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L’amore intrappolato nella roccia

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I due amanti pietrificati

L'AMORE INTRAPPOLATO NELLA ROCCIA Il complesso del Baraccano è il luogo che per tradizione viene visitato dalle coppie innamorate nella speranza di un miracolo che permetterà loro di mantenere vivo il proprio amore. Invisibili a tutti, irrilevanti, i capitelli delle colonne osservano: vi sono incastonati personaggi, anch’essi una volta innamorati. Nel XII secolo, a causa dei contrasti nella penisola italica, Federico Barbarossa lasciò i territori corrispondenti al centro dell’Impero e discese a Bologna, con il suo seguito. Tra la moltitudine che lo seguiva, restava in disparte una giovane donna, sua figlia minore. Ella era in età da marito ma a causa della gelosia del padre e del suo affetto nei suoi confronti, che ben presto si era trasformato in possessività, era completamente estranea ai rituali di corteggiamento, all’amore. Non le era mai stato permesso di partecipare ai banchetti, alle cerimonie di investitura, agli eventi, ma le cose sarebbero cambiate.

Il suo diciottesimo compleanno si avvicinava e la curiosità verso quella dimensione della corte aumentava sempre di più. Spinto dalla moglie, Federico Barbarossa acconsentì all’organizzazione di un ballo in onore della figlia, poiché la ragazza non era ancora stata presentata alla società e i tempi stringevano. Presa dall’eccitazione, la sera prima non chiuse occhio: si rigirò tra le coperte di seta, la famosa seta di Bologna, fino al sorgere del sole, per poi schizzare in piedi non appena la sua serva entrò nella stanza per aiutarla a prepararsi. La giornata trascorse tra preparativi, nel fermento più totale. La sera giunse e, con essa, anche il fatidico momento. Indossato l’abito più prezioso che aveva e agghindatasi di gioielli luccicanti, la giovane entrò nella grande sala che era stata adibita ad ospitare l’evento. Le danze erano già iniziate e il salone sembrava un grande alveare durante una giornata di primavera. Ballò fino ad avere i piedi doloranti e, rimasta senza fiato, uscì nel giardinetto interno, dove un’ombra scura stava portando nelle stalle i cavalli. L’ombra si fermò e, colpita da un raggio di luna, rivelò le fattezze di un giovane uomo, pressoché suo coetaneo. I loro sguardi rimasero incatenati l’uno all’altro, incapaci di lasciarsi andare. Si fusero in un unico Universo, la cui melodia batteva allo stesso ritmo dei loro cuori. Li riportarono alla realtà gli schiamazzi delle sorelle della giovane, venute a reclamare la sua presenza. Rotto l’incantesimo, ella tornò nelle sue camere, rossa di imbarazzo e incapace di riconoscere quella tempesta che le sconvolgeva gli organi, quelle farfalle che minacciavano di uscirle violentemente dal petto. Non disse a nessuno ciò che era successo. Nei giorni successivi fece il possibile per rivedere il ragazzo. Si rividero qualche giorno più tardi e si innamorarono perdutamente.

I loro incontri segreti proseguirono, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, ed essi sembravano inconsapevoli dell’impossibilità del loro amore. Il re, notando la felicità della figlia e la sua perenne distrazione, si insospettì. Ordinò al suo consigliere più fidato di seguire la giovane e di riferirgli cosa stava succedendo. E fu proprio qualche sera più tardi che il re venne a conoscenza della relazione clandestina che la figlia stava intrattenendo con un povero stalliere, fatto totalmente inaccettabile a causa della loro differenza di rango. Il clima si fece progressivamente più umido, trasudava dal terreno la nebbia che avvolgeva tutto come una folta coltre bianca. Tali condizioni fecero prosperare le zanzare, portatrici di un male pressoché incurabile: la malaria. Sempre più cortigiani iniziarono ad accusare sintomi debilitanti, tra cui anche il giovane. La ragazza cercava di stargli vicino il più possibile, nel goffo tentativo di non farsi notare, convinta che il suo segreto non fosse ancora stato scoperto. Il re non era disposto a lasciare che sua figlia si compromettesse in tal modo e, di nascosto, fece scivolare un serpe velenosa nel brodo che la giovane portava ogni sera al suo innamorato. Dopo pochi sorsi, il ragazzo iniziò a dare segni dell’effetto del veleno: i suoi occhi si tinsero di rosso, la sua bocca iniziò a schiumare, i suoi muscoli si tesero spasmodicamente. La ragazza rimase sconvolta, vedendo l’uomo che amava annaspare in cerca di aria, morire. Dopo pochi minuti, il giovane giacque immobile, bianco come un lenzuolo.

La ragazza era sconvolta: il suo cuore si era spezzato e le emozioni la travolsero come un mare in tempesta. Si lasciò sommergere, in un annegamento che però non la faceva morire, come avrebbe voluto. Non appena il dolore si fu affievolito di quel tanto da permettere alla mente di pensare razionalmente, il suo cervello iniziò a ricostruire ciò che era successo. Le tessere dei suoi pensieri combaciarono perfettamente e allora capì: suo padre, il re, aveva ucciso lo stalliere che lei amava. Si sentì sconfitta, impotente su tutti i fronti. Una vita senza il suo innamorato le sembrava senza senso. Quella stessa notte, decise di privarsene. Uscì dal palazzo e si recò presso la Chiesa del Baraccano, per pregare. Una volta concluso il momento di preghiera, scomparve nella notte. Non si accorse di aver dimenticato il suo velo sulla panca di legno della chiesa. La mattina dopo, il re, notando l’assenza della figlia, mandò i suoi funzionari a cercarla. Le ricerche proseguirono, senza mai dare un esito positivo. La vicenda divenne di pubblico dominio e, sul capitello di una grossa colonna in pietra appartenente al Complesso del Braccano, furono scolpiti due putti, che rappresentavano i due giovani, affinché, nonostante essi non avessero potuto stare insieme in vita, lo sarebbero stati nella morte. Da quel giorno, si è diffusa la voce che essi proteggano gli amanti sventurati, per dare loro il lieto fine che anch’essi avrebbero desiderato.