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SPORT E DISCRIMINAZIONE RAZZIALE

Negli Stati Uniti d’America, sebbene il Civil Rights Act del 1964 abbia dichiarato illegale la segregazione razziale nelle scuole, sul posto di lavoro e nelle strutture pubbliche, la discriminazione continua ad essere presente in molti settori, compreso lo sport.

Coach Don Haskins

Coach Don Haskins

BASKET

giocatori afroamericani.

Haskins, contro il volere della società che lo aveva assunto, decide di creare una nuova squadra reclutando anche giocatori afroamericani. Nessuna altra squadra di basket universitario, prima di allora, aveva avuto al suo interno giocatori di colore.

Nel 1966 l’allenatore di basket Don Haskins viene chiamato ad allenare i Texas Western Miners, una squadra destinata al fallimento sportivo ed economico.

Haskins riuscirà a creare un gruppo unito e competitivo, che arriverà a vincere il campionato universitario in una finale dove scenderanno in campo, per scelta dell’allenatore, solo giocatori di colore.

Nel 2010, nel Sud degli Stati Uniti, ancora fortemente razzista, viene creata la All-American Basket Alliance un campionato di basket a 12 squadre senza giocatori afroamericani.

Oggi nel basket statunitense l’80% dei giocatori è afroamericano, ma non mancano gli episodi di discriminazione razziale.

NBA

Nel 2014, Donald Sterling, il proprietario della squadra dei Los Angeles Clippers, a causa di alcune dichiarazioni fortemente razziste è stato squalificato a vita dall’ NBA

Episodi di discriminazione razziale negli Usa sono stati e sono ancora diffusi in tutti gli sport.

CarlosSmith& Norman

CarlosSmith& Norman

ATLETICA

Alle olimpiadi di città del Messico del 1968, i velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos arrivarono primo e terzo nella gara dei 200 metri, il secondo posto andò all’australiano Peter Norman.

Nel 1966 l’allenatore di basket Don Haskins viene chiamato ad allenare i Texas Western Miners, una squadra destinata al fallimento sportivo ed economico.

black power

Entrambi hanno alzato al cielo un pugno chiuso con un guanto nero, simbolo del black power

Olympic project for human rights.

Carlos indossava una collana di perle, una per ogni attivista ucciso.

Smith aveva al collo una sciarpa nera

Tutti e tre avevano sul petto il distintivo dell’Olympic project for human rights.

John Carlos e Tommie Smith sono saliti sul podio scalzi a dimostrare la povertà del popolo nero.

Durante la premiazione, i tre hanno dimostrato pubblicamente la loro indignazione nei confronti della discriminazione razziale, come mai nessuno prima.

record

Il giorno dopo i tre atleti sono stati cacciati dal villaggio olimpico e sospesi dalla nazionale di atletica, nonostante Tommie avesse stabilito il record del mondo nei 200 metri. In Australia, Peter Norman non è stato mai più convocato alle olimpiadi.

I tre atleti sono rimasti amici per tutta la vita e quando Peter è morto nel 2006, John e Tommie hanno portato in spalla la sua bara.

ArthurAshe

Arthur Ashe

TENNIS

Wimbledon.

3 tornei del grande slam

Arthur Ashe nel 1975 è stato il primo e il solo tennista nero ad avere vinto il torneo di Wimbledon.

Durante la sua lunga carriera, che lo ha visto vincitore di 3 tornei del grande slam, ha dovuto subire numerosi episodi di discriminazione razziale.

Apartheid

Ashe decise di usare il suo caso per lanciare una vera e propria campagna di denuncia contro l'Apartheid, chiedendo l'espulsione della federazione sudafricana dal circuito tennistico professionale.

Nel 1969 gli fu impedito dal governo del Sudafrica di partecipare al torneo di tennis Open.

Dopo un lungo dibattito tra i giudici sportivi, Nastase fu squalificato per comportamento antisportivo.

Nello stesso anno durante il torneo Master di Stoccolma, dopo che il tennista rumeno Ilie Nastase lo insultò per tutto l’incontro, a pochi punti dalla vittoria, chiamò l’arbitro e abbandonò la partita.

Nel tennis gli episodi di razzismo sono ancora frequenti.

Venus e Serena, tra le più grandi tenniste al mondo, decisero di boicottare il torneo per 14 anni.

Nel 2001 durante il torneo di tennis Indian Wells la tennista afroamericana Serena Williams fu sommersa di “buuh” e il pubblico prese in giro anche suo padre e sua sorella Venus seduti sugli spalti.

Rubin Carter

Rubin Carter

BOXE

Nel 1966 venne ingiustamente accusato di triplice omicidio e la sua carriera si interruppe. Una giuria di soli bianchi lo giudicò colpevole e lo condannò a tre ergastoli.

Rubin Carter è stato un pugile afroamericano, soprannominato Hurricane per la sua forza sul ring.

Hurricane

Il cantante Bob Dylan scriverà per lui la canzone “Hurricane”. Nel 1976 il caso venne riaperto, ma la condanna fu di nuovo confermata.

In carcere Hurricane cominciò a studiare, scoprì la spiritualità e scrisse un libro in cui dichiarò la sua innocenza. Il libro uscì nel 1974 e creò una forte indignazione intorno al caso. Alcuni intellettuali e sportivi, tra cui il pugile Mohammed Ali, decisero di creare un movimento per far riaprire il processo.

Nel 1985 il giudice Sarokin sostenne che Rubin Carter non aveva avuto un processo equo, che l’accusa nei suoi confronti era fondata su motivazioni razziali, e che dunque Carter era da ritenersi prosciolto dalle accuse.

Pochi anni dopo, un bambino afroamericano comprò il libro di Carter, si appassionò alla storia e convinse i suoi tutori (due avvocati) a far riaprire di nuovo il caso.

Nel 1999 l’attore e attivista Denzel Washinton ha interpretato Rubin Carter nell’omonimo film “Hurricane”.

FOOTBALL

Colin Kaepernick

Colin Kaepernick

l'inno nazionale.

A partire dall'estate 2016, per protestare contro le ingiustizie e le oppressioni subite dagli afroamericani negli Stati Uniti, Colin Kaepernick, il quarterback della squadra di football americano San Francisco 49ers, decise di non restare in piedi, ma di inginocchiarsi durante l'inno nazionale.

“Non starò in piedi per dimostrare il mio orgoglio per la bandiera di un Paese che opprime i neri e le minoranze etniche. Per me è più importante del football, e sarebbe egoista guardare dall’altra parte”

A quasi 50 anni dal gesto di John Carlos e Tommie Smith, ancora una volta, uno sportivo americano ha voluto mostrare al mondo quanto la discriminazione razziale sia diffusa negli Stati Uniti. E ancora una volta, per il suo gesto, ha dovuto pagare un prezzo altissimo. Colin Kaepernick non ha visto rinnovato il suo contratto con la squadra di San Francisco e non è stato più chiamato da alcuna società.

Il suo gesto è diventato un simbolo ed è stato adottato da numerosi altri giocatori, anche di altri sport e di altri Paesi.