino del profeta Maometto che ne sposò la figlia, e i suoi successori. Oggi i sunniti rappresentano il 90% dei musulmani. Sono la maggioranza in molti paesi del cosiddetto mondo musulmano. Gli sciiti sono la maggioranza in Iraq e Iran, dove è la religione ufficiale. Esistono anche minoranze sciite in diversi paesi a maggioranza sunnita, come in Siria e in Libano. Le differenze teologiche tra le religioni sunnite e sciite sono manipolate come strumento di divisioni e di conflitti, anche se spesso questi nascondono altri motivi di scontro.
  5. AL-QAEDA: È l'organizzazione islamista creata da Osama bin Laden nel 1988 con l'obiettivo di creare un califfato islamico in tutto il mondo musulmano. Questo gruppo ha commesso attentati terroristici in diverse parti del mondo: il più noto è stato quello dell'11 settembre negli Stati Uniti. Le radici di questa rete militante islamica risalgono agli anni '70, all'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica.
  6. IS: L'acronimo sta per “Stato islamico” ed è un gruppo terroristico jihadista fondamentalista che segue una dottrina radicale dell'Islam sunnita. È emerso in Iraq come risposta all'invasione di quel paese e le persone appartenenti a questo gruppo hanno un'interpretazione estremista dell'Islam e credono di essere i veri credenti. Per applicare la sharia -legge islamica basata sulle norme fondamentali del Corano- e realizzare il loro obiettivo: stabilire un califfato globale -governo in cui il capo è un califfo, successore del profeta Maometto- violano i diritti umani, esecuzione di persone, esecuzione di pulizie etniche e divieto di abbigliamento, tra gli altri.
  7. AMNESTY INTERNATIONAL: È un'organizzazione globale e indipendente che agisce in situazioni di ingiustizia, difendendo i diritti umani in tutto il mondo.

VENEZUELA Il Venezuela sta affrontando una crisi politica ed economica che, secondo le Nazioni Unite, dal 2015 ha costretto più di 7 milioni di venezuelani a lasciare il proprio paese, CONTESTO Il Venezuela è stato per lungo tempo uno dei paesi più poveri del mondo. Tuttavia, all'inizio del XX secolo, sono state scoperte risorse petrolifere molto consistenti. Ciò ha consentito al Venezuela di uscire dalla miseria, ma ne ha anche causato … Quando Hugo Chavez salì al potere nel 1999, attraverso le elezioni, il Venezuela si trovava all'apice della sua ricchezza. Chavez aveva guadagnato popolarità opponendosi alla politica governo precedente, che era diventato autoritario e non ridistribuiva il reddito derivante dalle concessioni petrolifere. Chavez diede, quindi, inizio alla rivoluzione bolivariana. Egli voleva stabilire un regime socialista innovativo, ridistribuire la ricchezza e investire massicciamente nell'istruzione, nella sanità e nei servizi pubblici. Ha permesso a migliaia di venezuelani di uscire dalla povertà. Per questo era considerato un eroe. Tuttavia, Chavez ha scelto di puntare tutto sulle concessioni della benzina. Questo significa che il paese vive esportando la benzina e importando quasi tutto. Nicolas Maduro è succeduto a Chavez dopo la sua morte nel 2013 e non ha cambiato le scelte politiche. Quando il prezzo della benzina è crollato nel 2015, anche l'economia venezuelana è crollata. Migliaia di venezuelani sono caduti al di sotto della soglia di povertà e i servizi pubblici sono diminuiti a causa della mancanza di risorse. La popolarità di Maduro, già bassa, è ulteriormente diminuita. E questo è solo l'inizio della crisi economica venezuelana. I prezzi sono saliti esponenzialmente, il potere d'acquisto, al contrario, è crollato. Così, nel 2021, secondo l'Indagine nazionale sulle condizioni di vita in Venezuela, il 94,5% della popolazione vive in povertà e il 76,6% in condizioni di estrema povertà. A ciò si aggiunge il fatto che il Venezuela è uno dei Paesi più violenti al mondo, e il fatto che il governo di Maduro, la cui popolarità è crollata, sembra prendere una piega autoritaria: repressione delle manifestazioni con la violenza, detenzioni arbitrarie degli oppositori del regime, limitazione dei poteri del parlamento... La situazione in Venezuela è quindi particolarmente allarmante, portando molti venezuelani a fuggire dal loro paese:

  • Gli oppositori del regime sono attivamente incoraggiati a lasciare il paese per evitare persecuzioni e violenze. In effetti, negli ultimi anni in Venezuela sono state segnalate numerose violazioni dei diritti umani: esecuzioni extragiudiziali, uso eccessivo della forza, detenzione arbitraria, tortura e altri maltrattamenti. Tra le persone prese di mira troviamo molti difensori dei diritti umani, giornalisti e attivisti.
  • Anche i migranti sono in fuga: aumento del tasso di criminalità, mancanza di cibo, medicine e servizi essenziali.
INSICUREZZA E TASSO DI CRIMINALITÀ IN AUMENTO La situazione è particolarmente allarmante nella regione dell'Arco minero del Orinoco e in altre aree dello stato di Bolivar. Bolívar, situato a sud del fiume Orinoco, è lo stato più grande della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Lo stato comprende vaste aree protette e anche territori tradizionali delle popolazioni indigene. Ed è anche ricco di minerali strategici. Ecco una mappa del Venezuela, con lo stato di Bolivar in rosso. Lo stato di Bolivar confina con Brasile, Colombia e Guyana. Pertanto, è una delle principali rotte per i venezuelani che desiderano attraversare il confine. È anche un luogo strategico per il commercio illegale di minerali strategici, armi e droghe. Alto livello di violenza Si osserva un alto livello di violenza in questo stato. La violenza è dovuta alla forte presenza di gruppi criminali, ma non solo. Sia le forze di sicurezza statali che i gruppi criminali armati perpetrano omicidi, rapimenti, torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti, nonché violenze sessuali e di genere, in particolare contro residenti e lavoratori delle aree minerarie. Questa violenza si verifica anche durante violenti conflitti tra gruppi armati o tra questi e le forze di sicurezza dello Stato. Inoltre, i gruppi criminali esercitano il controllo su vaste aree minerarie ed effettuano razzie violente nelle miniere, istituiscono posti di blocco e impongono un rigido regime disciplinare alle popolazioni locali sotto il loro controllo. Questo regime vessatorio prevede punizioni severe e violente nei confronti dei civili: tra queste, le più comuni sono la rasatura di teste per le donne, amputazioni, percosse e altre forme violente di esecuzione. Spesso queste punizioni sono inflitte per il mancato pagamento delle tasse che i sindicatos1 esigono da chi lavora nelle miniere. I casi di decapitazione sono comuni anche negli scontri tra bande armate, come punizione o monito da parte dei sindicatos1. Approfondimento sulla violenza di genere Nello stato di Bolívar è molto comune la violenza sessuale e di genere, in particolare contro donne e ragazze, ed è perpetrata sia da attori statali sia da gruppi criminali armati. I gruppi criminali spesso forzano le donne e le ragazze in atti sessuali non consensuali attraverso l'abuso di potere, minacce di violenza fisica e talvolta il ricorso a falsi pretesti. Ad esempio, se il membro di un sindacato vuole fare sesso con qualcuno, quella persona non può rifiutare o denunciare la commissione dello stupro, altrimenti rischia di essere picchiata o uccisa. Le punizioni subite dalle donne sono diverse da quelle degli uomini: le donne che non obbediscono alle richieste dei membri del sindacato possono essere soggette a pene specifiche quali lo stupro o altre forme di violenza sessuale, il taglio dei capelli contro la loro volontà o la deturpazione del viso. Tuttavia, anche gli attori statali perpetuano violenze sessuali contro le donne, violenze che avvengono nel contesto dei posti di blocco e dei controlli alle frontiere. Gli agenti possono ad esempio rifiutarsi di restituire l'identità delle donne e delle ragazze, impedendo loro di andare avanti, fino a quando non cedono ad avere un rapporto sessuale con loro. IL RAPPORTO VENEZUELANO-COLOMBIANO La violenza è sempre stata comune lungo il confine tra Colombia e Venezuela. Ma di recente c'è stata un’escalation che ha coinvolto sempre più forze ribelli e militari, come anche trafficanti e criminali. La chiusura del confine causata dalla pandemia non ha portato alla fine dei traffici illeciti. Al contrario, si osserva un aumento del contrabbando di merci e persone attraverso passaggi illegali controllati da gruppi armati come l'ELN2 e le FARC3. Poiché queste organizzazioni gestiscono attività illecite simili, è frequente che scoppino conflitti tra loro, nello stesso modo in cui sono comuni le violenze che commettono contro i civili. MANCANZA DI CIBO E DI ALTRI SERVIZI ESSENZIALI L'emergenza umanitaria ha continuato a peggiorare nel 2022. Secondo l'OHCHR, l'accesso a beni e servizi essenziali è diventato sempre più difficile, in particolare quello all'assistenza medica, all'acqua, al gas, al cibo e al carburante. Di conseguenza, secondo l'OHCHR, 1/3 della popolazione venezuelana soffre di insicurezza alimentare. Il Documentation and Analysis Centre for Workers ha calcolato che a ottobre il paniere mensile di base costava 260,77 dollari, mentre il salario mensile minimo era di 1,66 dollari. Il National Survey of Living Conditions ha rilevato che il 94,5% della popolazione vive oltre la soglia di povertà e il 76,6% in condizioni di estrema povertà. Si parla di povertà estrema quando una persona o una comunità sono costretti a vivere con meno di $ 1,90 (£ 1,40). La situazione è particolarmente allarmante per le comunità indigene che sono isolate, tagliate fuori dal mondo esterno. Le ONG o le agenzie umanitarie che cercano di raggiungere le loro regioni vedono la loro capacità di movimento e di azione limitata dalle autorità militari e dai gruppi armati. Di conseguenza, la malnutrizione e le malattie che altrove sarebbero curabili mettono a rischio la vita delle popolazioni indigene. Ecco un grafico che, utilizzando i dati dell’ OHCHR4, mostra l'evoluzione della percentuale di famiglie che hanno vissuto in condizioni di povertà (azzurro) e di estrema povertà (blu scuro) in Venezuela dal 2002 al 2021. VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI Testimonianze e rapporti evidenziano il ruolo di due servizi statali di intelligence militare e civile in numerosi casi di violazioni dei diritti umani: la Direzione Generale di Controspionaggio Militare (Dirección General de Contrainteligencia Militar, DGCIM5) e il Servizio Nazionale di Intelligence Bolivariana (Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional, SEBIN6).
  • DGCIM: è un organo che ha il potere di svolgere attività di controspionaggio, prendendo di mira nemici reali o presunti del governo.
  • SEBIN: è stato creato nel giugno 2010 con lo scopo di pianificare, formulare, dirigere, controllare e condurre politiche e azioni di intelligence civile e controspionaggio. Secondo i suoi regolamenti, il SEBIN svolge attività volte a "neutralizzare minacce potenziali o effettive per lo Stato".
Gran parte vittime detenute dalla DGCIM e dal SEBIN sono state sottoposte a tortura, violenza sessuale e/o altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Il loro scopo è prendere di mira oppositori reali o presunti del governo. Tutto questo avviene in un clima di impunità. Detenzioni arbitrarie Secondo l'organizzazione per i diritti umani Foro Pénal, alla fine del 2021, 244 persone erano detenute arbitrariamente per motivi politici: tra queste, attivisti politici, studenti, personale militare, difensori dei diritti umani e altri individui considerati oppositori del governo di Nicolás Maduro. Un'alta percentuale è stata arrestata sulla base di prove fittizie, inventate o manipolate dalle autorità. Le tattiche utilizzate dalle autorità includono anche l'uso della tortura per spingere i detenuti a muovere false accuse. Sparizioni forzate, torture e altri maltrattamenti Tortura La pratica della tortura è all'ordine del giorno per SEBIN e DGCIM. La tortura può essere sia fisica sia morale: violenza sessuale e di genere, pesanti percosse con oggetti, scosse elettriche, asfissia con sacchetti di plastica e posizioni stressanti, stupro, minacce di stupro rivolte ai detenuti e/o ai loro familiari, nudità forzata, molestia sessuale, scosse elettriche o percosse agli organi riproduttivi e minacce di mutilazione dei genitali... Sparizioni forzate È normale che gli arrestati siano detenuti in segreto, in luoghi remoti. Le autorità mentono ai familiari che li cercano, sostenendo di non sapere dove siano quelle persone, non rivelando che li stanno trattenendo. Questo può durare anche per diversi mesi. Le autorità usano anche una strategia chiamata Sippenhaft, che consiste nel rapire i parenti delle persona ricercata, per costringerli ad arrendersi. Impunità Le autorità evitano regolarmente di indagare sulle denunce di tortura, anche se i detenuti si presentano al processo con ferite visibili e segni di maltrattamenti. Condizioni di detenzione disumane Mancanza di cure mediche, di acqua pulita e di cibo, condizioni antigeniche, sovraffollamento e violenze sono all'ordine del giorno nelle carceri e in altri centri di detenzione. La malnutrizione e la tubercolosi sono state le due principali cause di morte nelle carceri nel 2021, secondo l'Osservatorio penitenziario venezuelano. Le celle sono prive di luce naturale, mentre il tempo all'aperto e l'accesso ai servizi igienici sono molto limitati. I prigionieri devono defecare in sacchetti o bottiglie di plastica e sono costretti a mangiare cibo dal pavimento. Repressione dell'opposizione Gli oppositori politici reali o presunti del governo di Maduro sono soggetti ad attacchi e vessazioni costanti. Rischiano la detenzione arbitraria, di essere torturati e di subire altre violazioni dei diritti umani, come parte della politica repressiva. Repressione dei difensori dei diritti umani La repressione e la criminalizzazione della società civile e degli attivisti per i diritti umani sono aumentate nel 2021. Gli arresti arbitrari sono comuni, i difensori dei diritti umani sono accusati di diversi tipi di reati, tra cui "terrorismo", "incitamento all'odio", "tradimento". Secondo il Center for Human Rights Defenders and Justice, nel 2021 sono stati effettuati 743 attacchi contro i difensori dei diritti umani. SUI RIFUGIATI Più di 7 milioni di venezuelani hanno lasciato il loro paese dal 2015 a causa della crisi economica e politica, secondo le Nazioni Unite. Circa l'80% si trova in America Latina e Caraibi (LAC). Quella venezuelana è considerata una delle più gravi crisi di sfollati (rifugiati e migranti) nel mondo e la più importante riguardante le Americhe nella storia recente. Secondo R4R7, molti venezuelani, alla ricerca di un futuro sicuro e sostenibile, hanno intrapreso viaggi mettendo a rischio la propria vita, prendendo strade estremamente pericolose. Ad esempio, uno dei percorsi più pericolosi attraversa la giungla del Darién, tra Colombia e Panama. Più di 68.000 venezuelani hanno attraversato il Darién tra gennaio e agosto 2022. All'arrivo a Panama, tutti hanno riferito di aver visto o sentito riferito violenze o di essere stati aggrediti sessualmente mentre attraversavano nella giungla. ZOOM IN EUROPA Secondo l'agenzia per l'asilo dell'Unione europea, dal gennaio al settembre 2022, più di 37.800 venezuelani hanno chiesto asilo nei paesi UE+, quattro volte di più rispetto allo stesso periodo del 2021. A settembre, sempre secondo l'agenzia per l'asilo dell'UE, i richiedenti venezuelani hanno ricevuto circa 3.400 decisioni di primo grado. Solo circa 110 risultati hanno concesso lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, con un tasso di riconoscimento UE di circa il 3%. Tuttavia, ai venezuelani viene spesso concessa una forma di protezione nazionale, che non fa parte del Sistema europeo comune di asilo e non viene qui considerata come una decisione positiva. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Libri:
  • La storia di Rachel, Venezuela: https://openoregon.pressbooks.pub/pccimmigration/chapter/rachel/
Film:
  • https://ontheotherside360.org/: film interattivo a 360° sullo sfollamento venezuelano in Ecuador : L’ALTRO LATO è un progetto collettivo realizzato insieme a rifugiati e migranti venezuelani in Ecuador, che, durante un laboratorio, hanno appreso maggiori conoscenze sulla narrativa immersiva e hanno condiviso le loro storie per la scrittura della sceneggiatura.
  • Once upon a time in Venezuela (A. Rodríguez Ríos, 2020).
Documentari:
  • La traversata (La Frontera, Juliana Peñaranda-Loftus, 2020).
Pagine web:
  • Crisis Group: https://www.crisisgroup.org/latin-america-caribbean/andes/venezuela
  • Amnesty: https://www.amnesty.org/en/news/?qlocation=1804
  • Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite: https://www.ohchr.org/en/countries/venezuela
GLOSSARIO 1. SINDACATO. un gruppo armato delle miniere. 2. ELN: Gruppo di guerriglia colombiano denominato Esercito di Liberazione Nazionale (Ejército de Liberación Nacional). È un gruppo di guerriglia comunista coinvolto nel conflitto colombiano. 3. FARC: Le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) sono il più grande gruppo ribelle della Colombia. Si è formata nel 1964, come ala militare del Partito Comunista Colombiano. 4. OHCHR: La missione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) è lavorare per la protezione di tutti i diritti umani per tutte le persone; aiutare a responsabilizzare le persone a realizzare i propri diritti; e per assistere i responsabili della difesa di tali diritti nel garantire che siano attuati. 5. DGCIM: È un organo che ha il potere di svolgere attività di controspionaggio, prendendo di mira nemici reali o presunti del governo. 6. SEBIN: È stato creato nel giugno 2010 con lo scopo di pianificare, formulare, dirigere, controllare ed eseguire politiche e azioni di intelligence civile e controspionaggio. Secondo i suoi regolamenti, SEBIN svolge attività volte a "neutralizzare minacce potenziali o effettive per lo Stato". 7. R4V: Questo è un sito web operativo inter-agenzia, gestito e supportato dalla Piattaforma di coordinamento inte-ragenzia regionale per rifugiati e migranti del Venezuela, guidata congiuntamente da IOM8 e UNHCR9. Questa pagina cerca di essere un punto di riferimento comune, facilitando la comunicazione, migliorando il coordinamento delle operazioni nella regione e l'advocacy per soddisfare le esigenze dei rifugiati e dei migranti in Venezuela. 8. OIM: Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Fa parte del Sistema delle Nazioni Unite in quanto principale organizzazione intergovernativa, dal 1951 la sua azione si basa sul principio che una migrazione ordinata e nel rispetto della dignità umana porti benefici sia ai migranti sia alla società. 9. UNHCR: L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati è l'agenzia dell'ONU il cui scopo è garantire il rispetto e la protezione internazionale dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

IRAN L'Iran, l'antica Persia, una delle più antiche civiltà al mondo ancora esistenti, sta vivendo un periodo di ribellioni, a cui il governo reagisce in modo violento e crudele, condannando a morte i manifestanti e limitando molte libertà fondamentali. APPROCCIO STORICO

  • Prima della rivoluzione islamica del 1979
Prima della rivoluzione islamica iraniana del 1979, che ha rovesciato la monarchia e cambiato il corso del paese, l'Iran era governato dallo Shah Mohammed Reza Pahlavi. Le sue riforme per occidentalizzare forzatamente il paese, la corruzione dei governi e la soppressione delle libertà individuali metodicamente messa in atto dalla Savak (la polizia segreta) suscitarono l’opposizione dei settori comunisti e religiosi del paese. Sotto il regime pahlavide, si sviluppò l'economia e si estesero le opportunità educative, anche per le donne: esse furono incoraggiate a studiare e molte famiglie conservatrici e rurali furono indotte a permettere alle proprie figlie di studiare nelle città. Inoltre, nelle scuole non vigeva la divisione per genere: ragazzi e ragazze studiavano insieme. Le donne potevano anche partecipare a eventi sportivi e incontrare amici e familiari indipendentemente dal loro sesso. Riguardo all’abbigliamento, la scelta per le donne era libera: alcune indossavano l'hijab, mentre altre preferivano scegliere lo stile occidentale. Non esisteva un codice di abbigliamento che imponesse loro di indossare veli e abiti modesti. Prima del 1979 c'erano discoteche e locali di intrattenimento e tutti potevano socializzare liberamente. Durante la Rivoluzione Bianca1, nel 1963, le donne ottennero il diritto di voto e gli stessi diritti politici degli uomini. Tuttavia, anche così, non ottennero la stessa rappresentanza politica delle loro controparti maschili, né cessarono di interpretare ruoli tradizionali. La legge sulla "protezione della famiglia" cambiò l'età minima per il matrimonio delle ragazze da 13 a 18 anni, e diede alle donne più potere per chiedere il divorzio. Vietò, inoltre, la poligamia, imponendo agli uomini di avere solo una moglie. Lo sviluppo economico del paese permise, a sua volta, la crescita delle attività artistiche poiché il paese disponeva di molto petrolio da cui traeva molti benefici. Tuttavia, non tutta la popolazione beneficiava di tale ricchezza, che era divisa solo con alcuni settori della società. Lo Shah, un leader autocratico, era anche un progressista ed era impegnato nella secolarizzazione del paese. Tuttavia, “non è tutto oro ciò che luccica” perché durante il suo regno le libertà politiche erano limitate attraverso misure autoritarie: i partiti di opposizione erano emarginati o messi al bando; le proteste sociali erano spesso censurate; gli arresti illegali erano effettuati di frequente e gli oppositori del regime venivano torturati. Tutto questo rappresentava un grosso problema che portò diversi settori – comunisti, liberali e religiosi – a scatenare una rivoluzione per raggiungere la vera democrazia.
  • Dopo la rivoluzione islamica del 1979
Il successore dello Scià fu l'Ayatollah2 Ruhollah Khomeini, che sostituì un regime autoritario secolare con un regime autoritario religioso. Khomeini e i suoi successori attuarono una serie di cambiamenti nel Paese, stabilirono che:
  • tutte le donne dovessero indossare il velo in pubblico e che indossassero ciò che volevano solo in privato, dietro le porte chiuse delle loro case;
  • la presenza di pubblico femminile fosse vietata negli stadi sportivi, dove i giocatori sono uomini;
  • nella Costituzione venisse aggiunto l’articolo secondo cui la massima autorità è Dio e che questa è rappresentata dal supremo capo religioso;
Gli ayatollah promettevano giustizia, libertà e democrazia, e indipendenza dalla tutela delle grandi potenze (in primis dagli Stati Uniti). Durante gli anni successivi alla rivoluzione si è osservata una significativa diminuzione della povertà: la rivoluzione ha cercato di eliminare le differenze tra aree rurali e urbane. Tuttavia, è diventata sempre più evidente l'incapacità del governo di creare nuovi posti di lavoro, considerando che il mercato del lavoro iraniano non può assorbire tutti i laureati presenti nel Paese. Inoltre, molti iraniani hanno sofferto e continuano a soffrire di precarietà socioeconomica. D'altra parte, va notato che le politiche favoriscono coloro che sono fedeli al regime, in un contesto di corruzione, cattiva gestione e clientelismo. Un cambiamento mai avvenuto all’interno della società iraniana è stato quello classista: quella iraniana si è rivelata una rivoluzione senza mutamento in cui la corona dello Shah è stata sostituita dal turbante dei mullah3. SITUAZIONE ATTUALE Come visto nel punto precedente, da molti anni la società iraniana si sente frustrata e arrabbiata, soprattutto i giovani che vogliono un futuro sicuro e un lavoro dignitoso, oltre al desiderio di vivere la loro giovinezza senza le pressioni religiose e morali della società. Di seguito sono nominati e sviluppati alcuni punti che preoccupano la società iraniana e che, a loro volta, illustrano le violazioni dei diritti umani o le repressioni delle libertà individuali. Polizia morale La polizia morale è un sistema di sorveglianza incaricato di attuare le rigide interpretazioni della moralità islamica. La principale agenzia ora incaricata di questo compito si chiama Gasht-e Ershad. Gli agenti arrestano le donne che indossano l'hijab in modo scorretto o non lo indossano affatto, le donne che mostrano troppi capelli e le donne che indossano abiti attillati o trucco eccessivo. Quando le donne vengono arrestate per aver violato queste regole, possono essere multate, imprigionate o abusate fisicamente. "Quando ero un’adolescente in Iran, la polizia morale mi ha arrestato per essere stato in una pizzeria con un gruppo di amici" (BBC, 2022). Libertà di espressione, associazione e riunione L'Iran è al 178° posto su 180 nella lista dei paesi che rispettano la libertà di espressione. Ciò lo rende uno dei paesi più repressivi nei confronti della stampa: imprigiona i suoi giornalisti e vieta le pubblicazioni (Reporters Without Borders). Secondo Amnesty International, nel 2021 le autorità hanno bandito molti partiti politici e censurato i media. Inoltre, hanno anche aggiunto Signal all’elenco delle piattaforma dei social network bloccate per monitorare i messaggi e le pubblicazioni nelle città e arrestarne gli autori, se ritenuto necessario. Nelle proteste pacifiche la polizia spara pellet per disperdere i manifestanti. L’accesso a Internet è impedito per nascondere le violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza. Tortura e maltrattamenti Autorità e pubblici ministeri torturano spesso i prigionieri durante gli interrogatori, oltre a tenerli in condizioni disumane di sovraffollamento. Nel 2021, molti detenuti sono morti per percosse tra cui fustigazione, abbacinamento, amputazione e lapidazione. Discriminazione contro donne e ragazze È evidente la mancanza di protezione legale per questo gruppo che subisce l'esclusione nella legislazione in questioni relative al matrimonio, al divorzio, al lavoro, all'eredità e all'esercizio di cariche politiche. Allo stesso modo, i matrimoni precoci sono all'ordine del giorno: tra marzo 2020 e marzo 2021 sono stati registrati 31.379 matrimoni di ragazze tra i 10 e i 14 anni (Amnesty International). Discriminazione contro la comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender e intersessuale (LGBTI) L'omosessualità è considerata una perversione, pertanto viene “curata” con metodi violenti di terapie di conversione che consistono in procedure per modificare l'orientamento sessuale di una persona, nonché con veri e propri omicidi delle persone che fanno parte di questa comunità. Discriminazione delle minoranze etniche Alcune comunità come quella araba Ahwazi, turca azera, beluci, curda e turkmena subiscono restrizioni nell'accesso all'istruzione, all'occupazione e alle posizioni politiche. Allo stesso modo, è noto che le condanne a morte e gli arresti arbitrari, con accuse come ostilità contro Dio, si registrano in misura maggiore tra le minoranze etniche, specialmente nei confronti dei curdi4. Discriminazione delle minoranze religiose Le minoranze religiose subiscono l'esclusione sia a livello della legge e sia nella vita quotidiana – nell'istruzione, nel lavoro e nell'adozione – così come la tortura e il maltrattamento per aver praticato la loro fede. Negli ultimi anni, il governo ha ridotto la libertà di religione introducendo nel Codice penale una pena detentiva fino a cinque anni o una multa per aver insultato persone di etnia iraniana, le religioni rivelate o le confessioni islamiche o per aver svolto attività [...] che contraddicono l'Islam (Amnesty International, 2021). Pena di morte Negli ultimi anni molte persone che non hanno commesso reati gravi riconosciuti a livello internazionale, come il traffico di droga e la corruzione, sono state condannate a morte. Lo stesso succede anche ai manifestanti.
  • Assassinio di Mahsa Amini (2022)
Il 16 settembre Mahsa Amini, una ragazza curda di 22 anni, è morta in ospedale per le percosse causatole dalla polizia morale dopo essere stata arrestata per non aver coperto in modo adeguato i capelli con il velo. Le autorità, dal canto loro, negano che i fatti si siano verificati in questo modo, e affermano che la giovane è morta per insufficienza cardiaca. I genitori negano che Mahsa avesse qualche malattia. Questa situazione ha scatenato un'ondata di manifestazioni in tutto il Paese in cui molti dimostranti sono stati arrestati e diversi sono stati addirittura condannati a morte. È noto che il governo iraniano ha effettuato alcune di queste esecuzioni in pubblico per diffondere paura, giustificandosi sostenendo che i condannati a morte avevano ucciso membri delle autorità. Oltre a queste misure drastiche e violente, è stato limitato l'accesso a Internet per impedire ai cittadini di condividere con il resto del mondo ciò che sta accadendo. Le manifestazioni sono un segnale della necessità di cambiamento del Paese, un Paese che rispetti i diritti delle donne e delle minoranze etniche. Lo slogan più sentito in questi giorni è “Donna. Vita. Libertà”. PERSONE SFOLLATE Secondo l'UNHCR, nel 2021, 20.575 iraniani sono fuggiti e hanno chiesto asilo in altri paesi. Rappresentano lo 0,0,23% della popolazione totale. I paesi di destinazione più frequenti sono stati Regno Unito, Germania e Canada e, le persone che hanno avuto più successo sono stati i richiedenti asilo in Iraq e Azerbaigian (World Data). AFGHANI IN IRAN Un gran numero di rifugiati afghani vive in Iran. Per raggiungere il paese vicino, gli afghani cercano di attraversare le frontiere dove, però, viene aperto il fuoco contro di loro. Se riescono ad entrare in Iran, spesso vengono trattenuti e sottoposti a torture e maltrattamenti. Chi riesce a stabilirsi, vive senza documenti o in condizioni precarie; molti bambini sono costretti a lavorare e l'accesso all'istruzione è limitato. Dal 2021, circa il 65% dei richiedenti asilo afghani è stato deportato in Afghanistan. PER MAGGIORI INFORMAZIONI Libri:
  • La casa della moschea, K. Abdolah, Iperborea (2008).
  • La scrittura cuneiforme, K. Abdolah, Iperborea (2000).
  • L’estate è crudele, B. Zarmandili, Feltrinelli (2007).
  • Quasi due, H. Ziarati, Einaudi (2012).
  • Salam, maman, H. Ziarati, Einaudi (2006).
  • Il meccanico delle rose, H. Ziarati, Einaudi (2009).
  • Persepolis, M. Satrapi,Rizzoli lizard (2007).
  • Ho nascosto la mia voce, P. Saniee, garzanti (2004).
  • Quello che mi spetta, P. Saniee, Garzanti (2003).
  • La scelta di Sudabeh, F. Haj Seyed Javadi, Brioschi Editore (2017).
  • L’ultimo gioco, Banu, B. Soleymani, Brioschi Editore (2022).
  • Disorientale, N. Djavadi, Edizioni e/o (2017).
  • I giorni che non ho vissuto, L. Qassemi, Brioschi Editore (2017).
GLOSSARIO
  1. RIVOLUZIONE BIANCA: consisteva in una serie di riforme dello Shah per modernizzare il paese il cui nome è dovuto all'intenzione del leader di impedire una rivoluzione rossa, comunista, con il sangue. Alcune delle misure intraprese erano: controllo rigoroso delle istituzioni religiose e riforma agraria. Quest'ultima non ebbe molto successo perché fece perdere al regime l'appoggio dei grandi proprietari terrieri.
  2. AYATOLLAH: significa letteralmente “segno di Dio” ed è il titolo di una delle più alte autorità religiose tra gli sciiti islamici, uno dei due rami dell'Islam.
  3. MULLAH: è il titolo che designa i sacerdoti islamici sciiti.
  4. KURDISTAN: è una vasta regione appartenente ai paesi mediorientali –principalmente Turchia, Iran, Iraq e Siria, e anche, ma con minore rappresentanza, Armenia – senza un vero e proprio stato. Si parla il curdo, anche se con varianti diverse a seconda del paese di origine. In alcuni paesi, come in Turchia, i curdi hanno subito dure repressioni in alcuni momenti della loro storia. I curdi rivendicano una regione autonoma e indipendente dai paesi in cui risiedono.