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Il grafhic novel della 2G ispirato al libro di Patrizia Rinaldi

Transcript

Hai la mia parola

Un graphic novel ispirato all'omonimo romanzo di Patrizia Rinaldi

La classe 2G della Scuola Media Pertini e la prof.ssa Marina La Porta presentano

Quel giorno eravamo al campo.Ci stavamo prendendo in giro con i nomignoli che usano le sorelle e ridevamo a crepapelle

Ma arrivò lui...

Nostro padre

Ci ordinò di andare al funerale della moglie del Visconte, morta di parto come la precedente.Io, mostrando il piede zoppo, sogghignai e risposi: “Sono storpia, non vengo, non sta bene esibire difetti nelle sale del Castello!".

Lo guardai con aria di sfida.Non mi sarei mossa di lì.Tanto ero Nera, la cattiva, la malafiglia, la ZANCANA, la zoppa.

Ma tu andasti. Tu, Mariagabriela, eri quella docile. Eri la bella, la dolce, l’ubbidiente. .

Ti chiesi di passare dalla Biblioteca del Castello del Visconte Crudele e di sottrarre per me, un libro. Andasti via correndo. Ho sempre pensato che correvi anche per me,che eri i miei piedi.

Io invece ero parte dei tuoi occhi. Leggevo anche per te, che non sapevi farlo

Mi aveva insegnato a leggere Ganar Asuncion,la Monaca del Monastero di Nuestra Senora de Guadalupe, alla quale mio papà mi mandava a portare il latte di capra che comprava da noi

Un giorno aveva guardato il mio piede zoppo e aveva detto che i fanciulli con qualche mancanza hanno maggiore bisogno di storie.E per conoscerle bisogna poterle intendere. Cosi, dopo ogni consegna del latte, spianava la terra morbida davanti al pollaio e faceva dei segni con un bastoncino di legno.

Quando potrò, le dirò che aveva ragione: tutte le persone con le mancanze dovrebbero imparare a leggere e a scrivere. Tutte le persone con le mancanze dovrebbero avere la possibilità di vivere altre vite, anche solo se scritte, anche soltanto immaginate nelle loro teste.E a me le storie avevano dato una libertà concessa a pochi, assolvendomi dai limiti.Mi avevano insegnato a diventare

Quando tornasti dal funerale, ti raggiunsi.Eri di spalle e ti girasti. I tuoi occhi.I tuoi occhi non li dimenticherò mai più.Avevano preso anni ed anni. Non guardavano fuori, ma dentro di te. E vedevano solo buio

Arrivò Imma Grossa, la donna che aveva sposato nostro padre dopo che nostra madre se ne era andata

Fu ostile come sempre con me e cortese con te.“Nera – mi disse – porterai tu le capre sull’altopiano. Mariagabriela no, deve curare il suo aspetto. La sua bellezza, ora, è diventata un tesoro!"

Fu in quel momento che l’intelligenza mi avvisò che dovevo proteggerti: E in quel preciso istante ho cominciato a farlo. E non ho più smesso.

Per distrarti dall’angoscia che vedevo nei tuoi occhi ti raccontai una storia di speranza

Ti raccontai le storia del gatto selvatico che Michelino aveva salvato dal pozzo e che gli adulti volevano uccidere, credendolo un gatto diavolo

La mattina dopo andai da nostro padre. Gli mostrai il piede gonfio, le dita che la nascita aveva unito in un blocco indecente.E gli dissi che avevo bisogno che tu venissi con me a pascolare le capre.

Nostro padre mi investì con la sua rabbia: “Tu, malenata, diavola, erba maligna! Le tue parole, troppe, insistenti, sono un intralcio alla fortuna che ci sta capitando! Se ci ostacolerai, ti lego e ti getto in un dirupo!"

Scappai, disperata. Una voce mi raggiunse alla schiena: “Non ti preoccupare, Nera: tu hai una forza selvatica”. Mi voltai. Michelino era diventato alto e bello

Mi aiutò ad alzarmi. Per la prima volta qualcuno non aveva ribrezzo per la sciancata del borgo

"Sono io l'agnello"

Mentre eravamo al pascolo, un’aquila afferrò uno dei nostri capretti. Riuscii a liberarlo scagliando contro il rapace un sasso appuntito.Tu, Mariagabriela, ti precipitasti a prendere la povera bestia ferita e a curarla. Poi mi guardasti, con negli occhi lo stesso buio del giorno prima, e mi dicesti:

Poi d’improvviso comparve un giovane.Si presentò come Salvo di Contrabbando e mi accorsi con orrore che vi conoscevate già

Lui ti disse: “Da quando vi ho vista in biblioteca, non faccio che pensare a voi. La vostra bellezza mi è entrata nel cuore, consentitemi di incontrarvi ancora”. Fu dalla risposta che desti a lui che capii finalmente cos’era successo, compresi il buio dei tuoi occhi. “Non sarà possibile.Il Visconte mi vuole come serva di casa e mio padre è d’accordo a darmi a lui"

Il giorno del funerale, il Visconte ti aveva messo gli occhi addosso e poi ti aveva fatto condurre a sé da un servo. Quindi ti aveva spiattellato il suo osceno piano

Poi, quando fummo sole, mi rivelasti la parte più nera del segreto:

. “Tu, ragazza del popolo, forte, abituata al lavoro, farai quello che le donne nobili non sono capaci di fare, perché non avvezze alla fatica: figliare! Da serva di casa mi darai uno o più figli. Se non accetterai, dopo aver subito la GOGNA, farai da incarcerata quello che potresti fare da libera!"

Quando parlammo con nostro padre, non ti capacitasti che lui non provasse indignazione per quella richiesta malsana del Visconte. I candidi si stupiscono del male, come se non potesse esistere quello che loro non riescono a provare. Nostro padre ti stava vendendo in cambio dell’esenzione dalle gabelle, di carichi settimanali di farina, stoffa e un fermaglio d' oro per Imma Grossa.

"Puoi sempre scappare!"

Mi rispondesti: “Se scappo, Nera, tu cosa fai?” “Ti vengo a cercare”, ti risposi senza esitare

Ti dissi quelle parole.Le dissi con un impeto che trascurava le conseguenze. Eppure lo sapevo che bisogna fare attenzione con le parole. Sono micidiali, le parole, hanno la stessa precisione del filo teso che taglia la ricotta. Scavano un solco definitivo fra prima e dopo.

“Questi non ti servono per la gogna!"
Il Visconte allora, estrasse uno spadone, ti afferrò i capelli e li tagliò con un colpo netto:

Arrivò il giorno. Il Visconte venne a casa nostra a prenderti, accolto dagli scodinzolamenti di nostro padre. Ma quando ti ordinò di andare, tu dicesti, risoluta: “Io non ci vengo!”.

Ti esposero per una settimana come un quadro. Alla gogna, nella piazza d’armi.

Le persone del borgo venivano a vederti e a insultarti. Cambiarono il tuo nome in Gabri la Matta. “Cosi impari a rifiutare la fortuna!”

Un giorno, la piazza d’armi era vuota, la gogna rimossa.

Cercai di intrufolarmi nel castello per capire dove ti avessero messa quando mi si parò davanti Salvo di Contrabbando: “Hai saputo? Tua sorella è scappata! Come avrà fatto!? Dimmi, è una maga tua sorella?”

Andai da Michelino, con una risolutezza a me nuova e gli dissi: “Parto. Voglio trovarla”. “Vengo con te”, disse Michelino. “Sei pronta a non tornare mai più?” mi chiese poi. “Non ho nessuno da cui tornare – risposi – Io ho solo una casa ed è Mariagabriela e al momento è una casa viaggiante”.

Sarei stata una raccontatrice di storie nei paesi in cui saremmo andati, mi sarei esibita in cambio di qualche moneta o un po’ di cibo
Partimmo. Camminammo giorni e giorni. Ci dirigemmo verso la parte dell’isola più vicina alla Corsica. Fino a che finimmo il pane e il formaggio

E Michelino ebbe l’idea:

Mi schermii. Non ne sarei mai stata capace.. “E poi guardami – gli dissi – non sono nemmeno bella, non riuscirò a distrarli con la mia presenza, se non mi vengono le parole giuste!”

Michelino mi prese le mani fra le sue: “Nera, quando giorni fa mi hai raccontato le storie sei diventata di una bellezza che non muore. I tuoi occhi hanno una luce particolare che viene dal cervello. Il tuo coraggio ha la forza del maestrale. La tua magrezza ricorda quella dei fenicotteri. Perciò sali su questo muretto che ti farà da palco e vola!””

Con il viso rosso per quelle parole, salii su quel palco improvvisato. Ma prima di salire, liberai i ricci che tenevo sempre legati sotto un fazzoletto e che se ne andarono in giro come un uomo a fine prigionia. Qualcuno fra il pubblico mi urlò: “Muoviti Riccia, che dobbiamo tornare nei campi!” Riccia. Mi avevano chiamato Riccia! Per la prima volta per descrivere la mia persona non avevano usato la parola "zoppa".

E fu così che iniziai a raccontare storie.Tu, Mariagabriela, eri la storia che stavo raccontando, anche se non parlava di te: inventavo, abbellivo, sanavo i fatti, perché tu non andassi via per sempre.

Tu hai e avrai la mia parola

Un giorno, una vecchia mi diede un pezzo di sughero da mettere come rialzo.Da quel momento in poi, la mia andatura non suscitò più lo scherno degli altri.E smisi di essere "la zoppa".

Nel paese in cui eravamo arrivati la miseria era assoluta. Un giorno, dopo aver fatto il mio spettacolo per alcuni bambini, presi un ramo e iniziai a segnare delle lettere sul terreno.E così feci ogni mattina

“Perché gli insegni a leggere, Nera? – mi disse Michelino – non servirà a nulla imparare. Hanno bisogno di giustizia, di case e strade meno malsane. Hanno bisogno di essere curati. E di pane. Con il leggere e con lo scrivere non si sopravvive”.

“Non so, Michelino – risposi – credo che la giustizia, la cura, la sazietà siano in qualche modo in relazione con i segni che faccio sul terreno. Forse, se un giorno lontano tutti i bambini avranno questa possibilità di imparare, diventeranno individui e non servi. E allora chiederanno pane, e sapranno domandare di essere curati e vorranno giustizia"

Mentre parlavamo, si avvicinò una bambina.Disse di chiamarsi Isadora.

Mi raccontò che sua madre Gemma era in carcere nel castello del marchese Denti de Cane Cane.L' avevano arrestata perché aveva rubato una coperta per lei, quando stava male e non riusciva a scaldarla

Michelino decise di tentare di entrare nel Castello del Marchese Denti de Cane Cane per liberare Gemma.Diventò amico di Ninitta, la cuoca del Castello, che gli raccontò che il Marchese sperperava ogni bene (“Il di più si leva sempre a qualcun altro"), vessava i suoi sudditi, era esperto in ogni tortura o atrocità, e aveva persino fatto rinchiudere una donna di chiesa!.

Michelino elaborò un piano astutissimo: fece addormentare le guardie delle segrete, portando loro abbondante vino in cui aveva sciolto polvere di papavero da oppio

Poi liberò tutti i prigionieri del castello e diede fuoco alle stalle.

Quando Gemma e Isadora si rividero, lo spettacolo dell’amore si manifestò nella sua forma primitiva, e ci fece muti.Gemma e Isadora diventarono una, semplicemente… Non si baciarono, non dissero niente, non si mossero dall’abbraccio che le aveva fatte diventare un solo essere vivo.

Ma insieme a Gemma, avevo visto arrivare una donna, i cui lineamenti mi era parso di riconoscere, nonostante apparisse provata e sofferente

“Nera – disse, afferrandomi per la vita - ma sei proprio tu? Cosa ci fai qui?”La Monaca Ganar! Quella specie di amore di madre mi aveva riconosciuta senza dar retta ai dubbi e non fa niente se non ero la sua figlia di sangue.La Monaca Ganar, poi, ci condusse a un Convento

Entrando nella Biblioteca del Convento, vidi l’idea scritta di Paradiso. Forse da lì avrei potuto insegnare a leggere e scrivere ad altri bambini.

Perché la gioia delle parole vuole contagiare le parole degli altri. È un virus benevolo, un’istigazione al sapere, che dopo si espande ancora verso altro sapere

Poi aggiunse le parole che mi piegarono le ginocchia: “Mariagabriela non è mai scappata. È rimasta prigioniera del Visconte nel Castello!"

Dopo un mese che eravamo al Monastero, vidi arrivare la Monaca Ganar trafelata: “E’ viva!”!"

Eri viva!

Ma eri nelle mani di quel mostro. Invece ci venire a trovarti, mi ero solo allontanata da te. Se avessi potuto abbracciarti di nuovo, cosa che mi pareva impossibile, non avrei abbracciato te, ma un’altra te, ormai piegata dal sopruso di quel mostro. Ma quell’abbraccio te lo avrei dato lo stesso.

Partimmo io, Michelino, la Monaca su una carrozza, per far ritorno al posto in cui tutto era iniziato.Arrivati a due giorni dal Castello, fummo ospitati dalla nobile spagnola Maria Sibilla nella sua villa.

Maria Sibilla mi chiese di raccontare le mie storie a un pubblico di nobiluomini e mi diede uno splendido vestito e una preziosa collana.

Decidemmo che avremmo usato il vestito, i capelli sciolti e la collana che mi avevano resa irriconoscibile. Secondo il piano di Ganar, avrei ammaliato con la mia giovinezza e bellezza il Visconte e poi avremmo cercato di liberarti
Arrivai nel borgo in cui ero nata, con uno dei vestiti regalatimi da Maria Sibila. Mio padre mi passò accanto senza riconoscermi.

A vederlo provai pena e rabbia, pareva più debole, con vesti lacere: il Visconte, una volta ottenuta la preda, doveva aver smesso di pagarne il prezzo.

Con Ganar andammo nella locanda fingendoci una nobile dama con sua nipote. Qui fummo avvicinati da Salvo di Contrabbando che vide in me una preda da consegnare al suo voglioso padrone, il Visconte.Ci invitò quindi al Castello

Dopo 5 minuti, il perfido dichiarò addirittura di volermi sposare.

A cena, il Visconte mi si avvicinò con aria rapace.

Appena tornammo in camera, trovai Michelino che aveva tramortito Salvo di Contrabbando e lo aveva immobilizzato avvolgendolo in un tappeto.

Mi indicò una scala e mi disse che in cima a quella scala c’eri TU.Avevo aspettato tanto quel momento, ma il terrore per come ti avrei ritrovata mi mangiava la faccia. Per la prima volta da quando ero venuta al mondo, avrei voluto scappare da te. Michelino capì e mi abbracciò: “Mariagrabriela non sarà più la stessa. Ma tu devi ricordarle com’era. Hai promesso, Nera.Devi portarla via”.

Aprii la portae ti vidi. Tu no, non mi vedesti. Eri stesa su una vecchia coperta,tutta rannicchiata

Con l'aiuto di Michelino, ti presi in braccio

Non sapevi più camminare.Provasti ad alzarti, ma cadesti, con la tua bella pelle che si era fatta livida. Eri diventata quello che ero io prima, ti eri trasformata in "Nera la zoppa".

Poi Ganar bussà alla camera del Visconte. Raggelò subito la sua aria ingorda, mostrandogli una pergamena che conteneva la prova di certe sue nefandezze. Usando quel documento come arma di ricatto, Ganar lo costrinse a promettere che ci avrebbe lasciate andare e non ci avrebbe cercate mai più

Ora viviamo a Genova come una grande famiglia.

Siamo io, te, Michelino, Isadora, Gemma e Ganar.

Michelino è il mio sposo da un anno.Ci avevano pensato le nostre solitudini a capirlo, molto prima di noi.

E poi ci sei tu, Mariagabriela, che sei la poesia della pelle che si risana lentamente. Tu che parli poco o niente, ma che hai la mia parola.Tu che hai ripreso il tuo colore.Tu che, non so quando, tornerai ancora più bella.

Perché gli scampati a ogni violenza conoscono la rarità dell’amore e non ne sprecano nemmeno una goccia, che li fa germogliare. Di nuovo.

ma soprattutto grazie a Patrizia Rinaldi, per averci ricordato il potere delle parole e delle storie, quelle che aiutano a diventare.
Grazie alla prof.ssa Valentina Sica per la preziosissima collaborazioneGrazie ai genitori per aver messo a disposizione costumi, oggetti di scena, cimeli di famigliaGrazie ad Agostino e Tiziano, instancabili assistenti alla fotografia
in ordine di apparizione:

Spettatori JAMES C. MARCO Z. AGOSTINO D. Bambini che imparano a scrivere JAMES C. MARCO Z. SAMUELE P. CHANTALL C. GABRIEL R. THOMAS A. TIZIANO A. Isadora CHANTALL C. Gemma MARINA L.P.Ninitta VALENTINA S. Guardie del Castello THOMAS A MARIO S. Maria Sibilla SHANTALL G.

Mariagabriela GINEVRA A. Nera EDEN M. Il padre KUNAL K.Gunar GIULIA A. Imma Grossa ELVAN B. Michelino GIULIO L. Contadini che vogliono uccidere il gatto JASMIN T. BEATRICE D. GABRIEL R. Salvo di Contrabbando GAEL L.Visconte JACOPO R. Servitore del Visconte JAMES C.Abitanti del borgo AGOSTINO D. JASMIN T.