RICETTARIO
zenone alessio
Created on March 14, 2022
£A Liceo Scienze Umane F. Angeloni Terni
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Terni,
Umbria
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3A - LICEI ANGELONI TERNI
ALTRI PROGETTI
DELLA CLASSE
Ciorbă de
burtă
La zuppa di pancia è un piatto noto e delizioso, una delle zuppe rumene più famose.
Ingredienti
• 0,2 kg pancia fresca e pulita
• 1,5-2 kg di ossa di manzo con midollo (chiedere al macellaio di tagliarle a pezzetti più piccoli, in modo che si adattino bene alla pentola)
• 2 carote
• 1 cipolla
• 1 radice di prezzemolo, pastinaca
• un pezzo di radice di sedano, circa 100 g
• 5-6 tuorli
• 3-400 g di panna acida
• 1 spicchio d'aglio
• 1 cucchiaio di farina grattugiata (20 g)
• aceto
• Pepe
• 3 cucchiai di olio
Tenere la pancetta in acqua tiepida con aceto o succo di limone e bicarbonato per almeno 2 ore prima dell'inizio della cottura, in modo che esca dall'odore specifico e si schiarisca.
Stiamo parlando della pancia già pulita. Le ossa si lavano bene con molta attenzione. Mettere le ossa in una pentola capiente (devono essere sul fondo, se è la pancia è possibile che si attacchi al bollore) quest’ultima viene riempita con acqua sufficiente a coprirla per poi aggiungere 2 cucchiai di sale.
Per avere un risultato migliore...
Bollire per altri 10 minuti, quindi scartare l'acqua, lavare molto bene le ossa e rimetterle a bollire. La pancia viene lavata e controllata se è ben pulita.
Molte volte, il più delle volte, viene semplicemente lavata, togliendo la pelle che, in questo modo, la rende molto facile da pulire.
Infatti si potrà vedere sul lato liscio che ha una pelle che tira e pulisce, proprio come quando si brucia al sole staccandosi.
Come pulire la pancia di manzo?
Adagiate la pancetta sopra le ossa, aggiungete sale e peperoncino, grani di pepe, cipolla e radici pulite e fate bollire per qualche ora.
Di tanto in tanto si integra con acqua calda, non fredda, perché irrobustisce la carne, in modo che il liquido copra la pancia e le ossa.
Quando la pancia è ben cotta, controllate le ossa, ammorbidite i tendini, filtrate il succo in un'altra pentola, tenete da parte le verdure (si possono schiacciare e raggiungere alla zuppa o metterle nei cuccioli) e la pancia e le ossa sono lasciate a freddo.
I tuorli (non utilizzare gli albumi nella zuppa di pancia, perché danno quell'aspetto di taglio) vengono sbattuti con 1 cucchiaino di sale e messi da parte per almeno 20 minuti per intensificarne il colore.
Mettere il succo sul fuoco e aggiungere l'aceto a piacere, ma non troppo, meglio metterne ognuno su un piatto.
Collegando all’antropologia...
Abbiamo molto accennato il discorso di materialismo culturale. Il materialismo culturale, propone di conoscere l’uomo quale essere biologico, alle prese con la sopravvivenza. Si propone, come l’oggettività delle scienze naturali, di fornire una spiegazione materiale dei comportamenti culturali diffusi in ogni specie umana. Per la politica, l’arte, la religione ma soprattutto legata ai cibi che manterrebbe unite le tradizioni culturali di un gruppo dove ognuno può conoscere l’altro.
Riguardo a questa ricetta possiamo ben notare come viene citata continuamente la pancia di maiale. la cosiddetta (pancetta). Perché il maiale è cosi sviluppato in Romania?
La tradizione di uccidere il maiale nella giornata di Ignat (un santo della chiesa ortodossa che si festeggia il 20 dicembre, il cui nome proviene dal latino “ignis”, fuoco) ha le sue radici nel rituale precristiano degli antichi Daci.
Nel giorno del solstizio d’inverno, sacrificavano il maiale perché simbolo della divinità delle tenebre, capace di indebolire la luce del sole nella giornata più corta dell’anno. Il sacrificio era un modo di venire in soccorso al sole. Era credenza comune che il maiale non sacrificato in questo giorno non sarebbe più ingrassato. Ignat era una sorta di ultimo giorno suino! Dopo aver ucciso l’animale, lo si gira verso est coperto con della paglia e si fa un grande fuoco per eliminare il pelo. Successivamente viene lavato con acqua calda, raschiato con un coltello e infine tagliato. Prima però si fa il segno della croce sulla fronte dell’animale e si pronuncia la frase “Dio, aiutaci a mangiarlo in salute!”. Qualche volta, la pulitura è preceduta dalla tradizione di coprirlo con una coperta in modo che i bambini possano salirci sopra e saltellare perché si crede che in questo modo cresceranno belli e sani.
Con i prodotti del maiale, le donne preparavano i cibi tradizionali per la cena di Natale: cârnați (salsiccia), caltaboși (un tipo speciale di salsiccia), jumări (ciccioli), slănină afumată (lardo affumicato). Alcune di queste specialità si affumicavano secondo metodi trasmessi da una generazione all’altra. Calata la sera, il capofamiglia imbandiva la tavola e offriva la cena chiamata pomana porcului (una specie di dono per l’anima dell’animale), a base di carne fresca di maiale e tanta grappa bollita con pepe nero macinato. Alla cena venivano invitati non solo tutti quelli che avevano aiutato alla preparazione dei cibi, ma anche i vicini. Molto tardi, nella notte gelida, ci si stava in compagnia cantando, ballando e mangiando molto spesso lardo.
Tanchi Roberta
Romania
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originale
Lenticchie nere
al burro
India
Lavoro presentato da Jasmeet kaur
RICETTA TRADIZIONALE IN INDIA
Lenticchie nere al burro
Chiamate dall
Componenti principali: fagioli rossi e lenticchie rosse
Preparazione:
-prima di prepararlo bisogna bagnarlo in acqua per 6 ore almeno
-si inizia con un soffritto di cipolle, zenzero e aglio e si aggiunge il sale per poi procedere a fare la salsa con i pomodori a cui si aggiunge la curcuma alla fine si mette l’acqua necessaria per la cottura dei legumi.
Strumenti:
-Può essere cucinato con una pentola a pressione che chiede poco tempo o in una pentola normale che richiede più tempo.
La parola Dal significa lenticchie che sono di diverse tipologie e sono cucinate quasi nello stesso modo ma con gusto diverso inoltre possono essere cucinate più di una tipologia nello stesso piatto insieme. Tutte le tipologie di lenticchie sono dal.
Le lenticchie nere sono prodotte solo in india e ci sono diverse varietà tra cui il grammo nero quello utilizzato per il Dal Makhani è vengono utilizzate anche per realizzare piatti tradizionali e anche come mangime per il bestiame.
È resistente a tutte le malattie fogliari del grammo nero; pertanto, fornisce una resa stabile in tutte le stagioni e le località è proprio questo il vantaggio della produzione del grammo nero che appunto ha reso Dal makhani un piatto tradizionale molto tra le famiglie indiane. Ha una maturità precoce (70–75 giorni) e un'altezza della pianta ridotta di circa 70 cm nella stagione delle piogge inoltre si adatta a tutte le stagioni.
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Il Tiramisù
La ricetta nazionale per eccellenza
Il tiramisù
La ricetta italiana per eccellenza
IL TIRAMISÙ
INGREDIENTI: Mascarpone (500g)
4 Uova fresche
2 confezioni di pavesini
Zucchero (100g)
250g di orzo
cacao amaro
MATERIALI: Pentolino per l’orzo
Frustra elettrica per uova e mascarpone
Teglia di vetro per l’estratto finale
Ciotola di plastica per la lavorazione
PROCEDIMENTO:
-Dividere tuorli da albumi
-Scaldare l’orzo su un pentolino
-Lavorare il mascarpone con una frusta elettrica
-Bagnare i pavesini nell’orzo e posizionarli nella teglia
-Sovrapporre sopra i pavesini uno strato di mascarpone per ogni strato (in un tiramisù generalmente c’è ne sono 4 o 5 strati)
-Il tutto è inserito nella teglia di vetro, metterci il cacao sopra
-Infine raffreddare il frigo
commento
Il tiramisù è un dolce tipico e simbolo della cucina italiana, in quanto è facile da fare poiché gli ingredienti non sono molti ma non tutti provengono dalle nostre terre.
Più che il tempo per gli ingredienti si deve avere pazienza nel fare il tutto, il quale richiede una lavorazione rapida ma composta.
Gli ingredienti del tiramisù la maggior parte sono esportati in quanto:
Il mascarpone è italiano ma non delle nostre terre siccome viene prodotto maggiormente nella pianura padana e in Lombardia.
Le uova sono prodotte nelle nostre terre poiché abbiamo buoni allevamenti di galline.
I pavesini anche detto “biscotto di Novara” lo dice il nome stesso viene prodotto per la prima volta in Piemonte nel 1952, ed è un prodotto che noi importiamo in tutta Italia ma che non deriva nella produzione del nostro territorio.
L’orzo è importato come il cacao viene da terre che nell’antichità avevano grandi raccolti, l’orzo deriva dall’Asia dove si hanno grandi produzioni, il cacao deriva dall’America meridionale grazie alle grandi distese del territorio.
Infine lo zucchero deriva dalla barbabietola che notoriamente viene prodotta in abbronza è importata dal Brasile dunque deriva tramite commerci. Dunque l’unico cibo prodotto nel nostro territorio fatto naturalmente da noi, sono le uova grazie agli allevamenti che abbiamo nelle nostre terre.
Pellerucci Ettore
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CAMPANIA
- IL CASATIELLO
- LA PASTIERA NAPOLETANA
- LA MINESTRA DI VERDURE
IL CASATIELLO
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originale
Ingredienti:
Farina 700 grammi
strutto 130 grammi
lievito di birra 25 grammi
acqua 500 ml, zucchero 5 grammi
sale 15 grammi, pepe salame, 300 grammi
pancetta 150 grammi
scamorza 100 grammi
provolone piccante 100 grammi (se si vuole)
50 grammi di pecorino, 50 grammi di parmigiano
1 uova, strutto 10 grammi.
n.b. servirà ovviamente uno stampo con forma rotonda bucato nel centro
Procedimento
Mettere farina, strutto, lievito di birra, acqua, zucchero, pepe in una ciotola e impastare per 10 min.
Lasciare lievitare per due ore. Stendere formando un rettangolo e mettere da parte una parte di impasto,
aggiungere parmigiano, pecorino e il misto di salumi e formaggi.
Lasciate riposare per un'ora.
Ungere di strutto lo stampo e adagiare l’impasto, spennellare la superficie con l’uovo.
Mettere in forno preriscaldato a 185 gradi per 50 minuti.
Origini e curiosità
Il casatiello simboleggia la Pasqua Cristiana già nella forma. Il cerchio della ciambella rappresenta sia la corona di spine, posta sulla testa di Gesù sia il ciclo continuo della vita con la Resurrezione. Le uova e le fettucce incrociate sopra la cupola delle uova ricordano il Calvario, la crocefissione e la rinascita. Anche la presenza del pecorino nell’impasto ha una sua valenza simbolica. Infatti, è fatto di latte di pecora da cui
l’agnello che è simbolo di purezza e di innocenza.
Tuttavia, il casatiello si è fatto simbolo e significante di messaggi diversi. Le origini del dolce pasquale, del resto, sono molto più antiche di quel che comunemente si tende a credere: il nome attribuitogli, che deriva dal termine“caseus” (formaggio), risalirebbe infatti al periodo greco.
Diversi scritti, inoltre, testimoniano come il casatiello napoletano venisse usato dai romani durante i banchetti primaverili istituiti come omaggio a Cerere, divinità antica e custode dei doni della terra.
Non solo però, veniva preparato anche da gente povera, che non potendo sprecare cibo, usava gli avanzi di salumi e formaggi dei pasti dei giorni precedenti per creare una nuova pietanza, così saporita e gustosa da poter essere consumata in una sola volta. Questo è molto semplice da credere, in quanto il territorio campano è adatto all’allevamento dei bovini da cui si ricavano i principali ingredienti del casatiello, era comune che anche le persone povere possedessero degli animali così da potersi procurare da soli il cibo che era necessario per vivere, e per sostentarsi vendendo prodotti e derivati degli animali che allevavano.
Bello Gaia
LA MINESTRA DI VERDURE
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originale
INGREDIENTI:
-brodo di gallina -cicoria borragine (20 fasci) -scarola piccola a fasci piccoli (30) -sale
-pinoli -formaggio romano -cicoria -gallina
MATERIALI: -delle pentole per far bollire e cuocere il tutto
PROCEDIMENTO:
-Comprare le varie verdure sopra citate, il quantitativo dipende dalle persone circa 2
fasci di cicoria, 20 di borragine e 30 di scarola piccola.
Successivamente si prepara il brodo con una gallina, comprare e sciacquare la gallina
nell’acqua e sale.
Mettere poi in una pentola con l’acqua, e sentire la cottura attraverso una forchetta,
togliere il brodo e filtrarlo.
All’interno del brodo mettiamo le verdure che abbiamo precedentemente lessato poi spolpiamo la gallina e all’interno del brodo di verdure mettiamo la gallina. Far cuocere tutto insieme e man mano aggiungere i pinoli, il formaggio romano e sistemare poi di sale. Dopo un quarto d’ora di cottura tutto insieme la minestra è pronta.
La minestra di verdure e' un piatto tipico napoletano che solitamente si consuma durante le feste di famiglia maggiormente a natale, ma può essere mangiata anche a Pasqua. È sicuramente un'usanza proprio della città, ma anche della mia famiglia.
Viene preparata attraverso dei procedimenti che sono abbastanza semplici e utilizzando dei prodotti che noi difficilmente troviamo nella nostra città, secondo il materialismo culturale, ovvero un indirizzo che spiega la cultura come l’insieme delle risposte che l’essere umano dà alle sfide lanciate dall’ambiente e dunque si propone di conoscere l’uomo quale essere biologico; la cultura infatti è strettamente legata alla costituzione materiale dell’uomo, poiché è l’insieme delle risposte che gli uomini hanno dato al problema della sopravvivenza. Sicuramente
quando parliamo di un cibo dobbiamo far riferimento anche alle risorse che ci sono nel nostro territorio, la minestra viene definita cosi’ perché c’è l’aggiunta di carne che si lega benissimo con la verdura. Per poter comprendere la cultura di un posto è molto importante, ad esempio per noi procurarci delle determinate verdure non è cosi’ semplice e scontato come sembra perché sono tipiche di Napoli ed è raro trovarle qui infatti bisogna riadattare la ricetta e utilizzare dei prodotti in parte diversi. Questo tipico piatto si è sviluppato grazie ad una tradizione che si tramanda di generazione in generazione. Quello che lega il materialismo alle altre prospettive è una visione naturalistica dell’essere umano visto come un insieme di bisogni, pulsioni, ma anche preferenze; nascono proprio queste “preferenze alimentari”; l’essere umano si nutre di quello che offre l’ambiente e successivamente elaborano una “proibizione” associando poi a quel cibo un significato simbolico e dunque non
buono da mangiare.
lo strumento principale a disposizione è la cultura che consente di ottimizzare il rapporto tra costi e benefici e di scegliere un percorso che sprechi meno energia per aiutare la salute e il benessere.
La minestra di verdure ha origini molto antiche e nasce dall’esperienza di usare scorte di carne e erbe spontanee ed era stata fatta in precedenza dai Romani. Gli Spagnoli però ci hanno donato l’idea di questo piatto esportandolo poi in Campania.
Nella tradizione del 500 si usavano salsicce, prosciutto, pancetta e poi si sono aggiunte altre carni più magre ad esempio gallina e muscolo di manzo
Cecere Sara
LA PASTIERA NAPOLETANA
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originale
La Pastiera Napoletana è un tipico dolce di origine partenopea, preparato solitamente durante la primavera, e più precisamente, nel periodo pasquale. Ha un sapore molto rotondo, fresco e che porta alla mente l’imminente bella stagione.
E’ una ricetta abbastanza elaborata e anche lunga, che richiede passione e dedizione, poiché la tradizione vuole che si inizi dal
giovedi’ santo.
INGREDIENTI
Pastafrolla - 400 grammi Farina 00 - 3 uova - 180 grammi Burro - 180 grammi Zucchero - ½ Limone - 1 cucchiaino Estratto di vaniglia
Crema di grano - 300 grammi Grano precotto - 200 ml Latte - 25 grammi Burro - Q.b. Scorze di arance e limoni - Crema di ricotta
400 grammi Ricotta di pecora o di bufala - 300 grammi Zucchero - 1 fiala Aroma fior di arancia - 80 grammi Canditi arancia e cedro
(se non piacciono si possono frullare) - ½ cucchiaio Cannella - 4 Uova (+ 1 tuorlo) - 1 cucchiaino Pasta di vaniglia
PROCEDIMENTO
Il giorno prima della preparazione
Per prima cosa occupati della frolla, quindi in una planetaria, lavora con la frusta a k il burro freddo tagliato a pezzetti, e la farina setacciata, fino a quando non ottieni
un composto sabbioso. Te ne accorgi facilmente perché passandolo tra le mani è proprio come la sabbia.Pastiera napoletana Aggiungi a questo punto lo zucchero, gli aromi
ed infine le uova, una alla volta. Solo quando ne viene assorbito uno, puoi aggiungere quello successivo. Mescola prima con una forchetta, e poi lavora bene il composto pastiera uovo
Mescola bene per 1 minuto, e su una spianatoia amalgam bene il panetto senza lavorarlo eccessivamente, perché il burro si scalderebbe troppo compromettendo la riuscita finale.pastiera panetto. Fai riposare la pasta frolla avvolgendola con la pellicola per tutta la notte in frigorifero, in questo modo il burro si solidificherà in parte, e i sapori e gli aromi si mescoleranno meglio. Qualora l’impasto si attaccasse troppo alle mani “sporcatele” con la farina.pastiera pellicola
Sempre il giorno prima della consumazione del dolce, prepara la crema di grano cuocendo in un pentolino il grano precotto con il latte, le scorze di arancia, il limone e il burro.
Ponilo sul fuoco (il più piccolo che hai) senza coperchio, mescola spesso e a lungo per 25 minuti circa. Il consiglio è di non usare un pentolino troppo piccolo, in modo che il grano stia largo sul fondo, così tutti i chicchi vengano in contatto con gli altri ingredienti.pastiera pentolino Trascorso il tempo di cottura la crema sarà vellutata. Adesso toglie anche le bucce d’arancia. Lascia raffreddare, togli le scorze di limone e frulla solo una parte della crema, circa 1/3.pastiera grano
Per ottenere una crema di ricotta bella, omogenea e senza grumi, setaccia bene la ricotta con un panno di lino pulitissimo, oppure con un passino a maglie strettissime. Dopo falla scolare per qualche ora (la ricetta originale dice almeno 12 ore) e solo alla fine, uniscila allo lo zucchero (cerca di farlo sempre la sera prima) in modo tale che quest’ultimo si sciolga bene, e non crei fastidiosi grumi.
Questo processo chiamato marinatura è fondamentale perché serve a far sciogliere bene e in modo ottimale tutti gli zuccheri.crema ricotta
Il giorno della preparazione
Il giorno della preparazione stendi la frolla con l’aiuto di un mattarello, e adagiala in uno stampo tipico da pastiera, di circa 26 cm di diametro, che hai precedentemente imburrato ed infarinato.
Pastiera stampo
Pareggia i bordi e poi metti di nuovo in frigorifero a riposare, finché anche il ripieno non sarà pronto. Non buttare i ritagli di frolla
e mettili da parte.pareggiare i bordi.
A questo punto prepara il ripieno. Mescola la crema di ricotta, con il grano e le uova battute, miscela bene ed aggiungi l’acqua di
fior arancio e la cannella. Il composto finale si presenterà come una crema liscia e piuttosto morbida.
Ora è il momento di assemblare il tutto!ripieno pastiera Versa la crema di grano e ricotta sul fondo della pastiera, livellando
con un cucchiaio la superficie della crema. ripieno pastiera livellato
Con la restante pasta frolla forma delle strisce di circa 2 cm di diametro. Adagia le prime 3 o 4 strisce sulla pastiera in modo
parallelo, ad una distanza uguale di circa 4 cm circa l’una dall’altra, in maniera molto delicata e senza schiacciare.strisce pastiera
Sistema infine le altre strisce, incrociandole alle precedenti, in modo che si formino dei rombi. “Incollale” fra di loro pinzando con
le dita gli estremi delle strisce sui bordi, non servirà nessun tuorlo o latte per farle aderire, basterà solo la pressione delle dita.
sctrisce incrociate pastiera Cuoci in forno già caldo nella parte medio bassa a 150° per 1 h e mezza circa, alla fine del tempo controlla lacottura come suggerito nel paragrafo dedicato ad essa.cottura pastiera napoletana Sforna e lasciala raffreddare per almeno 20/30 minuti
La pitta
calabrese
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originale
La Pitta calabrese fa parte di quelle ricette tradizionali, tramandate di generazione in generazione nel corso dei secoli, la cui modalità di preparazione non può essere definita con sicurezza. Nessuno potrebbe affermare qual è il procedimento più antico, quello più corretta, rispettoso e fedele alla versione originale.
Vero è, tuttavia, che a conservare un legame forte con il passato sono le tradizioni familiari e le famiglie, vere depositarie e custodi di un antico sapere.
Proprio lì si possono rintracciare le ricette del passato ed è proprio tra le ricette più antiche del ramo calabrese della mia famiglia, che ho casualmente ritrovato la ricetta della pitta, che si può definire una sorta di pan-focaccia perché non è esattamente una focaccia ma non è nemmeno pane in senso stretto.
Ingredienti per 6 persone
250 gr di Farina Manitoba
250 gr di Farina 0
300 gr di Acqua
7 gr di Lievito di Birra Secco
30 gr di Olio Extravergine d'Oliva
1 cucchiaino di Zucchero
12 gr di Sale
Procedimento
1) Per preparare la Pitta Calabrese versate in una ciotola capiente i due tipi di farina, il lievito e lo zucchero.
2) Unite l’olio e infine l’acqua, poca per volta, mescolando dapprima con un cucchiaio poi a mano. Solo in ultimo aggiungete il sale.
3) Trasferite l’impasto sulla spianatoia infarinata e lavoratelo energicamente a mano per almeno 10 minuti in modo che si formi la maglia glutinica.
4) Allargate l’impasto davanti a voi in modo da formare una sorta di rettangolo con il lato lungo dalla vostra parte. Immaginate di dividerlo in tre rettangoli più piccoli, tutti uguali, con delle linee verticali e procedete con un giro di pieghe: piegate a libro il rettangolo di destra su quello centrale e copritelo con quello di sinistra.
5) Trasferitelo poi in una ciotola oliata e mettetelo a lievitare nel forno spento con la luce accesa per almeno 5 ore.
6) Trascorsa la prima lievitazione, trasferitelo in una teglia rivestita di carta forno e allargatelo con le mani in modo da ottenere un disco di 1 cm di spessore.
7) Con un coppapasta di 5-6 cm ricavate un buco al centro e lasciate lievitare nuovamente il tutto per un’ora.
8) Dopo la seconda lievitazione potete cuocere la Pitta Calabrese in forno preriscaldato a 200°C per 10 minuti, quindi abbassate la temperatura a 180°C e proseguite la cottura per altri 20 minuti.
9) Sfornate e lasciare raffreddare completamente il pane fatto in casa prima di procedere al taglio.
L’ANTICO PRODOTTO DA FORNO NATO “POVERO”
La pitta è un prodotto da forno dalla classica forma a ciambella e dalla mollica morbida e alveolata che lo distingue da altri pani simili. Consuetudine vuole che venga consumata dopo averla tagliata orizzontalmente per poi farcirla a piacere.
Street food tutto da gustare, per via delle infinite possibilità di ripieno con cui si può arricchire, la pitta in Calabria è tuttora considerata una vera e propria istituzione.
Se oggi la versione farcita è un autentico tripudio di sapori, nel passato la pitta era ritenuta un pane di poco conto e di importanza trascurabile dal punto di vista nutrizionale, Infatti, nonostante fosse confezionata in ogni famiglia, a Vibo Valentia veniva chiamata “jettata”, ossia “gettata via”, per il fatto di essere infornata per prima e con l’unico scopo di sincerarsi che il forno avesse raggiunto la temperatura ideale per la cottura del pane.
Un’altra curiosità riguarda la sua forma perchè pare che, in origine, il tipico buco della ciambella fosse più accentuato.
Le massaie più anziane ricordano che tra il diametro interno e quello esterno non corressero più di 5 centimetri e descrivono una mollica ridotta rispetto all’epoca più recente, verosimilmente per via della scarsa disponibilità di carne con cui farcirla.
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Tenuta
Alice
La pitta
calabrese
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ORIGINI E STORIA DELLA PITTA CALABRESE
Da sempre, l’area principale in cui è nata e si è diffusa la pitta corrisponde al territorio intorno alla città di Catanzaro, dove il termine “pitta” si traduceva (e si traduce ancora) con “schiacciata di pane”.
Proprio in questa città, la sua preparazione è strettamente legata ad altri due piatti tipici e molto popolari in tutta la provincia che ne costituivano la sua farcitura o, semplicemente, ne accompagnavano il consumo.
Queste ricette sono “u’suffritt”, un preparato a base di carne di maiale mista a frattaglie, e “u’morzeddhu” un miscuglio di trippa vaccina e interiora.
Si ritiene che l’origine della pitta sia antichissima.
Alcune fonti sembrano propendere per una discendenza greca e, secondo Gerhard Rohlfs, la parola pitta deriverebbe dal greco πίτα anche se l’ipotesi più credibile lega questa tipicità calabrese – seppur con qualche differenza – alla Placenta romana di cui a darci notizia è Catone il Vecchio. Etimologicamente, infatti, pitta proverrebbe dal latino “picta” cioè “dipinta” per indicare l’usanza romana di offrire in dono agli dei delle focacce decorate, durante le celebrazioni dei riti pagani nei templi del territorio.
Oltre alla versione salata, ne esiste anche una dolce, ugualmente buona, realizzata con un impasto aromatico e farcita con un ripieno a base di frutta secca.
LE ORIGINI GASTRONOMICHE DELLA CALABRIA
Questo territorio ha visto nei secoli l’arrivo di popoli diversi, dai Greci ai Romani, dagli arabi ai normanni, agli spagnoli e ai francesi che hanno contribuito a lasciare un segno indelebile nelle tradizioni alimentari calabresi.
La Calabria, poi, è una regione che ha la particolarità di essere bagnata, lungo tutta la sua estensione, da due mari e che mostra una varietà paesaggistica che spazia dal mare alla montagna non altrove rintracciabile.
Questo le conferisce quei tratti di unicità che si ritrova anche nella sua produzione agricola e alimentare, nella sua gastronomia, semplice, ma allo stesso tempo contrassegnata da quei sapori, profumi e colori propri di questa terra.
È stata così prodotta una tradizione gastronomica che è tipica e unica e, soprattutto, molto legata ad antiche tradizioni che hanno permesso di preservare e salvaguardare nel tempo non solo i sapori ma anche il sapere delle generazioni precedenti.
Questa tradizione, più di altre, è nata non solo dall’utilizzo e dalla trasformazione delle risorse alimentari presenti, ma anche dai condizionamenti storici e rispecchia, di conseguenza, la contaminazione di tradizioni trasmesse dai popoli diversi che si sono succeduti nel corso di una lunga storia d’incontri, scontri, contrasti e contaminazioni di tradizioni e culture millenarie, che rimandano al bacino del mediterraneo, al nord dell’Europa e al vicino oriente.
L’IMPORTANZA DEL CIBO IN CALABRIA
Nel corso della storia il cibo ha sempre evidenziato le differenze tra comunità umane, culture, strati sociali; ne ha rafforzata l’identità di gruppo, separando e distinguendo il “noi” dagli altri.
Nella società calabra del passato il cibo era considerato un valore autentico per l’essere umano e il suo ambiente familiare e sociale.
L’uomo rispettava la natura, ed essa in cambio sapeva donare tutte le risorse alimentari di cui egli aveva bisogno, diventando, insieme, una cosa sola, indissolubile.
Gli uomini erano educati a seguire il ritmo delle stagioni, il corso naturale del tempo.
La loro esistenza e quella delle comunità nelle quali vivevano erano scandite da occasioni particolari, da giorni di festa nei quali si riscopriva il valore socio-culturale del cibo e di povere ma gustose pietanze dalle origini antiche, preparate per l’occasione.
Tenuta
Alice
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UMBRIA
> IL PANPEPATO
> I MACCHERONI DOLCI
> LE FREGNACCE
> LA CREMA PASTICCERA
> LA COLAZIONE DI PASQUA
> LE CIRIOLE ALLA TERNANA
IL PANPEPATO
TERNANO
Il Panpepato è un dolce tipico umbro, ormai diffuso in molte zone dell’Italia centrale. E’ tradizionale anche a Siena e a Ferrara. Ha una forma tondeggiante ed è composto da un impasto corposo e vario. Gli ingredienti di base possono
essere nocciole, mandorle, pinoli, noce moscata, cannella, arancia e canditi, pepe e cedro, i quali vengono poi impastati a farina, cioccolato, miele e mosto d’uva cotto.
Siccome questo dolce è tradizionalmente preparato in casa, in particolare in occasione delle feste natalizie, la ricetta può variare leggermente negli ingredienti. In molte zone in cui è tipico, è usanza scambiarsi il dolce accompagnandolo con un piccolo ramo di vischio. Oggi il Panpepato è stato
riconosciuto come prodotto tipico dalle regioni italiane più interessate (Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna).
Il Panpepato è un dolce tipico della tradizione contadina, che si usava preparare nei periodi di festa. Le prime tracce di una ricetta scritta del Panpepato ternano sono del 1800 ma le sue origini risalgono al XVI secolo. La sua provenienza è forse ancora più lontana e va ricercata in Oriente. Infatti, furono probabilmente le carovane che trasportavano spezie a portare nel Cinquecento il dolce orientale in Italia e nella zona ternana. La ricetta orientale venne poi modificata con l’aggiunta di ingredienti locali come le noci, gli agrumi e, soprattutto, il mosto d’uva cotto. Ancora oggi, a Terni, il Panpepato viene preparato, secondo la tradizione, l’8 dicembre. È invece dalla vecchia usanza dei “pani arricchiti” preparati sotto le feste che proviene il Panpepato di Ferrara. Probabilmente questo nacque all’interno dei conventi di clausura del ferrarese.
A Siena, infine, una variante del Panpepato viene preparata fin dal Medioevo.
Bonaccini Martina
Essedo la ricetta tipica ternana in molti hanno proposto la loro ricetta e la loro ricerca. Di seguito le varie ricerche disponibili:
Onori Martina
Rondinelli Arianna
LE FREGNACCE
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originale
Accettone Arianna
I MACCHERONI DOLCI
Scarica la ricetta
originale
Ingredienti:
•150 g di pasta (maccheroni – rigatoni- tortiglioni)
•200 g di pangrattato non troppo fine
•200 g di noci tritate
•150 g di zucchero semolato
•25 g di cacao dolce
•25 g di cacao amaro
•Cannella
•100 g di alchermes
•Un bicchierino di rum
•Scorza di metà limone grattugiata
Preparazione:
1.Mettete il pangrattato in una ciotola, unite lo zucchero, il cacao dolce e quello amaro.
2.Unite anche le noci, la buccia del limone grattugiata e mescolate.
3.Versate il rum, l’alchermes e mescolate bene.
4.Tenete da parte una ciotola di composto.
5.Lessate la pasta, scolatela (tenete da parte un po’ di acqua di cottura) unitela al condimento e mescolate.
6.Se necessario unite qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta e amalgamate bene e trasferite in un piatto da portata profondo.
7.Riempite il piatto e coprite con il condimento tenuto da parte.
8.Fate riposare in frigo per circa 12 ore prima di servire
Storia:
I maccheroni dolci sono un tipico piatto della tradizione umbra che si prepara per la vigilia della festa di Ognissanti, dei Morti e del Natale è un piatto semplice, povero, che ha infatti come ingredienti dei prodotti che all'epoca erano semplici da trovare e che tutti avevano .
Già gli Etruschi e poi i Romani usavano dei dolci per i loro rituali festivi, prima fra tutti la festa pagana dei “Saturnalia,” in fine dicembre, che ricordava gli antichissimi riti in onore della luce, la felicitàpopolare per le giornate che iniziano di nuovo ad allungarsi.
Un dolce quindi tipico delle province etrusche : Viterbo e tutta la Tuscia, Terni, Perugia, Arezzo, Grosseto, ma presente anche in altre insospettabili zone dell’Italia centrale che mai furono etrusche, bensì romane, come Macerata e perfino nella lontana Romania , l’ antica Dacia colonizzata dai Romani.
Sarà poi nel Medioevo che si iniziarono a porre le prime basi per la nascita di quelli che possiamo considerare gli antenati dei maccheroni con le noci odierni.
in particolare l'epoca in cui comincia a diffondersi la frutta secca (accanto a quella fresca) a chiusura del pasto, e con l’arrivo dello zucchero (dagli arabi) e del cacao (dalle Americhe).
Biferni Aurora
LE CIRIOLE ALLA TERNANA
INREDIENTI PER 4 PERSONE
PER LA PASTA:
400gr di farina
Acqua Q.B.
Sale un pizzico
PER IL SUGO:
500 gr di passata di pomodoro
2 spicchi d’aglio
1 peperoncino
Olio, sale sempre un pizzico
STRUMENTI:
spianatoia
mattarello
pentola per il sugo
pentola per la pasta
coltello per tagliare la pasta
PROCEDIMENTO PASTA
Sulla spianatoia versate la farina e formate una fontana.
Versate un bicchiere di acqua tiepida e un pizzico di sale in centro.
Fate incorporare delicatamente l’acqua e la farina.
Se necessario aggiungete acqua in modo da ottenere un impasto elastico e compatto.
Tendete l’impasto con il mattarello formando u a foglia non troppo sottile.
Tagliate la sfoglia a strisce strette.
Mentre fate il sugo, fatele riposate.
PROCEDIMENTO SUGO:
In una pentola mettete un filo d’olio, i due spicchi d’aglio e il peperoncino.
Fate soffriggere per un paio di minuti e poi aggiungete la passata di pomodoro e il sale.
Coprite e lasciate cuocere a fuoco lento per circa 20 minuti.
COTTURA:
Fate bollire l’acqua con il sale in una pentola capiente e versate le ciriole quando bolle.
scolatele al dente, conditele con il sugo e servitele ben calde, buon appetito
Ricerca e ricetta di Petrucci Greta
Petrucci Greta
Viola Filippo
Essedo la ricetta tipica ternana in molti hanno proposto la loro ricetta e la loro ricerca. Di seguito le varie ricerche disponibili:
Drosu Denis Andrei
LA CREMA PASTICCERA
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originale
La ricetta che risale alla bisnonna di mia mamma, è la gustosissima crema pasticcera. Il “segreto” di questa crema sono gli ingredienti ma soprattutto la modalità di cottura, a bagno-maria.
Gli ingredienti sono: un uovo completo ed uno senza tuorlo; 5 cucchiai di zucchero, 3 cucchiai di farina, ¾ di latte, una scorzetta di limone.
SVOLGIMENTO:
gli ingredienti vanno messi in una pentola gradualmente, il trucco sta nel mettere la pentola con gli ingredienti, a bagno-maria in un’altra pentola molto più grande con all’interno dell’acqua.
Altro accorgimento è mescolare di continuo, fino ad ottenere una ottima e delicata crema.
Cinaglia Beatrice
LA COLAZIONE DI PASQUA
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originale
Cercando alcune ricette tipiche, tradizionali del mio territorio umbro/ternano ho pensato al pranzo tipico diPasqua, il cui menù è anticipato da una gustosa
COLAZIONE DI PASQUA con:
Pizza di formaggio, salame, uova sode decorate, frittata pasqualina e
frittata con tartufo accompagnata da un buon bicchiere di vino.
Il pranzo può comprendere:
ciriole alla ternana
coratella di agnello, agnello al forno con patate e spezzatino di cinghiale
pane senza sale, il tipico pane “sciapo” di Terni
come dolce la colomba pasquale e la Pizza dolce di Pasqua
Se analizziamo il pranzo di Pasqua a Terni, secondo il metodo di analisi del
materialismo culturale possiamo vedere che alcuni ingredienti sono fondamentali risorse del territorio, pensiamo infatti all’Umbria come una regione ricca di carne, la lavorazione della carne di maiale ha nella nostra terra radici antiche, i norcini ebbero la loro scuola a Norcia e si diffusero poi nel resto d’Italia con la produzione di salumi e prosciutti.
Carne di ovini, suini, caprini, ottima selvaggina con uccelli, lepri, cinghiali, può essere accompagnata con gli
aromi e i profumi del bosco: funghi, asparagi, frutti di bosco, miele, castagne.
Anche il pesce di fiume e di lago è presente sulle nostre tavole con le trote, i lucci, il pesce persico, i
coregoni, le anguille, i gamberi di fiume provenienti dalle acque del Nera o dal lago di Piediluco.
La cucina si avvale di elementi semplici come l’olio, il grano, il pomodoro, formaggi tipici come la ricotta e il
pecorino, prodotti della dieta mediterranea che appartengono alla produzione agricola del luogo, così come i buoni vini.
In cucina vengono utilizzati ingredienti semplici come acqua e farina per fare le ciriole, per la frittata
pasqualina si raccolgono e mescolano le varie erbe di campo e alcune dell’orto ma anche specialità come il
tartufo che è molto diffuso nelle zone umbre di Norcia e Cascia. La nostra cucina secondo l’analisi del materialismo culturale riflette una dimensione storica e simbolica, è legata alla radici religiose cristiane e alla cultura popolare e contadina ternana, questi elementi li ritroviamo nella tradizione della colazione pasquale con cibi salati e molto calorici che ricordano le colazioni dei contadini quando la mattina presto si recavano a svolgere lavori pesanti e per questo motivo avevano bisogno di abbondanti riserve di calorie, ma anche nel riunirsi e vivere il momento conviviale come una festa come avveniva per i contadini che potevano gustare i prodotti che la natura gli offriva durante il raccolto, la vendemmia o durante le feste religiose. L’agnello, la colomba, le uova sode decorate e di cioccolato hanno invece un valore simbolico religioso, quest’ultime esprimono infatti il concetto di vita e nascita, la forma del cerchio è simbolo del divino, in esse rivive il messaggio simbolo della Pasqua, la resurrezione di Cristo.
La mia famiglia è legata anche alla tradizione culinaria calabrese perché mio padre e i miei nonni paterni
sono nati in provincia di Catanzaro, per questo sulla tavola le culture di due regioni italiane si uniscono e
alle ricette ternane si accompagnano quelle calabresi: la soppressata, la ‘nduja, il salame piccante, le
melanzane ripiene, la torta di ricotta “fragune”, le ciambelle fritte di patate calabresi, arancini calabresi,
piatti diversi ma provenienti anch’esse da tradizioni popolari e contadine
RICETTA TRADIZIONALE ternana DI FAMIGLIA
FARAONA ALLA LECCARDA
Far rosolare in una casseruola la faraona con:
salvia, rosmarino, capperi, limone, olive verdi e nere, pancetta, aglio, timo, brodo e vino.
Aggiungere il vino alla fine della cottura e farlo evaporare.
A cottura ultimata aggiungere la seguente salsa:
3 filetti di acciughe, 50 gr di fegatini di pollo,
prezzemolo, basilico, 1 spicchio di aglio
2 peperoni sott’aceto
Pangrattato q.b.
Metà limone, Pancetta, 1 cucchiaio di aceto
Olio q.b., 50 gr. burro, sale, pepe e vino bianco.
Per fare la salsa tritare
il tutto.
Appoggiare le parti di
faraona tagliate su
pane tostato e
ricoprire con la salsa.
Severino Maria Virginia
ALTRI PROGETTI
DELLA CLASSE
La classe ha fatto diversi altri progetti di cui di seguito riportiamo alcuni esempi:
<<< LAVORO DI GRUPPO
SULLA
MALATTIA MENTALE
LAVORO DI GRUPPO >>>
SULL'ALIMENTAZIONE